Nascerà un blocco sunnita
dominato dalla Turchia?

07/05/2011

Da un articolo di Ely Karmon dell’11 maggio 2011 per the Central Asia-Caucasus Institute & Silk Road Studies Joint Center.

Dopo il crollo dei regimi autoritari in Tunisia e in Egitto, il diffondersi di manifestazioni di massa in Yemen, Siria, Bahrein, lo scoppio della guerra civile in Libia e l’insorgere dei primi problemi in Oman, Kuwait e Arabia Saudita, in Occidente e nei circoli liberali e laici del mondo arabo cresce il timore che gli attuali disordini possano favorire l’ascesa dei movimenti islamisti. I Fratelli Musulmani, il più grande gruppo organizzato di opposizione in Egitto, durante la rivolta ha dichiarato di non aver intenzione di indicare un candidato presidenziale né di voler ottenere la maggioranza parlamentare alle prossime elezioni. [..] Tuttavia di recente ha annunciato la nascita del Partito della Libertà e dello Sviluppo, guidato da Mohamed Morsy (membro del comitato politico dei Fratelli Musulmani) il quale ha assicurato che il partito opererà in modo autonomo – pur coordinandosi con i Fratelli Musulmani – e non sarà ‘islamista’ alla vecchia maniera, ma ha anche detto di aspirare alla maggioranza dei voti.

Molti analisti sostengono che se i movimenti islamisti partecipano al processo politico vi sono più probabilità che questi gruppi si comportino in modo responsabile e democratico, come il Partito per la Giustizia e Sviluppo (AKP) in Turchia […]

Ovviamente i media turchi, specialmente quelli filogovernativi, sono felici che l’AKP sia diventato un modello per la democratizzazione di tutti i paesi arabi, anche perché questo non può che portare vantaggi all’amministrazione turca, che potrà così aumentare la propria influenza nella regione con maggiore facilità. Gli analisti (arabi e occidentali, n.d.t.) sanno che la piazza araba è ‘affascinata dalla Turchia e dai suoi dirigenti’ e considera il premier turco Redep Tayyip Erdogan un eroe.

Il caso turco

Tuttavia l’esperienza turca mostra anche i lati negativi di un approccio accomodante verso gli islamisti e le difficoltà che si incontrano nel cooptare i partiti islamici all’interno del processo politico. Non va scordato che l’esercito turco e le elite secolarizzate avevano tentato, senza successo, di includere gli islamisti nel processo politico  sin dagli anni ’80. Allora le elite laiche iniziarono a sottolineare l’importanza dell’elemento religioso nella vita politica del paese, con una campagna ideologica sulla ‘sintesi turco-islamica’, sperando che integrare gli islamisti nella politica di governo  significasse appropriarsi del programma  e dei voti filo-islamici. Invece di diminuire il ruolo dell’islamismo militante, l’apertura ha favorito la nascita e il rafforzamento di nuovi movimenti islamici nel paese.

Il rinnovato interesse della Turchia per i conflitti mediorientali all’indomani della vittoria dell’AKP nel 2002 venne salutato in Europa come un passo in avanti, una valida opportunità per creare un ponte fra l’Occidente e il mondo musulmano.  Questo sentimento mutò dopo la rielezione del 2007, quando l’AKP iniziò ad appoggiare la causa islamica in chiave anti occidentale. Nel frattempo lo AKP in patria assunse una veste  autoritaria. Tutto ciò era prevedibile: gli islamisti turchi avevano moderato i toni anti-occidentali accettando la democrazia parlamentare dopo che i militari avevano   deposto il Partito del Benessere (Refah Partisi) e la Corte Costituzionale ne aveva decretato lo scioglimento, e nel successivo anche quello del suo successore – il Partito della Virtù. Ma appena i poteri dell’esercito vennero ridimensionati l’AKP assunse  atteggiamenti autoritari.

Politica estera

L’inconsistenza della politica turca verso il Medio Oriente parla da sé.

Il primo ministro Erdogan ha ipocritamente chiesto alle autorità egiziane di ‘lasciare il potere e favorire la transizione’ alla democrazia, ma ha continuato ad appoggiare e a fare affari con il dittatore Basharal-Assad. Il fatto che la Siria sia il regime più repressivo della regione – come è stato ampiamente dimostrato dagli eventi delle ultime settimane – poco importava. Solo alla fine di aprile Erdogan sembra essersene accorto, e ha chiesto ad Assad di essere più moderato e di implementare le riforme. I capi della branca siriana dei Fratelli Musulmani Riad Al-Shafqa e Mohamed Tayfur si sono recati di recente in Turchia per incontrare i membri di alcune ONG turche e chiederne l’appoggio. A fine di aprile a Istanbul si è tenuto un incontro dei membri dell’opposizione siriana in esilio.

Inutile a dirsi, l’AKP si è ben guardato dal criticare l’Iran. Il presidente turco Abdullah Gul al contrario si è appena recato in visita a Teheran per rilanciare la cooperazione economica con gli ayatollah; durante l’incontro con il leader supremo Ali Khamenei Gul ha parlato dell’importanza che i governi godano di legittimità popolare, però ha evitato di incontrare i leader dell’opposizione. In effetti l’AKP negli ultimi anni ha appoggiato l’Iran: si è opposto alle sanzioni dell’ONU contro il programma nucleare iraniano e ha  agevolato l’aggiramento delle sanzioni con accordi economici e politici.

Lo spettro del neo-ottomanesimo nella politica estera turca potrebbe però cozzare con le ambizioni egemoniche della Repubblica Islamica e portare a una situazione analoga a quella che vide lo scontro fra Impero Ottomano e Safavide. 

Se Egitto e Siria seguiranno il modello turco, Ankara non potrà che beneficiarne. Come osserva l’esperto israeliano Efraim Inbar, non è difficile immaginare uno scenario in cui l’islamizzazione crescente dei governi mediorientali porti a una maggiore islamizzazione della Turchia, che la porti a ricreare un forte stato musulmano proprio ai margini dell’Europa.  

In Iran qualcuno ha già iniziato a osservare criticamente l’ascesa della Turchia, che potrebbe minacciare le ambizioni iraniane. Sebbene i legami fra Teheran e Ankara servano all’Iran ed evidenzino l’inutilità delle sanzioni internazionali, secondo alcuni osservatori iraniani la Turchia ne trae più vantaggi dell’Iran. Il quotidiano di economia Donya-ye Eqtesad ha sottolineato che le relazioni fra i due paesi non sempre sono state caratterizzate da un clima di amicizia; al contrario in molti casi ha prevalso la rivalità  per l’egemonia sulla regione.

Conclusioni

Grazie ai disordini in Medio Oriente e Nordafrica, la Turchia potrebbe aumentare l’influenza nella regione e trasformarsi nel nuovo leader regionale. L’AKP si è mosso con attenzione e scaltrezza durante le attuali rivolte nell’avvicinarsi ai circoli islamisti – ad esempio appoggiando attivamente Hamas nella competizione contro l’Autorità Palestinese controllata da Fatah, schierandosi contro i tentativi israeliani di isolare Gaza, appoggiando il presidente sudanese islamista Omar al-Bashir, coltivando i rapporti con il regime siriano e aumentando l’influenza in Libano un po’ con tutte le parti in gioco.

Il nuovo ruolo regionale della Turchia e il rispetto che i paesi arabi hanno per il governo turco saranno elementi cruciali nelle elezioni del 2011, che potrebbero indurre l’AKP ad accelerare il processo di islamizzazione del paese.

Se i partiti islamisti andranno al potere nei paesi del Medio Oriente nei prossimi mesi, nella regione potrebbe nascere un blocco sunnita dominato dalla Turchia, che ne diventerebbe il leader naturale grazie alla forza della sua economia e alla sua posizione politica a livello internazionale. Chiaramente in uno scenario simile i vertici turchi avrebbero sempre meno interesse ad allinearsi con l’Europa.  

Se questo avvenisse, prima o poi questo blocco sunnita entrerebbe in contrasto con il regime teocratico iraniano, prima di tutto per l’egemonia sulla Siria e sul Libano.

Come accade spesso in Medio Oriente la competizione per l’egemonia regionale invece di favorire maggiore cooperazione e stabilità, potrebbe portare a una maggiore radicalizzazione e violenza.

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