Il 20 ottobre 2011 è terminata la fuga del colonnello Muammar Gheddafi, catturato e ucciso a sangue freddo. Di fatto il regime era già crollato quando le forze ribelli erano entrate a Tripoli sconfiggendo i lealisti – grazie ai bombardamenti della NATO.
E adesso? La Libia è un paese fortemente diviso lungo linee tribali. Finora l’unico collante che ha tenuto insieme i ribelli era la presenza di un nemico comune: Gheddafi. I nuovi vertici riusciranno trovare un accordo interno oppure il paese verrà trascinato in una guerra civile?
Attualmente sono due gli attori che controllano le principali città libiche:
1) Il Consiglio Nazionale di Transizione, originario di Bengasi e spostatosi nella capitale (Tripoli) dopo la caduta del regime;
2) Il Consiglio Militare di Tripoli, un gruppo variegato ben distinto composto da Arabi e Berbere, islamisti e laici.
La situazione è complessa: per prima cosa è necessario disarmare tutte le milizie che hanno combattuto contro i lealisti di Gheddafi e integrarle in un unico esercito al servizio del governo che emergerà dalle prossime elezioni.
Con la morte di Gheddafi termina un’epoca: quella che verrà sarà molto più difficile, dato che il paese è pieno di combattenti armati fino ai denti e pronti a difendere il propri interessi. L’accanita difesa di Sirte prova che i sostenitori di Gheddafi non sono sicuramente né pochi né privi di determinazione.
Senza contare che dopo 42 anni di dittatura le uniche persone che hanno qualche conoscenza di come si governa e si amministra uno stato sono i più stretti collaboratori di Gheddafi, i quali hanno ora cambiato bandiera, ma sono pur sempre profondamente corresponsabili degli atti della dittatura.
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