La diaspora iraniana da Parigi
È giunta l'ora del cambiamento

20/06/2011

Il 18 giugno 2011 si è tenuto il grande raduno del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana al Parco delle Esposizioni di Villepinte, cittadina della periferia di Parigi, cui partecipano ogni anno migliaia di rifugiati iraniani per difendere i diritti umani contro la dittatura religiosa dei mullah in Iran. La data è simbolica: in quest’occasione si ricorda il massacro del 20 giugno 1981, quando il neonato regime khomeinista massacrò migliaia di oppositori che erano scesi in piazza per protestare contro l’autoritarismo del nuovo governo,  costringendo i sopravvissuti  a fuggire all’estero.

Straordinaria la partecipazione: oltre 120.000 Iraniani sin dalle prime ore del pomeriggio affollavano il Parco delle Esposizioni, addobbato a festa per l’importante evento. Fra i partecipanti anche numerose ‘star’ della politica internazionale, a partire da Patrick Kennedy, che dal palco letteralmente urla il suo appoggio alla Resistenza contro il ‘fascismo islamico’ della Repubblica Islamica dell’Iran, a Rudy Giuliani, ex-sindaco di New York, a Vidal-Quadras, vice-presidente del Parlamento Europeo, e molte altre decine di parlamentari, sindaci, senatori e politici da oltre quaranta stati di tutto il mondo che appoggiano la causa della resistenza e si battono per un cambio di regime in Iran.

Un’ora dopo l’inizio della manifestazione arriva il gran momento: Maryam Rajavi, presidente del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI) e moglie di Massoud Rajavi, leader dei Mojahedin del Popolo (MEK) che si battono contro il regime iraniano  dopo essersi battuti contro la dittatura dello scià Reza Pahlavi – arriva al Parco delle Esposizioni fra gli applausi  del folto pubblico iraniano.  Dopo aver ricordato le oltre 100.000 vittime della resistenza dal 1981 a oggi, sale sul palco per il discorso.

Maryam parla delle manifestazioni degli ultimi mesi, elogia il coraggio dei giovani Iraniani e critica duramente i metodi repressivi del regime che in questi anni ha continuato a torturare, incarcerare e assassinare la popolazione scesa in piazza per chiedere libertà e democrazia.  Il messaggio è chiaro: ‘regime change’,  non esistono i ‘riformatori’ – di cui parlava la stampa occidentale dopo le manifestazioni del 2009 – all’interno del regime; come dice Masoud Rajavi ‘una vipera non può partorire una colomba’. E le lotte intestine degli ultimi anni lo dimostrano: l’ayatollah Montazeri, successore designato di Khomeini, venne purgato nel 1988 per le sue posizioni troppo ‘moderate’ – perché criticò i metodi repressivi del regime che in una sola estate uccise oltre 20.000 oppositori, molti dei quali Mohahedin; Mousavi, sedicente leader dell’onda verde nel 2009 e primo ministro sotto Khomeini (1981-89), è agli arresti domiciliari da alcuni mesi; il ‘pilastro del regime khomeinista’ Rafsanjani è stato rimosso dalla presidenza dell’Assemblea degli esperti; senza parlare dei continui scontri fra il leader supremo Khamenei e il presidente Ahmadinejad, che mettendosi a capo dei Pasdaran (Guardie della Rivoluzione) vorrebbe aumentare il proprio potere all’interno del regime contro il parere dei mullah. La radiografia è chiara: il regime è agli sgoccioli, è ora di cambiare.  Maryam denuncia le costanti violazioni dei diritti umani del regime iraniano e chiede lo smantellamento del ‘velayat e-faqih’ (il governo clericale assoluto, principio su sui si basa la Repubblica Islamica) e la fine del regime, che da oltre trent’anni finanzia i movimenti terroristici nella regione e tenta di esportare il fondamentalismo islamico nel mondo.

Nel suo discorso la presidente del CNRI fa cenno ai numerosi tentativi di delegittimazione subiti negli ultimi anni, non ultimo quello del 2003 quando gli uffici del CNRI in Francia vennero perquisiti dalla polizia francese e numerosi membri vennero arrestati su suggerimento del regime iraniano, che aveva fabbricato ad arte centinaia di migliaia di pagine di accuse (infondate) che andavano dalla tortura all’omicidio dei propri membri, al terrorismo, all’associazione criminale, allo sfruttamento di giovani e donne contro il loro volere, al riciclaggio di denaro sporco fino al massacro dei Curdi e degli Sciiti iracheni. La vicenda fortunatamente finì bene, e alla fine la giustizia francese assolse tutti i membri della resistenza perché ‘i fatti non sussistevano’.

Poi il pensiero vola a Campo Ashraf, in Iraq, dove tuttora vivono oltre 3.000 Mojahedin del Popolo – la principale forza del CNRI – che si battono contro il regime iraniano. Secondo il CNRI, Ashraf è tuttora il cuore pulsante della rivolta iraniana, il simbolo della libertà dall’oppressione. Dopo l’invasione americana del 2003 i cittadini di Ashraf – che vivevano in Iraq dalla metà degli anni ’80 – deposero le armi e vennero posti sotto la protezione degli Stati Uniti in base alla Convenzione di Ginevra. Ma da quando la sicurezza dell’Iraq è passata nelle mani del governo iracheno, il premier Nouri al-Maliki, appoggiato dal regime iraniano, ha tentato ripetutamente di eliminare i Mojahedin – il 28-29 giugno del 2009 e l’8 aprile del 2011. Nell’ultimo raid sono state uccise 34 persone e sono state commesse gravi violazioni dei diritti umani (come è possibile vedere in questo video). Ora che le truppe americane si apprestano a lasciare il paese, la preoccupazione aumenta: è evidente che l’Iraq si sta rapidamente trasformando in un satellite della Repubblica Islamica. Ayad Allawi, capo del principale partito di opposizione, ha denunciato con forza il brutale attacco contro i MEK, aggiungendo che al-Maliki, premier iracheno sostenuto dall’Iran, non ha fatto altro che ‘imprigionare persone innocenti, alimentare la corruzione e commettere gravi violazioni dei diritti umani’ da quando è al potere. La Resistenza chiede con forza alla Nazioni Unite e agli USA di rispettare gli impegni presi e di intervenire con decisione per evitare il massacro di persone innocenti ad Ashraf.

La sig.ra Rajavi ha poi espresso solidarietà ai manifestanti della ‘primavera araba’, dalla Siria alla Libia, ha elogiato il loro coraggio invitandoli a non desistere nella lotta per la libertà. Quindi rilancia il programma politico della Resistenza: ‘Il nostro obiettivo è stabilire una repubblica democratica basata sulla separazione fra stato e chiesa e sull’uguaglianza di genere […]. Vogliamo un Iran senza bomba atomica. […] Il nostro programma si può così riassumere: libertà, uguaglianza e supremazia del voto popolare’.

Al termine del discorso la folla è esplosa in un boato: ‘Viva la Resistenza, viva Ashraf, viva la libertà!’ Con questo slogan, ripetuto come un mantra, gli Iraniani della diaspora tengono accesa la fiamma della speranza, e si congedano in serata rimandando l’appuntamento all’anno prossimo, a Teheran. Ci auguriamo che sia davvero così.

Davide Meinero

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