La crisi in Siria
e la sua storia

13/05/2011

13 maggio 2011

La Siria è palesemente in crisi: da Daraa le manifestazioni si sono estese all’area curda del nordest, all’area costale di Latakia e  fino alle roccaforti sunnite di Homs e Aleppo e alla periferia di Damasco. Di fronte alle difficoltà, il regime ha annunciato nuove riforme a parole, ma nei fatti ha fatto ricorso al consueto pugno di ferro per schiacciare le proteste arrestando e ammazzando centinaia di manifestanti, tagliando acqua ed elettricità alle zone più ‘calde’ e dimostrando di essere pronto a tutto per restare al potere.

Tuttavia la crisi non ha ancora raggiunto un livello tale da far pensare all’imminente fine del regime siriano.

Il regime siriano si regge su quattro pilastri:

1)   il clan Assad;

2)   l’unità Alawita;

3)   il controllo Alawita sulle forze di sicurezza e sui servizi segreti;

4)   il monopolio del partito Ba’ath sul sistema politico.

L’ascesa degli Alawiti

Si stima che tre quarti della popolazione siriana (circa 22 milioni) sia sunnita – compresa la minoranza curda del nordest. La Siria – proprio come il Libano – si guarda bene dal condurre censimenti per non alimentare il malcontento nella popolazione, quindi è difficile determinare quanto sia cresciuta la minoranza alawita: secondo alcune stime dovrebbe contare circa 1,5 milioni di persone,  il 7% della popolazione.  Sciiti e Ismaeliti si aggirano intorno al 6%, i Cristiani greco-ortodossi e maroniti attorno  al 10% e i Drusi attorno al 3%.

Dal 1970 la Siria è controllata dalla minoranza alawita, considerata eretica dalla maggior parte dei Musulmani perché non applica la sharia e non segue le più comuni pratiche islamiche – come la chiamata islamica alla preghiera, il pellegrinaggio alla Mecca, il divieto di bere alcolici, etc. Gli Alawiti sono stati spesso considerati  vicini agli Sciiti, ma in verità hanno molti tratti comuni con i Cristiani,  oltre che con Sunniti e Sciiti. La religione alawita si staccò dallo sciismo duodecimano nel IX secolo sotto la guida di Ibn Nusayr (per questa ragione gli alawiti si chiamavano nussairiti fino al 1920).

Gli Alawiti sono sempre stati divisi in tribù, spesso in lotta fra loro, concentrate per lo più nella provincia di Latakia, nell’unico lembo di terra che ha accesso al mare – per questo i Sunniti si sono sempre opposti all’indipendenza alawita (vedi mappa).

Perseguitati dai Sunniti, gli Alawiti nel Medioevo si rifugiarono sui monti della Siria nordoccidentale, dove mantennero un’autonomia precaria. In epoca ottomana erano soliti vivere nelle campagne impoverite, mentre i Sunniti vivevano principalmente nei centri urbani e gestivano il potere politico. Con il crollo dell’Impero Ottomano e l’istituzione del Mandato Francese (1920-1946) sull’area dell’attuale Siria e Libano, la Francia decise di puntare su Alawiti, Drusi e Cristiani per arginare il potere dei Sunniti e mantenere il controllo della regione.

Sotto il dominio francese per la prima volta agli Alawiti venne concesso di arruolarsi nell’esercitonella polizia e nei servizi segreti, fino a quel momento privilegio della maggioranza sunnita. Dopo l’indipendenza della Siria (1946) i Sunniti si riappropriarono del potere e tentarono di estromettere le minoranze dalle istituzioni dello stato. Ma sottovalutarono il ruolo che gli Alawiti ricoprivano ormai all’interno dell’esercito e dei servizi segreti.

Ma la svolta decisiva si ebbe  con la nascita del partito Ba’ath (Partito Arabo Socialista) nel 1947. Gli Alawiti, discriminati da secoli, abbracciarono immediatamente l’ideologia laico-socialista del partito, sperando di riscattare la loro posizione. I Sunniti invece si divisero fra i favorevoli al programma socialista laico e gli islamisti che ne contestavano i principi.

Nel 1963 il generale sunnita Hamin al-Hafiz depose con un colpo di stato gli ufficiali sunniti ostili al Ba’ath, sgombrando così la strada agli Alawiti, che occuparono i ranghi più alti dell’esercito, e poi compirono un altro colpo di stato nel 1966. Su incoraggiamento del Ba’ath gli Alawiti si spostarono allora in massa verso i centri urbani mettendo fine alla contrapposizione città-campagna dei secoli precedenti.

Fu solo nel 1970 – dopo una serie di colpi di stato messi in atto da clan rivali alawiti– che emerse la figura di Hafiz al-Assad (padre dell’attuale Bashar al-Assad),  il quale seppe riportare l’equilibrio in Siria.  Al Assad nominò ai vertici delle forze armate e dei servizi di sicurezza i suoi più fedeli collaboratori, costruì importanti e solide alleanze con le minoranze drusa e cristiana, e seppe anche cooptare importanti ufficiali e industriali sunniti per proteggersi le spalle.  Si mostrò  intollerante invece nei confronti degli islamisti – in particolare con i Fratelli Musulmani – che si ostinavano a ribellarsi al regime – come dimostra il massacro di Hama del 1982, in cui morirono circa 20.000 persone.

Oltre alla minaccia islamista Hafiz al Assad dovette affrontare anche la minaccia interna del fratello Rifaat che, approfittando dei problemi di salute di Hafiz, tentò di organizzare un colpo di stato per impadronirsi del potere. Immediatamente scoperto, venne mandato in esilio a Parigi. Basil al Assad, figlio e successore designato di Hafiz , morì in un incidente stradale nel 1994; perciò nel 2000, alla morte di Hafiz al Assad, il potere passò nelle mani del figlio cadetto Bashar, studente di oftalmologia di scarsa esperienza politica.

Il regime degli Assad sopravvisse a diversi ‘traumi’, fra cui la guerra dello Yom Kippur del 1973, l’invasione israeliana del Libano nel 1982 e il ritiro forzato della Siria dal Libano nel 2005.  L’intervento a fianco dei Cristiani maroniti durante la guerra civile libanese (1975-1990) permise alla Siria una sempre maggiore influenza sul Libano.  Dal punto di vista della Siria  il Libano non è solo un’estensione naturale del proprio territorio, ma  anche il cuore economico della ‘Grande Siria’, tramite cui Damasco può avere accesso al mare e ai ricchi commerci fra l’oriente e il bacino del Mediterraneo. 

Gli interessi strategici siriani e l’alleanza con l’Iran

La Siria approfittò della guerra civile libanese (1975-1990) per infiltrarsi in Libano. Dovette fare i conti non solo con Israele, ma anche con l’OLP capeggiata da Yasser Arafat, che si opponeva all’egemonia siriana in Libano.

 

All’inizio degli anni ‘80 la Siria aveva interesse a ridimensionare il potere del regime baathista di Saddam Hussein in Iraq, con cui intratteneva pessime relazioni nonostante  i simili ideali baatisti.  Per questo si avvicinò all’Iran, che avrebbe fatto qualunque cosa pur di indebolire Saddam,  contro cui combattè una lunga guerra (1980-88). Unendo le forze Siria e Iran estesero la loro influenza nella regione, contrastando in maniera efficace sia Israele sia le potenze sunnite.

 

Ma come conciliare il secolarismo della Siria e il fanatismo religioso della Repubblica Islamica? Qui entra in gioco Hezbollah. Nato dal movimento Amal (allora il principale movimento sciita siriano), divenne rapidamente un importante alleato strategico di Damasco e di Teheran. La Siria poteva servirsene come arma di pressione contro Israele mentre la Repubblica Islamica poteva usarla per esportare la rivoluzione nel mondo arabo sunnita. Iran e Siria si divisero i compiti:

·      le Guardie della Rivoluzione iraniane si sarebbero occupate di addestrare e finanziare i miliziani di Hezbollah;

·      la Siria avrebbe creato le condizioni per permettere alle Guardie della Rivoluzione iraniane di aprire campi d’addestramento nella valle del Bekaa e garantire il flusso dei rifornimenti attraverso il proprio territorio.

 

Ma la Siria ed Hezbollah ebbero anche una serie di diverbi a partire dai primi anni ’80, quando il movimento sciita, su ordine di Teheran, alzò il tiro provocando l’intervento straniero in Libano (considerato da Damasco territorio siriano). Damasco voleva che Hezbollah obbedisse ai suoi ordini. Di fronte al rifiuto prese anche misure drastiche: tant’è che nel 1987 fucilò 23 dei suoi membri.

2005: la Siria in difficoltà

Nel 2000, grazie all’aiuto di Siria e Iran, Hezbollah riuscì a spingere Israele al ritiro dalla zona di sicurezza del Libano meridionale, mostrandosi attore autorevole sulla scena politica libanese.

L’invasione statunitense dell’Iraq del 2003 fu accolta benevolmente da Iran e Siria, che potevano finalmente sbarazzarsi del principale rivale regionale: Saddam Hussein. Da allora  l’Iran ha usato tutti i mezzi a disposizione per consolidare l’egemonia sull’Iraq – paese a maggioranza sciita. La Siria invece ha accolto i baathisti sunniti iracheni nella speranza di ingraziarsi le forze laiche che presumibilmente avrebbero governato il paese dopo Saddam.

 

Il 14 marzo 2005 l’esplosione di un’autobomba uccise l’ex primo ministro libanese Rafik-al-Hariri, strenuo oppositore della Siria.  L’attentato fu probabilmente organizzato da elementi sei servizi segreti siriani ed eseguito da agenti di Hezbollah. Damasco forse non si aspettava che l’eliminazione di al-Hariri avrebbe scatenato una rivolta massiccia – appoggiata anche da paesi occidentali come Francia e USA – che l’avrebbe obbligata a ritirare le truppe dal Libano.

 

Il vuoto lasciato dalla Siria in Libano fu immediatamente riempito dall’Iran, che aveva interesse a rafforzare Hezbollah e a scatenare una guerra con Israele per distogliere l’attenzione dal suo programma nucleare – come avvenne infatti nel 2006.

 

Negli ultimi due anni la Siria è passata di nuovo all’offensiva in Libano: i servizi segreti siriani hanno infiltrato tutte le istituzioni del paese e i politici libanesi che in passato hanno osato schierarsi contro Damasco sono stati costretti a chiedere scusa.  Persino Saad al-Hariri, figlio di Rafik al-Hariri, si è scusato per aver accusato la Siria dell’omicidio del padre.  

 

L’Iran e Hezbollah non sono affatto contenti di questa situazione.  Damasco infatti sfrutta la propria autorità in Libano per diversificare le proprie opzioni in politica estera e non essere obbligata a legarsi in modo esclusivo  a Teheran.

 

Gli obiettivi strategici della Siria

 

  All’inizio degli anni ’80 la Siria voleva:

·      acquisire profondità strategica in Libano (obiettivo raggiunto);

·      eliminare Saddam Hussein (obiettivo raggiunto);

·      rimuovere gli ostacoli che limitavano l’estendersi dell’influenza siriana in Libano.

 

Negli anni ’70 il principale ostacolo all’influenza siriana in Libano era l’OLP di Arafat, oggi invece sono Hezbollah e la Repubblica Islamica. Hezbollah però dipende in larga parte dai rifornimenti siriani, e anche i suoi sistemi di comunicazione sono parzialmente controllati dai servizi segreti della Siria.  Per contenere Hezbollah Damasco appoggia ora altri movimenti: Amal, il Syrian Social Nationalist Party, al-Ahbash, i Nesseriti, il partito Baath e il Mirada di Suleiman Franjiye.

La rivalità fra Iran e Siria non è circoscritta al Libano, si estende anche all’Iraq, paese che confina sia con la Siria che con l’Iran. Damasco vorrebbe un governo laico (composto da ex baathisti) a Baghdad e teme che l’Iraq diventi un satellite della Repubblica Islamica (come pare stia avvenendo).

 

La Siria continua a fare il doppio giocomette freni a Hezbollah per rabbonire gli Stati Uniti e ottenere l’assenso occidentale a espandersi in Libano; allo stesso tempo incontra regolarmente gli emissari di Teheran e di Hezbollah per mostrare fedele collaborazione. Ma questo delicato equilibrio inizia a scricchiolare, e la fiducia fra i tre alleati sta venendo meno.

 

Gli USA hanno grande bisogno dell’aiuto delle Siria per ostacolare l’espansionismo iraniano nella regione, ora che intendono ritirarsi dall’Iraq. Colloqui segreti sono in corso da lungo tempo fra Siriani, Sauditi, Americani e Israeliani. Questi però sono esasperati dall’atteggiamento mercantilista della Siria, che cerca di ottenere il massimo da tutti offrendo poco o nulla in cambio.

L’attuale crisi: che cosa dobbiamo aspettarci?

L’esercito siriano è tuttora dominato dagli Alawiti: dei 200.000 soldati di professione, il 70% è alawita, così come l’80% degli alti ufficiali. La Guardia Repubblicana – il corpo più elitario del paese – è totalmente alawita, mentre dei tre battaglioni di terra, due sono guidati da Alawiti e uno dai Circassi sunniti di Aleppo. Solo i coscritti – che devono fare dai due ai tre anni di servizio militare – sono per lo più sunniti, ma sono strettamente controllati. La maggior parte dei piloti dell’aeronautica sono sunniti,  ma gli Alawiti controllano i reparti logistici, gli impianti di manutenzione e le telecomunicazioni, e potrebbero soffocare sul nascere qualsiasi tentativo di sabotaggio e/o rivolta delle forze aeree. Inoltre i servizi segreti dell’aeronautica, che hanno il compito di monitorare i piloti, sono dominati dagli Alawiti.

Il regime pare essere in una botte di ferro: solo perdendo il controllo delle forze armate – che conducono la repressione – gli Alawiti potrebbero cadere. Esiste pur sempre il rischio di lotte intestine: infatti i rivali del clan Assad potrebbero sfruttare la delicata situazione per effettuare un nuovo colpo di stato. I rischi sarebbero però troppi: se cadesse l’attuale regime, tutti gli Alawiti ne soffrirebbero, e il ricordo delle discriminazioni subite è ancora troppo fresco.

La posizione della comunità internazionale

A differenza del regime libico, immediatamente finito nell’occhio del ciclone, la Siria può ancora contare sull’appoggio – o per lo meno sulla ‘non ingerenza’ – degli attori regionali (Turchia, Israele, Arabia Saudita) e degli Stati Uniti, preoccupati delle conseguenze della caduta del regime alawita e del pericolo islamista in Siria. Il regime siriano ha molto più interesse a mantenere l’egemonia sul Libano piuttosto che a riprendere le ostilità con Israele, e sino ad oggi ha saputo contenere il radicalismo degli ayatollah iraniani e dei suoi diretti emissari (Hezbollah, Hamas, Jihad Islamico) se necessario – non a caso la seconda guerra del Libano è scoppiata dopo il ritiro della Siria dal Libano (2006).

Neppure  il partito islamista turco Giustizia e Sviluppo (AKP)del premier Tayyip Erdogan, che ha timidamente mostrato l’intenzione di prendere contatti con le opposizioni siriane – specialmente con i Fratelli Musulmani – ha interesse a vedere un cambio di regime che potrebbe rafforzare la minoranza curda e causare un’ondata di profughi verso la Turchia.

Infine gli USA e i suoi alleati della NATO, che già hanno truppe schierate in numerosi teatri di guerra (Afghanistan, Iraq e Libia) non hanno intenzione di lanciarsi in un nuovo conflitto mediorientale dall’esito quanto mai incerto.

In conclusione, il regime di Assad è tuttora in sella, il controllo alawita sull’esercito non ha subito contraccolpi, e il monopolio del partito Ba’ath sulla politica è rimasto intatto. Inoltre gli Alawiti, che meno di un secolo fa erano ancora considerati cittadini di serie B, faranno senz’altro in modo di sanare le divergenze interne per paura di perdere il potere. Che il regime siriano cada è perciò per ora ancora poco probabile: la spallata la potrebbe dare l’Iran, ma non pare che al momento abbia interesse a farlo.  

A cura di Davide Meinero

 

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