9 settembre 2010
Prima dell’invasione statunitense del 2003 l’esercito di Saddam manteneva l’unità del paese reprimendo le rivalità etniche e religiose dell’Iraq. L’esercito nato sulle ceneri dell’Iraq baathista però è totalmente diverso e rispecchia in pieno le divisioni fra Sciiti, Sunniti e Curdi.
Gli Stati Uniti, ormai prossimi al ritiro, hanno trasferito buona parte delle responsabilità alle forze di sicurezza irachene. Esiste però un dubbio: saranno in grado di mantenere pace e stabilità nella regione, evitando che l’Iran estenda la propria egemonia sull’Iraq?
L’attuale stato iracheno
La struttura dello stato iracheno è piuttosto instabile, a causa delle divisioni etniche e religiose interne, e la sua sopravvivenza dopo il ritiro statunitense è a rischio. Le divisioni nell’establishment politico non sono state superate nelle tornate elettorali. Ma a differenza del 2005 alle ultime elezioni (marzo 2010) i Sunniti hanno partecipato in massa, togliendo così il monopolio del parlamento agli Sciiti e ai Curdi.
Attualmente i parlamentari sciiti sono divisi in due blocchi: la coalizione State of Law guidata dall’ex premier al-Maliki, che alle elezioni ha ottenuto 89 seggi e l’Iraqi National Alliance (INA, filo-iraniana) che ha ottenuto invece 70 seggi. I partiti Curdi si sono uniti e hanno ottenuto 57 seggi. Ma il vero vincitore delle ultime elezioni è l’ex primo ministro ad interim Iyad Allawi (sciita) che, a capo di una lista ‘laica e trasversale’, ha attratto la maggior parte dei voti sunniti (e non solo) ottenendo 91 seggi.
I due blocchi sciiti però stanno cercando un accordo per avere la maggioranza in parlamento ed escludere i Sunniti dal governo.
I Sunniti dal canto loro, forti del successo elettorale, non solo rivendicano ruoli chiave nel governo, ma vorrebbero (comprensibilmente) aumentare il controllo sulle forze di sicurezza irachene. Gli Sciiti si oppongono.
L’Iraq prima del 2003
L’esercito iracheno è nato per volontà dell’Impero Britannico, che intendeva mantenere la stabilità in Mesopotamia all’indomani della Prima Guerra Mondiale. All’inizio era composto da poche migliaia di soldati che avevano il compito di aiutare l’esercito britannico a mantenere la sicurezza.
Anche dopo il riconoscimento della sovranità irachena nel 1932 Londra mantenne il controllo delle forze di sicurezza irachene e stabilì che l’esercito iracheno avrebbe potuto essere addestrato soltanto dalle truppe britanniche e che l’Iraq avrebbe potuto acquistare armi esclusivamente dalla Gran Bretagna.
In questo periodo la minoranza sunnita acquisì un potere sproporzionato in Iraq, perché sia i burocrati (eredità dell’Impero Ottomano) sia la monarchia provenivano dall’ambiente sunnita. Così i Sunniti estesero il proprio controllo all’esercito. Gli Sciiti, che divennero maggioranza in Iraq a metà del XIX secolo, erano visti dagli Ottomani come la quinta colonna dei Persiani e furono sempre discriminati in epoca ottomana.
Dopo l’indipendenza i vertici politi avrebbero voluto rimanere legati agli Inglesi, mentre l’esercito, ispirato dal crescente nazionalismo arabo, si batteva per una maggiore indipendenza. Questa situazione sfociò nel colpo di stato del 1936 – anno in cui ebbe inizio il coinvolgimento politico dell’esercito nella vita politica irachena. Nei cinque anni successivi si verificarono altri colpi di stato, ma l’esercito non assunse ancora il controllo diretto del potere, limitandosi a determinare la scelta del premier.
Solo nel 1958 l’esercito si impadronì del potere: il generale Abd- al-Karim Qasim con un sanguinoso colpo di stato rovesciò la monarchia hascemita e il governo civile e restò in carica fino al 1963, quando venne scalzato da un nuovo colpo di stato organizzato dal partito Baath.
Lo stesso anno il generale Abdul Salam Arif scalzò i Baathisti dal potere e governò con suo fratello Abdul Ruhman fino al 1968, quando il Baath ritornò al potere instaurando un regime militare monopartitico che avrebbe governato fino al 2003. Sotto la dirigenza baathista – e soprattutto sotto Saddam Hussein, che prese il potere nel 1979 – l’esercito divenne il pilastro del regime, e uno dei più forti eserciti del mondo.
Dopo aver partecipato alle quattro guerre arabo-israeliane, l’esercito iracheno combatté una estenuante guerra contro l’Iran dal 1980 al 1988. La guerra Iran-Iraq dimostrò che l’esercito era fortemente unito e trascendeva logiche settarie: le truppe sciite non rifiutarono di combattere contro i propri correligionari iraniani nonostante gli appelli pan-sciiti di Teheran. Il partito baathista di fatto cercò (con un discreto successo) di instillare l’ideologia nazionalista a panaraba nella maggioranza sciita, per evitare che si rivoltasse contro il regime. Laddove questa strategia non era sufficiente (ad esempio nel caso dei Curdi) l’esercito interveniva con fermezza (spesso con brutalità) per schiacciare il separatismo e l’islamismo.
Costruendo un nuovo stato dalle ceneri dell’impero ottomano, gli Inglesi crearono il nazionalismo iracheno (mai esistito prima) che garantì l’unità del paese per oltre cinquant’anni.
L’esercito dopo il 2003
Curdi e Sciiti, da sempre al margine dell’establishment politico e militare dell’Iraq, capirono che per andare al potere non era sufficiente cacciare il partito Baath: occorreva anche smantellare l’ultimo baluardo del Baathismo, l’esercito iracheno.
L’amministrazione Bush venne duramente criticata per aver lanciato la campagna di ‘debaathificazione’ e per aver sciolto le forze di sicurezza irachene su consiglio di Sciiti e Curdi - incoraggiati a loro volta dal regime iraniano.
Allora i Sunniti, trovandosi esclusi dal processo politico, scatenarono la ribellione: fra il 2003 e il 2007 decine di migliaia di ex soldati sunniti imbracciarono le armi e ci vollero più di quattro anni per riportare la calma nel paese.
La deebathificazione fu un errore strategico: per porvi rimedio gli USA dovettero ricucire con i Sunniti e spingerli ad allinearsi con Washington nella lotta contro gli emissari di Teheran in Iraq e contro i jihadisti legati ad al Qaeda. Solo ricucendo i rapporti con i Sunniti gli USA riuscirono a indebolire i terroristi islamici e a creare un nuovo polo politico capace di frenare l’avanzata del regime iraniano in Iraq.
Il reintegro delle forze armate sunnite nell’esercito iracheno è andato però molto a rilento: ad esempio migliaia di soldati dei Figli dell’Iraq (una milizia sunnita) stanno ancora aspettando di essere incorporati nell’esercito, nonostante le promesse.
Anche i Peshmerga (la principale milizia curda) sono tutt’ora una forza indipendente e potente nel nord del paese. Sebbene siano stati compiuti alcuni passi per porli sotto l’autorità del Ministero degli Interni, poco è stato raggiunto. I Peshmerga restano tuttora fedeli alla causa curda, e il Governo Regionale del Kurdistan ha preferito raccogliere tutte le milizie curde in un unico esercito per evitare di essere schiacciato da Sciiti e Sunniti.
All’interno delle forze di sicurezza irachene
A causa dell’ostracismo a danno dei Sunniti e delle spinte indipendentiste curde le forze di sicurezza irachene – che riflettono le divisioni del paese – sono così composte: 8% Curdi, 12% Sunniti, 80% Sciiti.
Al nord i Curdi rappresentano oltre il 50% delle forze di sicurezza, nelle regioni centrali e meridionali gli Sciiti sono in maggioranza, ad eccezione del triangolo sunnita, dove sono i Sunniti ad essere in maggioranza. Nella provincia di Baghdad la composizione delle forze di sicurezza varia da quartiere a quartiere: ad esempio in un quartiere a maggioranza sciita le forze di sicurezza sono sciite, e così via.
In passato gli USA hanno cercato di dividere Sunniti e Sciiti in maniera equilibrata in tutti i ranghi delle forze di sicurezza, ma ora la situazione è cambiata: ora gli Sciiti controllano le unità militari, e le dividono secondo criteri settari molto netti – ad esempio nelle aree sciite la polizia è sciita, e altrettanto vale per le aree sunnite. E pur lavorando nella stessa divisione, Sciiti e Sunniti e non si fidano l’uno dell’altro.
Quasi tutti i comandanti militari sono Sciiti - anche perché per anni al-Maliki ha mandato solo gli ufficiali Sciiti ad addestrarsi negli USA. Nella maggior parte dei casi i Sunniti rivestono solo cariche simboliche e sono privi di un potere effettivo. L’unica eccezione riguarda le forze di polizia, dove pullulano gli ufficiali sunniti - forse per le pressioni americane.
Ilproblema principale è l’estrema politicizzazione delle forze di sicurezza: i partiti politici manipolano abitualmente gli ufficiali di polizia e dell’esercito, spingendoli anche a rilasciare detenuti sospettati di terrorismo, se vicini alla propria fazione.
Lo stato iracheno è fragile ed estremamente diviso lungo linee religiose (come il Libano): tutti gli sforzi statunitensi per riformare l’esercito e aumentare l’influenza sunnita nel paese si sono infranti contro una feroce resistenza degli Sciiti, che non sono disposti a rinunciare al potere.
Non va inoltre scordato che gli Sciiti, e specialmente i Sa’dristi (seguaci di Muqtada Al Sa’dr, filo-iraniano), hanno un grande peso nel dipartimento antiterrorismo dell’Iraq, e ne condizionano quindi scelte e strategie.
Come finirà?
Ora che l’esercito americano è pronto al ritiro, le forze di sicurezza irachene riceveranno il compito di pattugliare il paese e di garantire pace e stabilità all’Iraq. Ma vista l’estrema frammentazione, non è detto che riescano a svolgere questo compito al meglio: la maggior parte dei soldati iracheni antepone gli interessi della propria etnia a quelli dello stato, il che rappresenta una grave minaccia all’unità nazionale. Questa è la conseguenza dell’impostazione anti-baathista che ha guidato la costruzione dell’attuale Iraq: il nuovo sistema non trae ispirazione da un ideale nazionale alternativo, ma soltanto dal rifiuto dell’ordine precedente, e potrebbe sgretolarsi nel caso in cui le divergenze interne aumentassero.
A cura di Davide Meinero
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