La primavera araba
come il 1848 europeo

19/03/2012

È questo il confronto usato da Robert Kaplan in un articolo apparso su Strategic Forecasting il 14 marzo per spiegare che la‘primavera araba’ porterà alla formazione di nuovi regimi autoritari. Traduciamo la parte più significativa del saggio.

Nel 2006-2007 l’Iraq ha dimostrato che per certi aspetti il caos è ancor peggio della tirannia. Infatti un sistema di governo non può dirsi morale se non riesce ad assicurare la pace interna. “Il progresso implica l’ordine”, scrisse John Stuart Mill nelle Considerazioni sul governo rappresentativo del 1861 “ma l’ordine non implica il progresso”. Visto che l’ordine è indispensabile per il progresso, potrebbero essere regimi reazionari a beneficiare del caos che vige in Medio Oriente in alcuni stati, così come del caos post-1848 beneficiaron  gli Asburgo. È infatti probabile che siano chiamati regimi conservatori di vario tipo a re-instaurare l’ordine. 

Per esempio, se le forze armate saranno viste come indispensabili per la convivenza tra Musulmani e Copti in Egitto, i generali avranno di nuovo motivo per condividere il potere con gli islamisti, piuttosto che per ritirarsi del tutto dalla politica. Il rovesciamento di Mubarak non sarà dunque una rivoluzione ma un colpo di stato. Se la democrazia in Libia vacilla e lo stato non può ritenersi stabile, prima o poi potrà emergere un nuovo uomo forte, per evitare la disgregazione del paese. Lo Yemen si trova già nel caos: le recenti elezioni a Sanaa non mascherano il fatto che il regime ha perso il controllo di importanti frange del paese, peggio che nel periodo ante 2011.  

Anche se il regime di al Assad è considerato illegittimo, ciò non significa che il futuro della Siria si giochi automaticamente tra democrazia e caos settario. Può infatti sorgere una nuova forma di autoritarismo capace di alleviare, o meglio gestire, tale instabilità. Un sistema non è definito dal nome che si dà, ma dai rapporti di potere che effettivamente operano dietro le quinte. L’Iraq può definirsi una democrazia, ma in realtà è una oligarchia di malfattori (thugsocracy) che a malapena riesce a mantenere l’ordine, e se fallirà nel mantenere l’ordine potrà essere sostituita da un vero e proprio regime autoritario (si spera molto meno brutale di quello di Saddam Hussein).

In effetti le insurrezioni democratiche nel 1848 non produssero una vera democratizzazione, ma semplicemente mostrarono che la società era diventata troppo irrequieta e troppo complessa perché i regimi monarchici esistenti riuscissero ad assicurare ordine e progresso. In Ordine politico nelle società in cambiamento (1968), il politologo di Harvard Samuel Huntington ha scritto che più una società diventa complessa, maggiore è il numero delle istituzioni necessarie per governarla.

Pertanto non bisogna confondere la formazione di nuovi regimi in Medio Oriente con il loro vero e proprio consolidamento. Quest’ultimo richiederà infatti un potere coercitivo, sotto forma di nuove forze di polizia e agenzie di intelligence, osserva Antonio Giustozzi della London School of Economics nel suo nuovo, provocatorio libro L’arte della coercizione (2011). E queste forme di coercizione sono solo alleviate dalla costruzione di istituzioni civili come quelle di cui parla Huntington, capaci di mantenere l’ordine in maniera più benevola. Se in un Medio Oriente più complesso dal punto di vista sociale non emergeranno nuove istituzioni burocratiche, la primavera araba rischierà di essere falsa, e sarà ricordata come un altro 1848.

Nel frattempo in Arabia Saudita, fulcro strategico della penisola arabica, perdura l’autoritarismo della famiglia al-Saud. E i monarchi dal Kuwait all’Oman sembrano sempre meno in pericolo. Con l’eccezione degli sciiti oppressi in Bahrain e nella parte orientale dell’Arabia Saudita, i popoli del Golfo Persico associano ancora stabilità e progresso a regimi conservatori. Così emiri e sultani si assicurano la lealtà delle  popolazioni e quindi un certo vantaggio morale.

In questo momento la Siria è un precursore. Si tratta di un paese afflitto da divisioni etniche e confessionali – sunniti contro sciiti e alawiti contro drusi e curdi. Ma la Siria può rivendicare una certa coerenza storica, in quanto crogiuolo cosmopolita al crocevia tra il deserto e il Mediterraneo, disseminato di resti di civiltà bizantina e araba medievale. Oggi l’intellighenzia occidentale considera il rovesciamento del dittatore siriano moralmente positivo. Ma dopo la fine annunciata del regime di al Assad, la positività morale sarà ben presto associata al ristabilimento dell’ordine interno e alla costruzione delle  istituzioni, attraverso processi più o meno coercitivi.  Perché solo in questo modo si può dare il via al progresso.

Il 1848 ha avuto ripercussioni tragiche. Se per un breve periodo dopo la Prima guerra mondiale l’Europa vide fiorire la democrazia, questa venne rapidamente soffocata da fascismo e comunismo. Così il 1848 dovette attendere fino al 1989 per poter davvero manifestare i suoi effetti. Il progresso accelerato della tecnologia rende più veloce il cambiamento politico oggi è in Medio Oriente. Ma perché il 2011 sia davvero ricordato come l’anno della democratizzazione del mondo arabo devono prima instaurarsi nuove forme di ordine non oppressivo. E con la probabile eccezione della Tunisia - paese vicino all’Europa, senza divisioni etniche o confessionali – ciò pare per il momento decisamente difficile.

 

 

 

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