di Tarek Heggy, pubblicato su Hudson il 26 agosto 2010
1) L’identità. Nel 1947 i Mussulmani indiani che avevano optato per l’India continuarono a essere indiani. I Mussulmani che non scelsero l’India si svegliarono una mattina chiamandosi non più indiani ma pakistani.
Non è possibile cambiare la propria identità dall’oggi al domani, ma i Musulmani indiani del Pakistan decisero di eliminare la loro identità ‘indiana’ […] e di forgiarsene una nuova basata sulla religione. […]
Il Pakistan ebbe una storia turbolenta: nel 1971 si spaccò in due, e nacque il Bangladesh, e per la maggior parte della sua storia fu governato da giunte militari andate al potere con colpi di stato. L’India non ha mai subito un colpo di stato, ed è considerata la più grande democrazia del mondo. Ha costruito un sistema giudiziario efficiente, mentre quello del Pakistan si piega al volere dell’esercito. L’India ha uno dei migliori sistemi scolastici del mondo, mentre quello pakistano è in declino da anni, soprattutto per la proliferazione delle ‘madrasse’ (scuole islamiche) che predicano odio e violenza e preparano i futuri terroristi.
Il Pakistan, insieme ai suoli alleati arabi e non, da sempre offre quadri alle organizzazioni islamiche più violente, mentre la comunità islamica indiana, benché più numerosa di tutta la popolazione del Pakistan, non ha quasi mai avuto rapporti con tali organizzazioni.
I Musulmani dell’India che scelsero di mantenere la cittadinanza indiana non furono colti da una crisi d’identità simile a quella dei loro vicini pakistani. […] Chiunque abbia a cuore il destino dei paesi arabi (come l’Egitto) deve considerare la situazione del Pakistan, perché questi stati, proprio come il Pakistan, basano l’identità sulla religione e non sulla cittadinanza.
Nel 1938 Taha Hussein pubblicò un’opera memorabile, ‘Il futuro della cultura in Egitto’, in cui discuteva del problema dell’identità. Taha inizia il suo libro domandandosi se noi Egiziani, culturalmente parlando, facciamo parte del mondo arabo, di quello islamico o di quello mediterraneo. Vista la posizione geografica, mi chiederei se non facciamo parte dell’Africa.
Gli avvenimenti degli ultimi sessant’anni non hanno fatto altro che aggiungere confusione negli Egiziani sul senso della loro identità. Se dovessimo domandare ad un campione di Egiziani di definire la loro identità, alcuni affermerebbero di essere islamici, altri di essere arabi, altri ancora di essere egiziani.
Questa ambiguità è il frutto delle scelte politiche della classe dirigente: all’epoca di Nasser l’accento veniva posto sull’identità araba, mentre negli anni successivi venne dato maggiore rilievo all’identità islamica. L’Egitto ha bisogno di uno sforzo culturale per risolvere una volta per tutte il problema dell’identità, discutendone apertamente, e non cercando di promuovere un unico aspetto a scapito degli altri.
Occorre mettere in atto una difesa culturale di tutti gli aspetti che compongono l’identità egiziana, che proprio come una cipolla è fatta di strati sovrapposti. […] Non c’è alcun dubbio che la cultura islamica vi svolge un ruolo importante, ma non è l’unico fattore. E lo stesso si può dire della cultura araba. […]
In conclusione data la posizione geografica dell’Egitto, solo affermando che l’identità egiziana è un miscuglio di tratti arabi, musulmani, mediterranei e copti è possibile evitare di cadere nella trappola in cui si trova attualmente il Pakistan.
L’unico modo per tarare nuovamente la bussola dell’identità egiziana è attraverso l’educazione. Si tratta di una sfida difficile: sarebbe troppo semplice plasmare i programmi scolastici per favorire l’uno o l’altro aspetto dell’identità egiziana. […] Così facendo si alimenterebbe la frammentazione sociale e si allontanerebbe la società egiziana dalla modernità. L’opzione ideale non è semplice: occorre innanzitutto introdurre materiale didattico che insegni agli studenti che sono Egiziani, e che la loro ‘egizianità’ è il frutto di un lungo cammino durato migliaia di anni e intriso di culture diverse. Per quanto difficile, è l’unico modo per conseguire due obiettivi: diffondere pace e armonia nella società e mettersi al passo coi tempi.
2) L’educazione. Il tema dell’educazione è stato al centro di un vigoroso dibattito nazionale nell’ultimo periodo. Tutti sembrano d’accordo sul fatto che l’unico modo per risolvere i problemi economici, culturali, politici e sociali, nonché per arginare l’avanzata dell’estremismo religioso, che rema contro il progresso scientifico, è mettere in piedi un sistema scolastico efficiente e moderno.
Ma quando si tratta di scegliere una strategia le divisioni si fanno insormontabili: alcuni credono che sia sufficiente costruire più scuole, altri non riescono a capire che la disciplina e il rigore da soli, per quanto essenziali, non sono sufficienti a risolvere i problemi del nostro tempo.
Di fatto la sfida riguarda soprattutto tre aspetti: la filosofia dell’educazione, il materiale didattico e gli insegnanti.
Per filosofia dell’educazione intendo gli scopi dell’educazione, così come intesa dalle autorità ufficiali. Secondo me bisogna creare un sistema scolastico capace di formare cittadini al passo con i tempi, che credano nella scienza, nell’umanità e nel progresso, che dispongano dei mezzi necessari per fare ricerca e del giusto spirito critico, che siano convinti che la scienza e la tecnica possano migliorare le condizioni di vita, che credano nell’universalità del sapere e della scienza, che siano orgogliosi del loro passato ma determinati ad andare avanti sulla strada della scienza, del progresso e della civiltà. Il sistema scolastico dovrebbe instillare nelle giovani menti egiziane il gusto per i valori del progresso, fra cui il senso critico, lo stimolo a porre nuove domande, l’autocritica, il pluralismo, la tolleranza in tutte le sue forme, l’accettazione degli altri, la fede nell’educazione, nell’umanità e nella coesistenza pacifica fra culture diverse, il rispetto dei diritti umani e dei diritti delle donne.
È di vitale importanza cambiare il metodo di insegnamento e liberarsi dell’attuale sistema, basato sull’apprendimento mnemonico, per passare ad un sistema che stimoli il libero pensiero, l’iniziativa, la curiosità, il dialogo, il dibattito e l’immaginazione degli studenti, anche se avranno opinioni diverse da quelle dell’insegnante.
Il materiale didattico da una parte dovrebbe soddisfare i criteri della filosofia dell’educazione e dall’altra tenere conto delle ultime innovazioni nelle scienze sociali e applicate.
Per quanto riguarda gli insegnanti, capisaldi di ogni sistema scolastico, devono essere capaci di tradurre la filosofia dell’educazione in una formula appetibile per gli studenti, e di trasformare l’attuale sistema in uno nuovo basato sul libero pensiero, sul dialogo, sul dibattito, sulla ricerca, e sul senso critico.
3) Democrazia. Nonostante quello che si afferma in generale, ovvero che ogni cultura ha la propria forma di democrazia, di fatto l’essenza della democrazia è la stessa, indipendentemente dalla cultura, dalla posizione geografica o altro. La democrazia si basa su tre elementi fondamentali: i governanti vanno al potere su mandato del popolo; i governanti devono seguire le regole costituzionali e rispondere ai cittadini non solo durante ma anche oltre i termini del loro governo; i governanti non possono prolungare in eterno il loro mandato.
In molti paesi le forze non-democratiche si curano solo degli aspetti formali della democrazia, ad esempio indicendo ‘libere elezioni’. Ma la vera democrazia non dipende esclusivamente dalle elezioni in quanto tali, ma da come si svolgono tutti i processi di selezione dei candidati dall’inizio alla fine. Nei paesi moderni i partiti hanno uguali diritti e doveri, esiste un sistema giudiziario indipendente e imparziale che garantisce trasparenza, esistono mezzi di comunicazione che informano. […]
C’è una rapporto dialettico ovvio fra identità ed educazione da un lato e democrazia dall’altro. La confusione in materia di identità può avere effetti nefasti sul processo di selezione, che costituisce la base della democrazia. E lo stesso vale per l’educazione. Un sistema scolastico moderno basato su creatività, libero pensiero e spirito critico è ciò che servirebbe a trasformare il nostro processo democratico da una pura formalità ad un vero strumento per tramutare le nostre scelte in decisioni concrete.
Traduzione: Davide Meinero
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