Il 31 ottobre Dilma Roussef, membro del Partito dei Lavoratori e pupilla del presidente uscente Luiz Inàcio Lula da Silva, sfiderà al ballottaggio per la presidenza del Brasile José Serra, governatore dello stato di San Paolo. Dilma Roussef, che al primo turno ha ottenuto il 46,9% dei voti contro il 32,6% dell’avversario, sembra essere favorita.
Il Brasile ha un territorio immenso – più grande dell’intera Europa – confina con dieci paesi e, a parte la regione meridionale delle pampas, è coperto da foreste che lo separano dai vicini. Inoltre ha l’ottava maggiore economia al mondo e un tasso di crescita del 7% annuo, è autosufficiente sul piano energetico e potrebbe diventare a breve uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo.
Siccome la maggior parte dei fiumi brasiliani non è navigabile, i governi hanno dovuto investire molto nello sviluppo di una rete di trasporti efficiente (ferrovie, autostrade, porti) per unire i centri industriali dell’interno alla costa atlantica.
Dal punto di vista sociale il Brasile patisce ancora oggi le conseguenze dell’importazione forzata di schiavi africani in epoca coloniale, tuttora fonte di frizioni nel paese.
Brasile e Argentina si contendono storicamente l’egemonia sulle fertili terre dell’Uruguay e del Paraguay (vedi mappa), da cui è possibile estendersi nell’intera pianura del Rio de la Plata. L’Argentina è avvantaggiata dall’avere il controllo del fiume Parana, parte importante della rete di trasporto fluviale della regione, grazie al quale ha potuto avere un rapido sviluppo in passato.
Nel XIX secolo l’Argentina si è battuta per impedire ai Brasiliani di controllare la regione, appoggiando la nascita dell’Uruguay e schierandosi con i separatisti del sud del Brasile.
Negli ultimi anni però a causa dei gravi problemi economici interni l’Argentina ha perso peso.
L’Argentina in declino e l’ascesa del Brasile
All’inizio del XX secolo Buenos Aires pareva destinata a diventare una grande potenza economica internazionale, ma vennero perseguite politiche demagogiche di sfruttamento a tempi brevi delle risorse naturali ed agricole, senza programmare lo sviluppo. Dopo il fallimento dello stato, con l’impossibilità di restituire i titoli di debito pubblico, l’Argentina è incostante declino. I vertici del paese hanno ripiegato su politiche populiste che hanno condotto il paese in un vicolo cieco. Solo con un ferreo programma di tagli e austerità l’Argentina potrebbe uscire dalla crisi.
Il Brasile sta sfruttando la debolezza argentina per consolidare i propri rapporti in Bolivia, Paraguay e Uruguay. Brasilia ha numerosi mezzi per raggiungere l’egemonia.
Con la costruzione del gasdotto che collega Santa Cruz de la Sierra (Bolivia) a Canoas (Brasile), il Brasile è diventato il principale paese importatore di energia boliviana; inoltre ha adottato una politica di popolamento delle regioni lungo il confine boliviano, offrendo incentivi economici ai Brasiliani che decidono di trasferirvisi.
Brasile a Paraguay sono in ottimi rapporti dal 1984, quando collaborarono alla costruzione della diga Itaipu – la più grande centrale idroelettrica del mondo che rifornisce il Paraguay e il Brasile rispettivamente del 90% e del 19% dell’energia elettrica. Allora molti Brasiliani furono costretti ad abbandonare la regione che sarebbe stata sommersa dalle acque e si trasferirono in Paraguay, dove la vita costava meno. Attualmente i Brasiguaios (così si chiamano i Brasiliani del Paraguay) costituiscono l’8% della popolazione e hanno una posizione dominante nella produzione della soia e del mais.
L’Uruguay, separatosi dal Brasile nel 1828 dopo una lunga guerra fra Brasile e Argentina, ha tuttora numerosi legami culturali e commerciali con il Brasile – ad esempio nel 2004 Brasilia e Montevideo hanno firmato un accordo che permette alle persone nate nelle regioni di confine di ottenere entrambe le cittadinanze. In Uruguay vivono almeno 30.000 brasiliani – che controllano un terzo dell’industria della carne uruguaiana.
I problemi monetari
Il Brasile può vantare un’economia diversificata: il terziario è ben sviluppato sulla base di una buona industria sia manifatturiera sia alimentare ed una ricca agricoltura. Tuttavia l’economia brasiliana è ancora incentrata sulle esportazioni di materie prime – due terzi delle esportazioni totali. Questo settore si allargherà ancora, perché il Brasile intende sviluppare i ricchissimi giacimenti petroliferi al largo delle coste.
Gli investimenti provenenti dall’estero – per lo più in dollari – per finanziare lo sviluppo dell’industria delle materie prime hanno provocato un aumento di valore della moneta locale, il Real, togliendo competitività internazionale alle aziende manifatturiere brasiliane.
La maggior parte delle esportazioni agricole (soprattutto soia) e minerarie del Brasile è diretta in Cina. Le importazioni dalla Cina sono invece costituite da manufatti. Negli ultimi anni le importazioni di prodotti cinesi sono aumentate di oltre il 50%, con grande preoccupazione degli industriali brasiliani, che non possono competere con i Cinesi dopo l’apprezzamento del Real – aumentato del 35% rispetto al dollaro dall’inizio del 2009. Il Brasile ha adottato dei provvedimenti tampone per evitare che il valore del Real salga ancora, e probabilmente chiederà al WTO sanzioni contro i prodotti cinesi che vengono importati tramite paesi terzi.
Il Brasile vanta un mercato interno notevole (62% del PIL), che rallenta molto le conseguenze della fluttuazione dei prezzi sul mercato globale. Ma a medio termine è probabile che Brasilia utilizzi i proventi del petrolio per sovvenzionare l’industria domestica ed evitare che questa soccomba alla competizione cinese.
Il Brasile potrebbe anche decidere di ancorare - in modo non rigido, ma con poca elasticità - la propria valuta al dollaro (come fanno da decenni i paesi esportatori del sud est asiatico e la stessa Cina) per evitare sia gli effetti negativi dell’apprezzamento del Real sull’industria, sia i rischi di inflazione da svalutazione. Così facendo attrarrebbe nuovi investimenti nel settore minerario e petrolifero e manterrebbe costante la competitività delle proprie merci sul ricco mercato degli Stati Uniti. Questo significherebbe delegare di fatto la propria politica monetaria agli USA: non sarebbe un provvedimento popolare ma potrebbe avere molti vantaggi.
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