23 dicembre 2011
Il ritiro degli USA dall’Iraq rende possibile la realizzazione della secolare ambizione iraniana: sconfiggere i Sunniti in Mesopotamia e assumere l’egemonia regionale. Per raggiungere quest’obiettivo deve prima consolidare l’egemonia sui gruppi sciiti in Iraq ed ottenere il controllo sul governo iracheno.
I terribili spargimenti di sangue degli ultimi giorni sono l’esito dei tentativi iraniani di consolidare la presa sull’Iraq una volta per tutte. Teheran può contare sull’aiuto di un alleato fedele a Baghdad: il premier al Maliki.
Quando andò al potere nel 2006, al Maliki scatenò una campagna di epurazione dell’esercito e delle forze di sicurezza per eliminare gli elementi anti-iraniani e creò nuove agenzie di sicurezza a lui fedeli. Tornato al potere nel 2010, al Maliki ha aumentato il proprio potere in tutte le istituzioni – politiche, economiche e militari – del paese. Non è un caso che ricopra il ruolo di ministro della difesa, ministro degli interni e della sicurezza nazionale. Per ottenere questo potere ha dovuto prima sbarazzarsi di tutte le componenti ostili, specialmente fra i Sunniti e i Curdi. Ma come? Ecco alcuni esempi.
In ottobre il colosso energetico statunitense ExxonMobil firmò un accordo con il governo regionale curdo per l’esplorazione di un giacimento di gas, senza consultarsi con Baghdad. Al Maliki minacciò di escludere la ExxonMobil dallo sviluppo degli altri giacimenti del paese, spingendo l’azienda americana a ‘riconsiderare’ l’accordo con i Curdi.
I Sunniti non navigano di certo in acque migliori. Nel 2005 decisero di boicottare le elezioni e lanciarono l’insurrezione, lasciando così il parlamento nelle mani di Sciiti e Curdi. Rientrati nell’arena politica nel 2010 sotto la bandiera di al-Iraqyia – che raccoglieva quasi tutte le componenti sunnite – vinsero le elezioni. Tuttavia al Maliki e i suoi alleati manipolarono la situazione a loro vantaggio: con trucchi e promesse riuscirono a mettere i Sunniti in minoranza privandoli di ogni potere.
I Sunniti, che non hanno un territorio autonomo né risorse energetiche su cui poter contare, hanno puntato ad ottenere l’autonomia per le province sunnite di Anbar e Salahuddin e per la provincia mista di Diyala – dove Curdi e Sunniti hanno trovato un accordo in base al quale i Curdi manterranno il controllo del distretto di Khanaqin e in cambio appoggeranno le rivendicazioni autonomiste dell’amministrazione locale (vedi mappa).
Gli Sciiti hanno però reagito duramente dispiegando milizie sciite nel Diyala e soffocando le rivendicazioni di Curdi e Sunniti. Il 17 dicembre al Iraqiya ha dichiarato l’intenzione di boicottare il parlamento, in segno di protesta.
Il giorno dopo, il 18 dicembre, il premier iracheno ha chiesto un voto di sfiducia contro il vice primo-ministro sunnita Saleh al-Mutlak, che aveva dichiarato che al Maliki è “peggio di Saddam Hussein”. Poche ore più tardi due guardie del corpo del vice presidente sunnita Tareq al-Hashemi sono state arrestate con l’accusa di terrorismo, e il giorno dopo è stato emesso un mandato di cattura contro il vice-presidente perché colpevole di aver ordito – insieme alle due guardie del corpo – un attentato contro alti funzionari della sicurezza.
Al Hashemi si trova ora in territorio curdo, nel nord del paese, e probabilmente cercherà di lasciare il paese. Il governo regionale curdo ha rifiutato di consegnarlo alle autorità irachene, mettendosi contro il governo di Baghdad.
Con la strategia del terrore al Maliki cerca di aumentare l’influenza degli Sciiti sulla politica irachena. Ormai ogni politico sunnita teme di essere arrestato da un giorno all’altro. I Sunniti non sanno se accomodare gli Sciiti, scappare o resistere. Peraltro gli USA hanno lasciato il paese, lasciando Curdi e Sunniti indifesi.
I Curdi sono doppiamente in difficoltà perché non intrattengono buoni rapporti né con gli Sciiti né con i Sunniti – ad esempio nella provincia di Kirkuk sono ai ferri corti con i Sunniti per il controllo dei giacimenti petroliferi. Viste le circostanze potrebbero cercare di far blocco con i Sunniti per far cadere il governo e rallentare l’avanzata sciita nel paese. Ma non hanno i numeri per formare un nuovo governo. E anche nel caso di crisi di governo al Maliki manterrebbe comunque il controllo sulle forze di sicurezza e sull’intelligence.
L’Iran ha l’opportunità storica di sfruttare le rivalità in seno alla società irachena per incrementare il potere sciita in Iraq. Teheran vuole dimostrare agli altri paesi della regione di avere la capacità di opporsi efficacemente a Sauditi, Americani e Turchi. Al Maliki si è rivelato un valido alleato di Teheran ed è riuscito a consolidare il potere sciita sull’establishment iracheno. È possibile che la Repubblica Islamica arrivi paradossalmente a frenare prima o poi il premier iracheno, per evitare che diventi troppo indipendente, per far vedere chi comanda nella regione.
Al-Iraqiya sta cercando di coinvolgere la Lega Araba e la Turchia nella disputa per frenare l’espansionismo iraniano in Iraq, ma né Ankara né Riyadh hanno i mezzi per cambiare la situazione sul terreno. La Repubblica Islamica sembra destinata ad ottenere il dominio incontrastato nella regione nei mesi a venire: il fondamentalismo islamico segna un nuovo punto a suo favore, e non possiamo che essere profondamente preoccupati per le sorti del Medio Oriente.
A cura di Davide Meinero
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