Da un articolo di George Friedman pubblicato su Strategic Forecast l’11 gennaio 2011.
Il 21 gennaio riprenderanno a Istanbul i negoziati fra i paesi del P5+1 (i cinque paesi de Consiglio di Sicurezza più la Germania) e l’Iran. La scelta del luogo non è casuale. La Turchia ha dichiarato che si limiterà a ospitare l’evento senza intervenire direttamente. Ma sarà davvero così?
Gli Iraniani hanno imparato bene dalla Corea del Nord, che negli ultimi anni ha saputo usare il mistero del proprio programma nucleare per trascinare cinque grandi potenze (USA, Cina, Giappone, Russia e Corea del Sud) al tavolo dei negoziati. Un bel colpo per un paese emarginato, con una delle economie più disastrate del globo, la cui minaccia nucleare è tutt’altro che provata!
Teheran ha fatto altrettanto. La Turchia, con il beneplacito del P5+1, si è inserita nella mediazione per facilitare i contatti fra le parti: USA, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania da una parte, e l’Iran dall’altra. […] Ma nel caso dell’Iran il problema è più complicato perché le trattative non sono semplicemente limitate al suo potenziale atomico. Se gli Stati Uniti si ritirassero dal Medio Oriente, l’Iran riempirebbe il vuoto di potere diventando la più grande potenza del Golfo Persico – con o senza armi nucleari. L’amministrazione americana sembra ormai decisa ad andarsene entro la fine dell’anno, dunque pare che l’Iran stia per raggiungere l’egemonia sulla regione […]. La settimana scorsa Muqtada al-Sadr, filo-iraniano, capo di una milizia sciita anti-americana, è ritornato a Baghdad dopo un esilio di tre anni in Iran – fortemente voluto dagli USA. Non si tratta certo di una coincidenza.
Le opzioni degli USA
Gli Stati Uniti si trovano di fronte a una scelta difficile:
· Proseguendo sulla strada del ritiro, l’Iraq diventerà un satellite dell’Iran; in tal caso la frontiera dell’Iran si sposterebbe sul confine con Arabia Saudita e Kuwait (vedi mappa a lato). […] In uno scenario simile l’Arabia Saudita, la cui sicurezza è sempre stata garantita dagli Americani, dovrebbe venire a patti con la Repubblica Islamica, che potrebbe plasmare la politica della regione a suo piacimento.
· Gli Stati Uniti possono bloccare o rallentare il ritiro. […] Ma 20 000 unità – quelle che dovrebbero rimanere in Iraq a fine anno – non sono sufficienti per tenere testa a una milizia filo-iraniana né per continuare nelle attività di addestramento e coordinamento dell’esercito iracheno. L’Iran coglierà l’occasione per ottenere il controllo della regione – a meno che gli USA non decidano di rafforzare di nuovo il contingente.
La questione nucleare al momento non è così importante. Gli Israeliani hanno appena dichiarato che gli Iraniani non avranno la bomba nucleare prima di tre o quattro anni. Ora sono i Sauditi a chiedere che gli Americani prendano misure urgenti contro l’Iran, non tanto per bloccare il programma nucleare ma per evitare che l’equilibrio di potere penda a favore della Repubblica Islamica.
L’Iran probabilmente non teme un attacco contro arsenali nucleari che ancora non possiede, ma ha il terrore che gli USA lancino un attacco aereo contro le forze convenzionali dell’Iran – specialmente contro la flotta e i mezzi corazzati. Con la flotta distrutta l’Iran non potrebbe attuare l’unica contromossa possibile in caso di guerra – bloccare lo stretto di Hormuz con mine, missili antinave e attacchi suicidi per impedire il transito alle petroliere. Bloccando il flusso di petrolio Teheran potrebbe mettere a repentaglio la ripresa economica internazionale: questo è un vero pericolo ‘atomico’.
La Repubblica Islamica è consapevole della superiorità aerea degli Stati Uniti. […] Per questo l’Iran ha solo due opzioni:
1) continuare a negoziare da una posizione di forza giocando la carta del nucleare;
2) evitare che gli Stati Uniti intervengano con la flotta aerea contro il proprio esercito.
Il destino della penisola araba dipende dall’esito dei negoziati: Teheran non ha bisogno di invadere i propri vicini per cambiare gli equilibri regionali, può semplicemente minacciare l’invasione per mettere l’Arabia Saudita all’angolo e obbligarla a collaborare.
Dunque gli USA hanno tre opzioni:1) accettare l’egemonia iraniana nella regione dopo il ritiro;
2) interrompere il ritiro delle truppe;
3) attaccare le forze convenzionali iraniane – cercando di evitare il blocco dei rifornimenti di petrolio dal Golfo Persico.
Nessuna di queste tre scelte è allettante: lasciare all’Iran il controllo del Medio Oriente può essere molto pericoloso, ma allo stesso tempo non è possibile mantenere un contingente molto alto in Iraq dovendo combattere anche in Afghanistan.
Ovviamente esiste sempre l’ipotesi di intensificare le sanzioni. Che però possono essere raggirate […] e non porteranno a un cambio di regime né impediranno a Teheran di raggiungere i suoi obiettivi strategici.
Che cosa potrebbero fare gli Europei? Gli Europei certamente non possono rinunciare al petrolio mediorientale. Se gli Stati Uniti offrissero garanzie in merito, Germania e Francia in privato darebbero il loro assenso – condannando in pubblico l’unilateralismo americano.
I Cinesi non vedrebbero di buon occhio un intervento militare americano in Medio Oriente, perché hanno disperato bisogno del petrolio mediorientale. I Russi infine non si opporrebbero all’attacco perché l’aumento del prezzo del petrolio apporterebbe loro vantaggi economici, e l’impegno degli Usa in Medio Oriente li lascere liberi di espandersi alla propria periferia senza intralci.
Quindi al tavolo dei negoziati la prossima settimana ci saranno:
· gli Americani, consapevoli che le soluzioni militari in Oriente sembrano sempre promettenti, ma spesso diventano incubi;
· gli Europei e i Cinesi, che cercano una soluzione semplice a un problema di lungo termine;
· i Russi, che in fondo sperano in un nuovo conflitto che farebbe impennare i prezzi del petrolio;
· e infine gli Iraniani, che vogliono evitare una guerra senza perdere l’opportunità storica di stabilire il proprio dominio sul Golfo Persico.
Il ruolo della TurchiaE poi ci sono i Turchi. I Turchi si opposero all’invasione dell’Iraq perché si aspettavano un fallimento. Finora Ankara ha sempre cercato di non farsi trascinare nel conflitto. Nel frattempo ha cercato di porsi come guida del mondo musulmano mediando fra i paesi islamici e l’Occidente – specialmente gli USA.
Ora i Turchi si trovano di fronte a un dilemma: […] al tavolo dei negoziati manca l’altro grande attore mediorientale – l’Arabia Saudita.
Ankara vuole ottenere la guida del mondo islamico senza rischiare troppo in termini militari. Ma per la Turchia il problema non è tanto conciliare le posizioni di Iran e Stati Uniti, quando quelle di Arabia Saudita e Iran, non solo per ragioni religiose ma soprattutto perché entrambi vogliono la stessa cosa: l’egemonia sulla regione. I Turchi si trovano di fronte a una sfida difficilissima: riconciliare Persiani e Arabi.
La questione nucleare non è il vero tema centrale dei negoziati al momento. Il futuro dell’Iraq invece è un tema sensibile e alquanto nebuloso. […] Se la Turchia vuole svolgere un ruolo costruttivo, deve trovare una formula che:
1) renda più semplice il ritiro statunitense;
2) limiti l’egemonia iraniana sull’Iraq;
3) offra garanzie all’Arabia Saudita sui limiti dell’egemonia iraniana in Iraq.
[…] Per mettere d’accordo tutti, l’esercito turco dovrebbe intervenire attivamente in Iraq controbilanciando l’influenza iraniana. La Turchia è una potenza in ascesa, ma ora deve decidere se assumere davvero le responsabilità di una potenza regionale che garantisce tutte le parti. I Turchi potrebbero schierarsi con gli uni o con gli altri, ma non sarebbe una mossa intelligente per la loro sicurezza a lungo termine.
I Turchi non vogliono una nuova guerra in Medio Oriente né tantomeno il caos in Iraq; non vogliono neppure che l’Iran diventi la potenza egemone nella regione, e soprattutto non vogliono dover scegliere fra Persiani e Arabi. Ma che cosa vogliono? E quali rischi sono disposti a correre? Sono disposti a intervenire in Iraq per limitare il potere dell’Iran e porre limiti – anche con le ‘maniere forti’ – alla sua espansione nella penisola arabica? […] Il potere non è un concetto astratto: significa gestire e bilanciare con la forza interessi divergenti per evitare che sorgano minacce tali da mettere a repentaglio la supremazia della potenza egemone.
La Turchia ha deciso di ospitare i negoziati […] e ora si trova di fronte a una scelta difficile: può attenersi al semplice ruolo di ospite delle discussioni, o può tentare di influenzare l’esito delle trattative. Che cosa sceglierà di fare?
Traduzione: Davide Meinero
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