5 settembre 2011
Il voto che si terrà a settembre alle Nazioni Unite per il riconoscimento dello stato palestinese è giuridicamente ineccepibile. Il diritto internazionale odierno riconosce alle nazioni il diritto all’autodeterminazione, e la nazione palestinese, forgiata in sessant’anni di lotta contro Israele, ha diritto di dichiarare lo stato.
Il problema è un altro: quali sono le basi su cui la nazione palestinese intende creare lo stato? I Palestinesi sono divisi in due gruppi che hanno concezioni totalmente diverse:
Fatah, che governa la Cisgiordania, si ispira ancora all’ideologia del movimento panarabo laico da cui è nato – la stessa dei regimi saliti al potere fra gli anni ’50 e ’60, entrati definitivamente in crisi con la ‘primavera araba’ – e vede la Palestina come uno di quegli stati arabi i cui governi proprio in questo periodo stanno crollando o sono crollati.
Hamas, che governa Gaza, invece è un movimento islamista, che vede la nazione palestinese come parte integrante del concerto di stati islamici governati dalla sharia.
Hamas e Fatah hanno anche posizioni diverse rispetto ad Israele: mentre Fatah appare rassegnata ad accettarne l’esistenza, Hamas ne vuole la distruzione totale.
Fatah gode del sostegno di buona parte dei paesi occidentali e arabi perché viene percepito tuttora come un movimento ‘moderato’.
Hamas invece può contare sull’appoggio degli Islamisti della regione e del governo di Teheran, ma è fisicamente e ideologicamente isolato e per diventare incisivo deve rompere l’isolamento imposto non soltanto da Israele, ma dall’Egitto. Come fare? È poco probabile che i vertici militari egiziani al potere intendano davvero sostenere Hamas, né oggi né in futuro, ma potrebbero esserci costretti dall’opinione pubblica, in caso di guerra. La società egiziana – compresi quasi tutti i gruppi di opposizione – non è favorevole al trattato di pace con Israele ed è visceralmente anti-israeliana.
Che strategia ha Hamas? Perché insiste sulla richiesta di un voto all’ONU che non cambierebbe affatto la situazione sul terreno e non porterebbe automaticamente alla creazione di un governo unico dello stato? Qui occorre considerarecome convergono gli interessi di Hamas, Hezbollah, Assad di Siria e Iran.
Per il regime di Bashar al Assad in Siria una guerra contro Israele distoglierebbe i riflettori della comunità internazionale dalle dure repressioni interne e compatterebbe forse i Siriani contro il nemico esterno.
Hezbollah e Hamas sostengono il regime di Assad, che li ha sempre finanziati generosamente, e potrebbero essersi accordati, con la regia dell’Iran, per aumentare le provocazioni contro Israele fino a scatenare una violenta reazione.
In caso di guerra anche Fatah, per evitare di essere accusata di collusione con Israele, sarebbe costretta a scatenare una terza intifada, anche a costo di mettere a repentaglio l’economia. E gli stati arabi ‘moderati’ della regione dovrebbero prender tutti posizione contro Israele, spinti dall’opinione pubblica. Ma la vera posta in gioco per Hamas – e per l’Iran – è l’Egitto.
Una violenta guerra su Gaza il prossimo autunno potrebbe scardinare il fragile potere dei vertici militari egiziani, sotto pressione dell’opinione pubblica, e portare i Fratelli Musulmani al potere? Come minimo li spingerebbe a prender posizione contro Israele ed aiutare Hamas, pur di rimanere in sella, che sarebbe già una vittoria per Hamas.
Gli attacchi dello scorso agosto sulla strada di Eilat e i molti razzi sparati successivamente sono stati fatti per saggiare le reazioni dell’Egitto e del suo attuale governo. Hamas ha attribuito gli attacchi a un altro gruppo presente a Gaza: ma è la solita tattica di creare gruppi con altri nomi (come Settembre nero negli anni 70) per fare il lavoro sporco, perché l’organizzazione principale possa apparire sulla scena internazionale con le mani ufficialmente pulite.
È prevedibile che in autunno assisteremo a una serie di provocazioni sempre più sanguinose contro Israele sia da Gaza che dal Libano (Hezbollah), in concomitanza con la campagna per il voto all’ONU e con la campagna di boicottaggio e delegittimazione di Israele presso l’opinione pubblica internazionale, finché Israele sarà costretto a reagire.
A questo punto Hamas e l’Iran sperano che in Egitto prendano il sopravvento gli islamisti, o che come minimo i militari al potere cancellino il trattato di pace con Israele.
Purtroppo Israele si trova in balia delle decisioni altrui, come sempre. Questa è la sua estrema debolezza strategica. Per sopravvivere deve usare una cospicua forza militare e stroncare gli attacchi violentemente in pochi giorni: prima quelli da Gaza, poi quelli di Hezbollah dal Libano. Quindi stroncare anche l’intifada.
L’opinione pubblica mondiale li condannerà: è il solito copione. Ma non hanno altra scelta per sopravvivere. Paese di pochi milioni di Ebrei circondato da 300 milioni di ‘vicini’ che periodicamente provano a sterminarli, e ne parlano abitualmente, non ha altra scelta che difendersi violentemente, mantenendo una forza miliare superiore.
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