Dal punto di vista geografico il Myanmar (ex Birmania) domina la Baia del Bengala ed è l’area in cui si sovrappongono le sfere di influenza di Cina e India.
A partire dall’invasione cinese del XIII secolo il paese ha subito l’influenza preponderante del grande vicino, ma è stato anche sede di commerci indiani, che hanno favorito l’ascesa dell’egemonia britannica sulla Birmania e l’hanno resa parte dell’India britannica. Se il Myanmar si apre e sviluppa collegamenti con gli Stati Uniti e i paesi limitrofi, anziché essere semplicemente un bacino di risorse naturali per la Cina, come ora, il Myanmar può diventare un fulcro strategico, soprattutto per l’energia, e unire tramite interessi comuni il subcontinente indiano, la Cina e il sud-Est asiatico.
Parte di questa trasformazione è già in corso. La Cina sta costruendo terminali sulla minuscola isola di Ramree, a sud di Suttwe (dove c’è la capocchia rossa sulla mappa a fianco) che porteranno petrolio e gas naturale provenienti da Africa, Golfo Persico e Golfo del Bengala, in condutture che attraverseranno il Myanmar fino a Kunming.
L’India, dal canto suo, sta costruendo un terminal energetico a Sittwe per portare il gas naturale attraverso il Bangladesh fino al Bengala Occidentale.
Con una maggiore apertura del Myanmar l’area nord-orientale dell’India potrebbe avere uno sbocco al commercio internazionale. Ora la regione è segregata: separata dall’India vera e propria perché in mezzo c’è il Bangladesh, mentre a est c’è il Myanmar, paese finora chiuso e poco sviluppato.
L’apertura politica e lo sviluppo economico del Myanmar cambieranno questa realtà geopolitica, e sia l’India nord-orientale che il Bangladesh potranno beneficiarne. L’India in particolare potrà aumentare la propria influenza sul sud est asiatico, bilanciando un po’ l’influenza della Cina. Un maggior benessere in tutte queste aree contribuirà anche a ridurre il flusso di rifugiati economici verso l’India, che confina con ben tre stati semi-falliti: Pakistan, Nepal e Bangladesh.
Il futuro sembra offrire grandi opportunità, ma il presente è ancora incerto. La transizione politica in Myanmar è appena iniziata e molto può ancora andare storto. Il maggiore problema è rappresentato dalle divisioni regionali ed etniche: un terzo della popolazione non è di etnia birmana e le zone collinari intorno alla valle del fiume Irrawaddy sono abitate da popolazioni Chin, Kachin, Shan, Karen, ognuna dotata di forze militari irregolari che si scontrano con l’esercito nazionale, dominato dall’etnia birmana, fin dall’inizio della Guerra Fredda. Le minoranze sono etnicamente molto frazionate, non integrate. Ad esempio l’area Shan è abitata anche da was, lahu, pao, kayans e altri popoli tribali. Tutti questi gruppi sono il prodotto di migrazioni storiche provenienti da Tibet, Cina, India, Bangladesh, Thailandia e Cambogia. I Chin che vivono nell’ovest del Myanmar non hanno quasi nulla in comune con i Karen che abitano a est del paese.
Indire elezioni non è sufficiente se quel che fanno concretamente è portare l’etnia birmana al potere senza che si trovi un compromesso con le minoranze. I militari presero il potere proprio per controllare le aree popolate dalle minoranze e governano ormai da mezzo secolo, perciò il paese ha ben poche istituzioni che non siano sotto il loro controllo. Si deve costruire dal nulla un sistema che conceda maggiori poteri alle minoranze: la loro pacifica integrazione presuppone istituzioni federali dinamiche e funzionanti.
Anche se indubbiamente il Myanmar sta diventando meno repressivo e più aperto al mondo esterno, questo di per sé non basta a renderlo uno stato con istituzioni efficienti. Perché il cambiamento possa avvenire con successo, i militari dovranno comunque svolgere un ruolo significativo negli anni a venire, perché sono gli unici a sapere come far funzionare lo stato: non c’è una classe dirigente alternativa.
Le immense risorse naturali e la popolazione numerosa (48 milioni di persone) potrebbero fare del Myanmar una potenza regionale di medio livello, il che non lederebbe gli interessi indiani e cinesi, ma favorirebbe il commercio in tutta l’Asia e nell’area dell’Oceano Indiano.
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