Un racconto di prima mano da Baghdad
pubblicato da Stratfor il 10 giugno 2011

16/06/2011

Nel 2003, subito dopo la caduta di Saddam, Baghdad, pur priva di governo e di polizia, era una bella città. Nel 2004 le attività commerciali erano ripartite, la gente era felice e i negozi erano aperti fino a mezzanotte. Non c’era penuria di carburante né di energia elettrica, le strade erano pulite e il tasso di criminalità era basso. La gente non aveva paura di essere rapita o di saltare in aria. […] C’era addirittura un leone allo zoo di Baghdad, anche se ho saputo che è poi morto di vecchiaia.

Il 2 marzo 2004 il distretto sciita di Kasimiyah fu teatro di violenti esplosioni in cui morirono decine di persone e moltissime rimasero ferite. Da allora gli attentati dovuti alla rivalità fra Sunniti e Sciiti si moltiplicarono trasformando la città in un inferno.

Oggi le strade sono in pessime condizioni, con pattume ovunque – ancora quello del 2003! – molte strade sono bloccate da muri di cemento, vi sono posti di blocco ovunque;  ma chi lavora ai posti di blocco non sembra preparato ad affrontare  potenziali pericoli: infatti  le auto che passano  ben raramente vengono controllate… […] I soldati e la polizia non si sentono leali allo stato iracheno, vanno a lavorare solo per ricevere uno stipendio e sopravvivere. Un tassista mi ha detto che il governo è il primo a non far rispettare la legge, perciò i soldati hanno paura di fermare persone importanti che potrebbero vendicarsi in un secondo momento. […] In ogni caso a ogni posto di blocco ci sono attrezzature che servono a trovare eventuali fucili e esplosivi a bordo della auto. […] Mi è stato detto che la maggior parte degli omicidi sono una ‘questione interna’: siccome la polizia e i soldati sono gli unici autorizzati a portare le armi, gli omicidi spesso avvengono per questioni di rivalità o odio reciproco all’interno delle stesse forze di sicurezza. […]

Una mattina siamo andati molto presto nella ‘Zona Verde’,  la zona ‘sicura’ della città dove si trovano le ambasciate straniere. Non mi sembrava affatto sicura: abbiamo attraversato molti controlli per la sicurezza – due iracheni e uno di un’azienda per la sicurezza americana . Qui ci hanno fatto posare telefoni cellulari, acqua e altri liquidi. Il limite di velocità era di circa 7 km/h e c’erano dossi che avrebbero potuto rompere i cingoli di un carro armato. Non c’è vita nella Zona Verde: tutti i negozi sono chiusi, l’area è totalmente militarizzata e sembra una base militare.

A Baghdad e in altre aree inoltre c’è il problema dell’energia elettrica: durante l’estate, la corrente dura meno di dieci ore al giorno. Ovviamente la popolazione è arrabbiata e ritiene il governo responsabile di tali inefficienze. Anche le fogne sono fuori uso – dove esistono – e la disoccupazione è molto alta.

Le persone con cui ho parlato mi hanno rivelato che la città è totalmente sotto il controllo sciita: non solo le forze di sicurezza, ma anche i negozi e le aziende. Durante gli scontri degli anni scorsi i Sunniti hanno lasciato le loro case e i negozi che sono stati immediatamente presi dalle famiglie sciite, i quali non hanno intenzione di restituirli. Il quartiere sunnita di Baghdad è circondato da muri di cemento – simili alla barriera di sicurezza di Israele – e vi sono solo due entrate per accedervi. I Sunniti sono scontenti perché si sentono controllati piuttosto che protetti.

La corruzione dilaga […], non si può ottenere nulla senza pagare. Il tassista dello staff governativo mi ha raccontato una storia: “Devi capire che nell’ufficio passaporti  il funzionario ti dice che non c’è modo di ottenere il passaporto, poi si alza e si dirige verso il bagno. Tu devi seguirlo e dargli del denaro; i bagni sono i luoghi dove si pagano le tangenti.” E ha aggiunto che questo vale per tutti gli uffici governativi, non solo per i passaporti.

 

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