In Libia i militari non hanno una struttura di comando autonoma: dipendono direttamente da Gheddafi. Questo significa che l’esercito non può rimanere neutrale nella lotta politica interna, né porsi come forza stabilizzatrice. L’esercito libico è composto di soli 100 000 uomini, raggruppati in due nuclei: la milizia popolare e la guardia presidenziale. Ci sono voci e segni che una parte dell’esercito si sia ribellato a Gheddafi, e che Gheddafi abbia assoldato mercenari stranieri per difendersi.
In una realtà in cui l’esercito non può porsi come difensore neutrale dell’ordine e della sicurezza della nazione in periodi di crisi o di transizione, in attesa che la politica nomini un nuovo governo ed un nuovo presidente, è facile che l’esercito si divida in fazioni combattenti, scatenando una guerra civile armata di grande portata. La rivalità può essere ulteriormente aggravata dalla mancanza di coesione fra i figli di Gheddafi: Motasem e Seif al-Islam godono di simpatie in parti diverse della società libica, con l’esercito più vicino a Motasem che a Seif al-Islam.
In Libia non è pensabile una fase di transizione come quella che vediamo in Egitto, ad esempio, con i militari al potere - forse temporaneamente – con la accettazione di questo loro ruolo da parte di tutta la popolazione. La situazione della Libia può degenerare, senza nessuna istituzione che possa impedire al paese di smembrarsi e di cadere nell’anarchia. Si potrebbe arrivare ad uno scenario di tipo somalo.
A cura di Laura Camis de Fonseca
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