Liberamente tratto da un’analisi di George Friedman per Strategic Forecast, 23 febbraio 2011
Ci sono momenti nella storia in cui le rivoluzioni si accendono nel mondo come un fuoco impazzito. Non accade sovente. Nel 1848 dalla Francia le manifestazioni di protesta si estesero rapidamente all’Europa intera. Anche nel 1968 manifestazioni spontanee sorsero un po’ ovunque: a Città del Messico, Parigi, New York e in molte altre città le opposizioni guidate da gruppi marxisti e radicali si riversarono nelle strade per protestare contro la guerra e cambiare il sistema. Contemporaneamente a Praga i Sovietici schiacciarono nel sangue un governo che si riprometteva di liberalizzare – parzialmente – il paese, e in Cina scoppiò la Grande Rivoluzione Culturale e Proletaria. Nel 1989 i Tedeschi dell’Est si ribellarono all’oppressione comunista scatenando un effetto domino che avrebbe portato al crollo dell’impero sovietico.
Ognuna di queste ondate aveva un denominatore comune: le manifestazioni del 1848 miravano a portare la democrazia liberale nelle nazioni europee, quelle del 1968 a riformare radicalmente la società capitalista, quelle del 1989 ad abbattere i regimi comunisti al potere. I fatti del 1989 cambiarono l’equilibrio di potere mondiale; quelli del 1848 si risolsero in un nulla di fatto nell’immediato, ma aprirono la strada a cambiamenti futuri. I fatti del 1968 lasciarono scarse tracce.
Che cosa dire delle attuali proteste?
Le rivoluzioni arabe, oggi.
I popoli del Nord Africa insorti chiedono un cambio al vertice perché consapevoli di essere stati privati dai loro regimi di diritti politici e soprattutto economici. Ma perché si ribellano proprio ora?
Fra il 1950 e il 1970, sull’onda della decolonizzazione, in molti paesi arabi andarono al potere i movimenti che avevano condotto guerre contro le potenze coloniali. Da allora in poi il Medio Oriente è rimasto relativamente stabile (ad eccezione della rivoluzione in Iran). Gheddafi ad esempio rovesciò la monarchia libica nel 1969 ed ha tenuto il potere fino ad ogg
Ma i vertici dei regimi mediorientali in questi decenni hanno sfruttato la propria posizione per arricchirsi, alimentando il malcontento della popolazione che continua a vivere in miseria. Oggi le popolazioni sono in rivolta contro plutocrati al potere da troppo tempo, e che intendono trasferire il potere ai propri figli
Le attuali sollevazioni non sono state istigate né organizzate dagli integralisti islamici, che non avevano i mezzi per organizzare manifestazioni di tale entità, e se li avessero avuti sarebbero stati scoperti dalle forze di sicurezza che sarebbero intervenute fin dall’inizio. Gli Islamisti però cercheranno di sfruttare la rivolta a proprio vantaggio, ovviamente: non è detto che ci riescano
Non dimentichiamoci che sia il 1848 sia il 1968 non ebbero conseguenze rilevanti, e che non è facile manipolare una rivoluzione. Ma la Rivoluzione Russa del 1917 ci insegna che non sono i gruppi più popolari e più numerosi a vincere, bensì quelli meglio organizzati
L’esempio di Hitler è esemplare per capire a che cosa può portare una democrazia immatura: il Fuehrer andò al potere con mezzi democratici e legali, e subito abolì la democrazia fra gli applausi del popolo. L’Occidente, pronto a difendere i valori democratici, deve ricordare che dalle elezioni non sempre nasce un governo democratico.
Oggi ci troviamo di fronte a vere rivoluzioni, o a rivolte?
I raduni di persone che manifestano scontentezza e arringano la folla a ribellarsi non sono di per sé destabilizzanti – a meno che non siano di portata tale da paralizzare una città.
Di solito sono i giovani a scatenare le rivolte, anche perché gli adulti, le loro famiglie e gli anziani difficilmente vanno in piazza ad affrontare i carri armati.
Ma le rivolte per avere successo e diventare rivoluzioni devono attrarre la partecipazione di altre classi sociali: ad esempio in Iran i ‘bazari’ (commercianti e artigiani dei bazaar) si unirono ai giovani nelle grandi città.
Una rivoluzione richiede una base sociale ampia, soprattutto quando iniziano gli scontri fra i manifestanti e le forze di sicurezza. Se i manifestanti reggono i primi scontri e hanno il coraggio di andare avanti, allora la rivolta entra in una nuova fase. A questo punta conta non più il grande numero dei manifestanti, ma la loro tenacia – anche sotto i colpi di arma da fuoco
.
Il momento cruciale delle rivoluzioni
I rivoluzionari non possono sconfiggere da soli l’esercito, ma se i soldati rinunciano a sparare sulla folla unendosi alla rivolta, allora la rivoluzione è possibile. È questo il momento cruciale di ogni rivoluzione. In Bahrain le truppe hanno sparato sui dimostranti uccidendone alcuni e costringendoli alla fuga. In Egitto l’esercito si è schierato a favore dei manifestanti rendendo necessario un cambio ai vertici – anche se non un cambio di regime.
In Libia l’esercito è profondamente diviso e il rischio di guerra civile è concreto. I leader rivoluzionari possono sfruttare la guerra civile per fare la loro rivoluzione, trasformando i manifestanti in un esercito rivoluzionario – come fece Mao in Cina. Ma la rivoluzione riesce soltanto se alcuni contingenti delle forze di sicurezza si uniscono ai manifestanti. Per questo occorre osservare con attenzione le mosse dell’esercito, più che quelle degli studenti.
Il problema è che chi innesca una rivoluzione raramente ne vede la fine: i democratici di Alexander Kerensky innescarono la rivoluzione russa, ma furono i bolscevichi a prendere il potere alla fine.
Il pericolo del caos
Come dimostra il caso della Tunisia, non è detto che i rivoluzionari siano pronti a prendere il potere dopo la rivoluzione. I bolscevichi presero il potere perché avevano un partito organizzato. Nelle attuali rivolte i partiti stanno cercando di darsi una organizzazione adesso, e non hanno esperienza di governo. Il pericolo non è tanto la consistenza dei gruppi islamisti quanto il caos, che può essere sfruttato dagli integralisti per prendere il controllo della situazione – semplicemente perché sono gli unici ad avere un’organizzazione e un obiettivo preciso.
La situazione rimane fluida e per ora non si possono fare previsioni. Al momento tutti i regimi cercano di stare in sella. Se vogliamo azzardare una previsione, è probabile che le attuali rivolte non riusciranno a trasformare in modo sostanziale il mondo arabo ma – come nel 1848 – metteranno i semi dei cambiamenti futuri.
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