L’Iran nella sua storia ha sempre dovuto preoccuparsi di mantenere l’indipendenza nazionale rispetto alle più forti potenze regionali, come la Turchia ottomana e l’impero russo. Anche se più debole di questi imperi, l’Iran è sopravvissuto per tre motivi: geografia, risorse e diplomazia. Le sue dimensioni e il terreno montagnoso hanno reso difficili e pericolose eventuali incursioni militari nel paese. L’Iran è inoltre sempre stato in grado di schierare forze sufficienti a scoraggiare attacchi esterni, senza però riuscire ad impedire che si affermassero nuove potenze oltre le sue frontiere. Teheran ha sempre usato astuzia diplomatica, giocando l’una contro l’altra le grandi potenze vicine.
Dopo la seconda guerra mondiale, Americani e Sovietici hanno rivaleggiato per l’egemonia sulla regione. Sotto il governo dello Shah e degli Ayatollah la strategia dell’Iran è rimasta la stessa: usare come deterrente la geografia del territorio, potenziare le proprie forze di difesa e impegnarsi in complesse manovre diplomatiche. Come lo Shah rivaleggiava con gli interessi dell’Arabia Saudita in Oman e sognava di avere armi nucleari, Ahmadinejad compete con l’Arabia Saudita in Bahrain e ha le stesse ambizioni nucleari. Al di là della retorica ideologicamente diversa, c’è sostanziale continuità nella strategia internazionale dell’Iran a partire dalla seconda guerra mondiale. L’Iran sogna di riuscire a raggiungere una posizione dominante nella regione, liberandosi dai vincoli.
Dalla seconda guerra mondiale l’Iran ha avuto a che fare con alcuni pericolosi vicini, come l’Iraq di Saddam Hussein, contro il quale combatté una brutale guerra durata quasi un decennio, che causò circa un milione di vittime iraniane. Ma finché gli Stati Uniti hanno mantenuto un forte interesse nella regione, l’Iran non aveva altra scelta che definire le proprie politiche a partire innanzi tutto dal proprio rapporto con gli Stati Uniti. Per lo Shah questo significò accettare l’egemonia dell’America, cercando di controllarne e limitarne le mosse, pur di non cadere sotto la possibile egemonia russa. Per la Repubblica Islamica il perseguimento della stessa strategia significa opporsi agli Stati Uniti, tentando però di manipolarli per indurli ad agire nell’interesse dell’Iran. In entrambi i casi dando prova della tradizionale sottigliezza strategica iraniana.
La Repubblica Islamica ha avuto però maggiore successo. Ha condotto una sofisticata campagna di disinformazione prima della guerra del 2003 in Iraq per convincere gli Stati Uniti che invadere militarmente il paese sarebbe stato facile e che gli Iracheni li avrebbero accolti a braccia aperte. In una seconda fase, gli Iraniani hanno aiutato molte fazioni irachene nella resistenza contro gli Americani, trasformando l’occupazione − e i piani americani per la ricostruzione − in un incubo. Nella terza fase, l’Iran ha sfruttato la sua influenza in Iraq per dividere e paralizzare il paese dopo il ritiro americano. L’Iran ha così raggiunto due obiettivi. Prima gli Americani hanno tolto di mezzo l’acerrimo nemico dell’Iran, Saddam Hussein. Poi l’Iran ha contribuito a far sì che gli Stati Uniti lasciassero l’Iraq, creando un vuoto di potere nella regione, minando la credibilità degli Americani, compromettendo la propensione statunitense a qualsiasi ulteriore avventura militare in Medio Oriente. Molti altri fattori hanno avuto il loro peso, ma le manovre iraniane non sono certamente state un elemento secondario in questo processo: l’Iran ha abilmente sfruttato circostanze che già aveva contribuito a plasmare.
Questa strategia ha avuto funzione difensiva. L’Iran aveva visto gli Stati Uniti invadere i paesi confinanti, l’Iraq a ovest e l’Afghanistan a est, e non poteva escludere l’eventualità che avrebbero scelto di attaccare anche l’Iran. Ma la strategia ha avuto anche una dimensione offensiva. Per la prima volta dopo secoli, il ritiro statunitense dall’Iraq ha creato la possibilità di un’egemonia regionale dell’Iran. Dopo il crollo dell’impero ottomano alla fine della seconda guerra mondiale, e dopo il crollo dell’Unione Sovietica che premeva da nord, ora l’Iran non ha a che fare con nessuna potenza regionale in grado di tenergli testa.
L’opportunità iraniana
Dopo la caduta dell’URSS l’Iran ha avuto l’opportunità di agire come potenza regionale, non soltanto per proteggere la propria autonomia. Gli Iraniani hanno inoltre capito che gli animi delle potenze globali cambiano in modo imprevedibile, in particolar modo quelli degli Stati Uniti. A partire dagli anni ’90 l’Iran ha formulato una strategia che consentisse di esercitare influenza regionale, senza però scatenare ritorsioni da parte degli Stati Uniti.
La paura degli USA per la proliferazione delle armi nucleari è evidente. Quando si è saputo che Sovietici e Cinesi disponevano di armi nucleari, la risposta americana ha rasentato il panico e nel contempo l’approccio statunitense nei confronti di quei paesi è divenuto più cauto. Gli Iraniani hanno individuato un modello che potevano sfruttare a loro vantaggio nella Corea del Nord. Da quando la Corea del Nord ha intrapreso un programma nucleare, gli Stati Uniti la osservano hanno con grande attenzione, divenendo al contempo sempre più prudenti. Un’enorme attività diplomatica e aiuti economici periodici sono stati usati per condizionare i Coreani. Gli Stati Uniti da allora hanno evitato azioni che potessero destabilizzare il paese e indurlo a utilizzare armi nucleari.
La Corea del Nord ha dimostrato che completare il programma e costruire realmente la bomba atomica è davvero molto pericoloso, ma avere un programma nucleare in corso costituisce un’importante mezzo di ricatto − e gli Iraniani hanno imparato bene la lezione. Dal punto di vista degli Iraniani, il loro programma nucleare fa sì che gli Stati Uniti li prendano sul serio, ma agiscano con estrema cautela.
Gli Stati Uniti sono ora a capo di un gruppo di paesi variabilmente propensi all’imposizione di sanzioni che potrebbero colpire l’economia iraniana, e che forniscono agli Stati Uniti un pretesto per non intraprendere quelle azioni militari che l’Iran teme realmente, ma che gli Stati Uniti vogliono evitare di dover intraprendere.
Israele, tuttavia, non può non avere una visione diversa del programma di armamenti iraniano. Se il programma nucleare non è oggi un serio pericolo per gli Stati Uniti, può esserlo per Israele. Il problema è che Israele deve fidarsi della sua rete di intelligence in merito allo stadio di sviluppo del nucleare iraniano. Gli Stati Uniti possono permettersi un errore di calcolo, Israele no. Questa mancanza di certezze rende imprevedibili le mosse di Israele. Dal punto di vista iraniano, tuttavia, un attacco israeliano potrebbe essere benvenuto.
L’Iran al momento non dispone ancora di armi nucleari, e potrebbe adottare la strategia della Corea del Nord, ovvero non svilupparle mai definitivamente. Se invece proseguisse la costruzione delle armi atomiche, e gli Israeliani le attaccassero e le distruggessero, gli Iraniani sarebbero nella situazione in cui erano prima, non avrebbero perso quasi nulla. Ma se gli Israeliani attaccassero e non riuscissero a distruggerle, gli Iraniani ne uscirebbero rafforzati e potrebbero reagire chiudendo lo stretto di Hormuz. In questo caso gli Stati Uniti potrebbero attaccare l’Iran, o invece negoziare per il mantenimento del flusso di petrolio dal Golfo. A prescindere dal risultato, un attacco israeliano non farebbe perdere nulla all’Iran, perché nella peggiore delle ipotesi metterebbe l’Iran nelle posizione della vittima e Israele nella posizione del cattivo. Ma se l’attacco israeliano portasse gli Stati Uniti, spinti dalle potenze europee e asiatiche, a garantire il flusso di petrolio con concessioni diplomatiche agli Iraniani, piuttosto che attraverso un’azione militare, sarebbe una grande vittoria dell’Iran.
L’opzione nucleare è da considerare come uno degli strumenti delle abili manipolazioni iraniane delle potenze regionali e globali.
L’importanza della Siria
Ma un altro evento importante per la politica iraniana è in corso in Siria.
Se il regime siriano sopravvivesse, sarebbe in parte per merito del sostegno iraniano. Isolata dal resto del mondo, la Siria diverrebbe dipendente dall’Iran. Se ciò dovesse accadere, la sfera d’influenza iraniana si estenderebbe dall’Afghanistan occidentale fino a Beirut. Questo comporterebbe un mutamento radicale degli equilibri di potere in Medio Oriente, realizzando il sogno iraniano − sia dello Shah sia degli Ayatollah − di diventare la potenza regionale che domina il Golfo Persico e raggiunge il Mediterraneo.
Quali vantaggi comporterebbe per gli Iraniani avere una tale sfera di influenza?
In primo luogo costringerebbe gli Stati Uniti ad abbandonare l’idea di poter attaccare l’Iran; questo sarebbe infatti troppo influente e un attacco potrebbe avere effetti imprevedibili. In secondo luogo renderebbe legittimo e attraente il regime in Iran, e nella regione, più di quanto non lo sia attualmente. In terzo luogo, grazie alla guerriglia lungo il confine iracheno con l’Arabia Saudita e il controllo della costa occidentale del Golfo Persico, l’Iran potrebbe cambiare radicalmente la distribuzione dei proventi del petrolio. Deviare quel flusso di denaro verso l’Iran lo rafforzerebbe grandemente. L’Arabia Saudita e gli altri stati del Golfo dovrebbero essere a dir poco flessibili di fronte alle richieste iraniane.
L’Iran ha mantenuto la stessa strategia sotto regimi ideologicamente differenti. Lo Shah, che molti consideravano psicologicamente instabile e megalomane, l’ha perseguita con moderazione e oculatezza. Il regime attuale, anch’esso considerato ideologicamente e psicologicamente instabile, l’ha perseguita con molta attenzione e relativa moderatezza. È una strategia che, perseguita dal XVI secolo, ora vede aprirsi possibilità concrete di realizzazione, a seguito di una situazione in qualche misura creata dall’Iran stesso. Ora Teheran deve aggravare la paralisi americana, mentre sfrutta le opportunità create dal ritiro USA dall’Iraq. Creata una sfera di influenza regionale ampia e salda da parte dell’Iran, gli Stati Uniti vi si dovranno poi adattare, se vogliono soddisfare la richiesta dell’Occidente di stabili flussi di petrolio.
Ora l’Iran si muove lungo due binari: evitare azioni eclatanti nella regione finché i processi di destabilizzazione avviati nel mondo arabo non abbiano fatto il loro corso, ma nel frattempo creare diversivi all’opinione pubblica internazionale usando il programma nucleare, e spingere gli Stati Uniti ad applicare all’Iran la politica di appeasement adottata nei confronti della Corea del Nord. Se poi i programma nucleare inducesse Israele all’attacco, l’Iran sarebbe comunque in condizione di trarre qualche vantaggio dalla situazione.
Il programma nucleare iraniano è uno strumento – usato molto abilmente - per distogliere l’attenzione del resto del mondo da ciò che sta realmente accadendo: uno spostamento radicale negli equilibri di potere in Medio Oriente.
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