I negoziati per ottenere la destituzione del presidente yemenita Saleh dal suo incarico si sono svolti lo scorso autunno sullo sfondo degli scontri tra la parte dell’esercito fedele alla famiglia di Saleh e quella fedele al generale Mohsin al-Ahmar. Quattro mesi dopo la firma dell’accordo e le dimissioni di Saleh − e nonostante la richiesta che Saleh venisse privato dell’immunità e sottoposto a processo − la famiglia dell’ex presidente continua a occupare posizioni di rilievo nel governo, in aziende importanti e nelle forze di sicurezza. Lo stesso Saleh è ancora a capo del più grande partito del paese, il Congresso Generale del Popolo.
La maggior causa d’instabilità è l’aver rinviato la questione della ristrutturazione degli apparati di sicurezza a dopo la nomina del nuovo presidente Abd Rabboh Mansour Hadi, avvenuta in febbraio. Il nuovo Presidente non è ancora riuscito a convincere le fazioni rivali a ritirarsi da Sanaa, la capitale. Sperando di indebolire Saleh e la sua famiglia, Hadi ha tentato di unificare le forze armate sotto un Consiglio Militare incaricato della loro riforma. Questo ha tolto potere a diversi leader militari fedeli a Saleh, ma il figlio maggiore dell’ex presidente, Ahmed Ali Saleh (che ha accettato compromessi pur di preservare la propria posizione) continua a essere il comandante della Guardia Repubblicana. Dovendo bilanciare il peso delle fazioni, limitare il potere della famiglia Saleh e fare di Hadi il principale mediatore, il Consiglio include sia funzionari che hanno servito sotto Saleh, sia sostenitori del suo principale oppositore, generale Mohsin al-Ahmar (a destra).
Anche se appare ancora troppo debole per un’azione decisiva, Hadi continua il rimpasto degli organi politici, militari ed economici, ma Saleh e la sua famiglia mantengono sempre una forte presenza. Hadi si vedrà forse costretto a fondare un nuovo partito senza i Saleh. Hadi tenta anche di mantenere il sostegno di alleati chiave, come l’Arabia Saudita – pronta a tutto pur di evitare che lo Yemen cada sotto l’influenza iraniana. Tale sostegno assumerà probabilmente la forma di aiuti finanziari da usare per negoziare la rimozione dei lealisti dal governo e per incoraggiare la fazione di al-Ahmar a non prolungare gli scontri.
Ma mentre il governo yemenita si occupa delle lotte intestine, gruppi secessionisti alla periferia dello Yemen e cellule di al Qaeda intensificano le operazioni.
I ribelli sciiti al-Houthi, che operano nel nord del paese, sono pericolosamente vicini a Midi, porto chiave sul Mar Rosso, tramite il quale potrebbero ricevere approvvigionamenti, e hanno intensificato la battaglia contro i salafiti nella provincia settentrionale di Saada, fedeli al governo.
Ma sono le province meridionali (mappa a sinistra) a rappresentare il maggiore pericolo. Questa è infatti l’area di azione di al Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP) e della sua propaggine, Ansar al-Sharia. Dopo l’elezione di Hadi AQAP si è fatta più attiva, rendendosi protagonista di scontri a fuoco e attentati suicidi contro i militari. In un solo week-end dal 2 al 5 marzo ha ucciso oltre 100 militari.
Filmati propagandistici pubblicati su YouTube mostrano Ansar al-Sharia intenta a costruire strade, ripristinare la fornitura di elettricità e farsi carico della giustizia, anche attraverso l’esecuzione di persone accusate di fornire informazioni al governo yemenita. La credibilità del governo è fortemente erosa da questi avvenimenti, e la popolazione del sud sembra appoggiare sempre più il movimento secessionista.
Le truppe yemenite combattono queste ribellioni, che però i governi occidentali sono restii a definire tali. La visione degli occidentali continua ad essere imperniata sul terrorismo, non sulla ribellione armata contro lo stato. Preoccupati del crescente peso di Ansar al-Sharia, alleato di al-Qaeda, gli Stati Uniti hanno condotto attacchi aerei per aiutare l’esercito yemenita a riprendere il controllo di alcune delle città del sud.
Il problema attuale è sorto per le decisioni miopi del passato. Nel corso dell’ultimo decennio le amministrazioni americane hanno addestrato e finanziato unità antiterrorismo al comando del nipote di Saleh, Yahya, e altre al comando del figlio di Saleh, Ahmed Ali. Nel corso del 2011, mentre Ansar al-Sharia cominciava a guadagnare terreno nell’Abyan, Yayha ha preferito mantenere le sue unità antiterrorismo a Sanaa, per proteggere il regime, ed ha continuato ad avere rapporti privilegiati con gli USA. Le forze “filo-rivoluzionarie” del generale Mohsin non hanno invece mai ricevuto addestramento militare o assistenza, e questo ha creato sentimenti antiamericani tra i manifestanti anti Saleh. Molti yemeniti ritengono che la cooperazione militare degli Stati Uniti dia alla famiglia Saleh, responsabile delle violenze contro i manifestanti, la possibilità di condizionare ancora la transizione in corso.
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