20 marzo 2011
La decisione è presa, l’obiettivo è chiaro: regime change, obbligare Gheddafi ad andarsene. Ci riusciremo.
E poi? Gheddafi lascerà un paese pronto a costruire nuove istituzioni, o i suoi sostenitori organizzeranno una guerriglia di lunga durata e la società libica cadrà nella guerra civile, come in Iraq, come in Afghanistan? E i paesi confinanti, essi stessi in piena crisi politica e sociale, che ruolo giocheranno?
Un paese può attraversare grandissime crisi politiche ed economiche e saper ricominciare a ricostruirsi un futuro migliore. Ma occorre che sia un paese; che la popolazione non metta in dubbio di appartenere ad un destino comune, di volersi dare istituzione unitarie.
Le società in cui l’appartenenza al clan o alla religione è più forte del senso di appartenenza nazionale si disfano. Ma come nasce il senso di appartenenza nazionale? L’esperienza delle nazioni multietniche, dei melting pots di successo (Stati Uniti, Canada, Australia, Israele) dimostra che l’orgoglio dell’appartenenza nazionale nella modernità nasce dal condividere istituzioni libere, dalla fede nella democrazia e dalla gioia di essere compartecipi del progresso economico e sociale. L’esperienza di governi centrali che inghiottono e dissipano risorse, anziché trasformarle in servizi e in possibilità di sviluppo comune, porta gli individui a cercare solidarietà e sostegno - ed anche un ruolo - nel clan e/o nella comunità religiosa. Non hanno alternativa.
Le immagini che ci giungono dal Giappone devastato da terremoto e tsunami e pericolo nucleare in questi giorni mostrano la capacità di tenuta di una società fortemente coesa. Dal modo arabo ci giungono notizie e immagini di ribellioni, di insurrezioni, di proteste. Che cosa ne nascerà? Non lo sappiamo. Il futuro dei paesi arabi non è nelle nostre mani: ma dalle evoluzioni del mondo arabo dipende anche il nostro futuro, e incominciamo a vederlo chiaramente.
A cura di Laura Camis de Fonseca
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