29 marzo 2011
L’11 % della popolazione filippina vive e lavora oltremare: più di due terzi di costoro sono in medio Oriente, molti anche in Giappone.
La massiccia emigrazione da parte degli abitanti delle Filippine ebbe inizio negli anni Settanta, in un periodo di forte instabilità economica e politica e di grande disoccupazione. La politica di “esportazione di manodopera” avviata sotto la presidenza di Ferdinand Marcos si è istituzionalizzata nel corso del tempo, con la promulgazione di disposizioni e norme indirizzate sia a proteggere i lavoratori filippini emigrati sia a regolare le loro rimesse, che oggi costituiscono il 10% del prodotto interno lordo della nazione. Tali entrate contribuiscono in modo molto significativo all’economia di un paese caratterizzato da un territorio limitato, senza terra sufficiente e senza un capitale industriale in grado di sostenere una popolazione numerosa e in crescita, in cui il 40% dei cittadini vive con meno di un dollaro al giorno.
La presenza di lavoratori filippini in tanti paesi rende anche difficili i rapporti diplomatici:
alcuni disaccordi con Taiwan hanno fatto temere il congelamento dell’occupazione per i lavoratori filippini dell’isola e analoghe considerazioni hanno portato il governo di Manila a non firmare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu n. 1973, che autorizza l’intervento in Libia.
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