Dopo la Grecia
che futuro per l'UE?

18/05/2010

Il 13 maggio 2010 la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato che il collasso dell’Euro porterebbe inevitabilmente al crollo dell’Unione, ma l’attuale crisi economica rappresenta un’opportunità per ‘correggere gli errori che il Trattato di Lisbona non ha saputo risolvere’.   La Germania metterà a disposizione 151 miliardi di euro per il fondo di salvataggio dell’euro e della Grecia - per non parlare della porzione tedesca della quota del Fondo Monetario Internazionale - ma in cambio esige che si modifichino le regole dell’eurozona. E sfrutterà la situazione di crisi per provare a cambiare le istituzioni europee.   Le basi geopolitiche dell’area Euro.   Il progetto europeo nacque all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, nei primi anni della Guerra Fredda. Gli obiettivi dei padri fondatori erano due: 1)      inserire la Germania all’interno di un’alleanza economica in modo da evitare lo scoppio di una nuova guerra fra le potenze dell’Europa occidentale; 2)      creare le basi di un’unione politica fra i paesi dell’Europa occidentale, già unita in un’alleanza militare strategica (NATO) in chiave antisovietica.   Alla fine della Guerra Fredda l’Unione Europea optò per la riunificazione della Germania e l’apertura ai paesi dell’Est europeo, con l’obiettivo di estendere la propria influenza agli ex satelliti dell’URSS. Nonostante la retorica di facciata, la riunificazione tedesca non era del tutto gradita ai vicini della Germania, specialmente alla Francia, che preferiva che Berlino rimanesse concentrata sul progetto europeo. E per mantenere vivo l’interesse della Germania per l’Unione venne deciso di introdurre l’Euro, una valuta modellata sul marco tedesco e regolata da una banca centrale che seguiva la politica antinflazionistica della Bundesbank. I paesi dell’Europa centrale e orientale vennero ammessi nell’UE in cambio dell’apertura dei loro mercati agli altri paesi dell’eurozona. Di fatto la Germania grazie all’Euro riuscì ad estendere la propria influenza là dove aveva sempre voluto arrivare,  sin dal 1871.   L’Eurozona aveva una sua logica politica che venne sin dall’inizio condizionata dall‘irrazionalità di combinare 16 politiche fiscali con un’unica politica monetaria e di unire le regioni settentrionali e meridionali dell’Europa in una singola unione valutaria senza tener conto delle differenze geografiche, sociali, culturali ed economiche.   La scelta della Germania.   All’insorgere della crisi  innescata dall’enorme debito della Grecia, la Germania fu tentata dall’idea (piuttosto popolare fra la popolazione) di lasciar fallire la Grecia (e probabilmente altri paesi come Spagna e Portogallo) in modo da ricostruire l’eurozona su scala ridotta con i paesi dell’Europa settentrionale, che hanno un’economia simile a quella tedesca.   In verità però la Germania deve molto all’euro: i 151 miliardi di euro sono una cifra ridicola rispetto a quello che ha guadagnato dall’aumento delle esportazioni dopo l’introduzione dell’Euro. Inoltre le banche tedesche posseggono circa 520 miliardi di Euro di obbligazioni di Grecia, Spagna, Portogallo e Italia, e dunque Berlino ha molto più da guadagnare da un salvataggio dell’eurozona piuttosto che dal suo crollo.   Se l’Euro cessasse di esistere, l’UE smetterebbe di essere una forza politica di rilievo. La valuta solitamente riflette il grado di stabilità del sistema politico di un paese, e il suo crollo improvviso – come avvenuto in Germania nel 1923, in Yugoslavia nel 1994 e in Zimbabwe nel 2008 – non è altro che un sintomo del continuo deteriorarsi del sistema - normalmente seguito da una crisi politica di proporzioni maggiori. La Germania deve necessariamente fare affidamento sull’Euro e sull’UE se vuole avere potere a livello internazionale: l’eurozona infatti assorbe la maggioranza delle sue esportazioni (pari al 50% del PIL) e Berlino può contare su  di un  mercato europeo  da 500 miliardi di dollari,  che le permettono  di tenere testa alle grandi potenze continentali come India, Brasile, Cina e Russia. Senza l’UE, la Germania, che ha lo stesso numero di abitanti del Vietnam, sarebbe costretta ad alzare i dazi doganali e a svalutare la propria moneta.   In cambio del prestito la Germania ha chiesto che vengano introdotte regole più stringenti, e sistemi che permettano di  controllare i conti dei paesi membri e sanzionare quelli che non rispettano le regole. L’urgenza della crisi ha spronato i paesi europei a discutere di ‘governance economica’: il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva già proposto qualcosa di simile dopo la crisi del settembre 2008, ma Berlino allora aveva rifiutato la proposta. Gli ultimi eventi hanno spinto i Tedeschi ha rivedere la propria posizione.   Le conseguenze sulla ‘governance europea’.   La Commissione Europea il 12 maggio ha proposto una serie di riforme basate su tre punti fondamentali: 1)      i paesi che non rispetteranno le regole dell’UE sul budget e sul deficit verranno duramente sanzionati; 2)      i sistemi di monitoraggio dei conti pubblici saranno estesi e perfezionati; 3)      i paesi membri dovranno sottoporre le proprie leggi finanziarie periodiche al giudizio dell’UE e degli altri paesi membri prima di metterle in atto.   Molti paesi europei si opporranno a queste misure, in quanto  non vogliono che l’Unione Europea metta il naso nelle loro finanze. Gli euroscettici – Danimarca, Regno Unito e Irlanda – vedono questa mossa come una violazione alla propria sovranità. Ma fin dall’insorgere della crisi greca Berlino ha ventilato l’idea di conferire a Eurostat – l’agenzia statistica sovranazionale europea – il potere di controllare i conti degli stati membri.     Se la Germania vuole riformare le istituzioni europee deve farlo ora che la situazione è ancora calda, e i singoli paesi hanno paura. D’altronde anche l’idea della nascita di un fondo di salvataggio europeo da 750 miliardi di Euro è stata adottata a tarda notte dopo una maratona di alcune ore, il 10 maggio scorso. Subito dopo l’incontro Spagna e Portogallo hanno deciso di adottare misure di austerità ‘volontarie’, ma è ovvio che erano già state decise durante la sessione. È dunque probabile che anche l’accordo sulle riforme venga adottato in tempi ridotti, e che venga posto all’attenzione dei singoli parlamenti prima che la paura del cataclisma si esaurisca.   Una strada tortuosa.   I primi dissidenti sono già usciti allo scoperto: il primo ministro Fredrik Reinfeldt si oppone  al controllo dei conti della Svezia, da lui descritto come ‘un esempio di buona finanza pubblica’. E non appena la crisi sembrerà superata, anche gli altri paesi europei inizieranno a manifestare apertamente il proprio malcontento. D’altronde i membri dell’UE ignorano abitualmente i rimproveri della Commissione, che non ha il potere di far rispettare le proprie indicazioni agli stati sovrani. Inoltre difficilmente gli stati membri decidono sanzioni verso uno stato, per paura di incorrere nello stesso destino prima o poi.   Questo è un problema per Berlino, che ha appena sborsato 150 miliardi di Euro e non vuole perdere l’occasione di introdurre nuove regole e sanzioni. La Germania non vuole rinunciare a stringere le regole: il tempo della benevolenza nei confronti di coloro che hanno sbagliato è finito. Ma è qui che iniziano i problemi: quando la Germania siederà alla guida dell’UE, sarà capace di far rispettare le regole? E soprattutto, come reagiranno gli altri paesi europei?   Fonte: Strategic Forecast   A cura di Davide Meinero

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