Da un saggio del prof. Efraim Inbar del BESA Center for Strategic Studies, 13 aprile 2011
Israele è di nuovo sotto grande pressione interna ed esterna per riprendere ‘iniziative di pace’. Netanyahu potrebbe avanzare proposte in questo senso il prossimo mese durante la visita negli USA.
Ma l’Autorità Palestinese è in condizioni di estrema debolezza, frazionata fra opposte visioni del presente e del futuro della Palestina (quella di Fatah e quella di Hamas sono le principali, ma non le sole). E negli ultimi anni ha costantemente rifiutato - con varie scuse – anche soltanto di sedersi al tavolo delle trattative con Israele. La triste ma chiarissima realtà è che le parti non sono pronte a rinunciare a perseguire la lotta per la vittoria, e forse questa generazione non sarà ancora capace di volere davvero la pace. Così come la guerriglia si trascina da generazioni in altri conflitti etnico-religiosi (in Kashmir, in Nagorno-Karabakh), è probabile che il conflitto arabo-israeliano non trovi soluzione ancora a lungo.
Il fatto è che Israele non ha nulla a offrire che possa soddisfare davvero i Palestinesi. L’offerta del 2000, imposta dall’amministrazione Clinton a Israele, era al limite degli interessi nazionali minimi, ma è stata rifiutata dai Palestinesi. E il principio dei ‘due stati per due popoli’, l’unico su cui si possa avviare qualche iniziativa di pace, l’unico sulla cui base si può trattare, ha dimostrato di non essere realizzabile: è il principio su cui si è trattato fin dal 1947, e che non è mai stato accettato e implementato dalle parti arabe: che sono tante, e sempre in grande disaccordo fra di loro, pronte a combattersi anche internamente.
La stessa Autorità Palestinese sta chiedendo una soluzione in cui venga stabilito una specie di mandato ONU sotto controllo internazionale, non uno stato palestinese autonomo e indipendente. Proprio ora che la maggioranza degli stati arabi sono in condizioni di grave scompiglio e i popoli si ribellano alle istituzioni esistenti, nessuno può illudersi che uno stato palestinese sarebbe oggi in grado di darsi istituzioni credibili e di controllare il proprio territorio e la propria popolazione.
Qualunque processo che porti prima o poi alla pace non può che iniziare con un progetto di riduzione – nella realtà quotidiana - della aggressività e delle sofferenze dei popoli palestinesi e israeliano.
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