Il 31 gennaio 2011 il ministro degli esteri cinese Hong Lei ha dichiarato che la Cina spera che l’Egitto si stabilizzi al più presto. I Cinesi, infatti, temono che i loro investimenti nella regione (circa 500 milioni di dollari) possano andare in fumo e che i commerci attraverso il canale di Suez vengano interrotti. Il 1 febbraio i disordini hanno ostacolato le operazioni portuali a Said, Alessandria e Domiat; inoltre Alessandria, che gestisce l'80% del traffico, ha interrotto tutte le spedizioni per uno sciopero.
Il 20% delle merci cinesi dirette in Europa transita attraverso il canale di Suez . Il canale è ancora in funzione, sebbene molte navi abbiano rinunciato a fare tappa in Egitto e abbiano sospeso carico/scarico nei porti egiziani. L'alternativa al canale è la circumnavigazione dell’Africa – più lunga di 3500 miglia nautiche, cioè 9 giorni di navigazione in più.
Inoltre la Cina, che importa petrolio dal Medioriente (come molti paesi europei), teme che le agitazioni popolari possano estendersi dall’Egitto ai paesi limitrofi e incrementare l’instabilità della regione.
Minacce alla stabilità interna?
Sebbene non ci sia alcun rapporto tra dimostranti egiziani e gruppi dissidenti cinesi, i due paesi presentano situazioni analoghe – anche in Cina il risentimento nei confronti di un governo autoritario è forte, soprattutto in Tibet e nello Xinjiang, specialmente ora che l'inflazione su cibo, carburante e case è cresciuta, alimentando il malcontento sociale. L’esempio di grandi rivolte popolari altrove può incitare gli scontenti a disordini anche in Cina.
Per questo la Cina ha oscurato i blog che trasmettevano informazioni sulla rivolta egiziana. Non si tratta di una novità: Pechino aveva già bloccato gli accessi alla rete nel 2009 durante i disordini a Urumqi (Xinjiang), durante la Rivoluzione delle Rose in Georgia (novembre 2003), durante la Rivoluzione Arancione in Ucraina (novembre 2004-gennaio 2005), in occasione delle sollevazioni in Myanmar (agosto-ottobre 2007) e in Moldavia (aprile 2009), durante l’Onda Verde in Iran (giugno e dicembre 2009), la Rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan, nonché dopo le recenti sollevazioni in Tailandia e Tunisia.
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