Turchia
le difficoltà di un nuovo ruolo

26/04/2012

Liberamente tratto da un articolo di George Friedman. 

Una nuova strategia 

Dal 1945 al 1991 la Turchia costituì − insieme alla Germania − il perno geografico della strategia degli Stati Uniti e della NATO. Nell’ambito della strategia di contenimento dell’Unione Sovietica, la Turchia giocava un ruolo chiave non solo per il controllo del Bosforo e dunque del Mar Nero, ma anche perché − nel caso in cui fosse stata filosovietica − avrebbe consentito ai  Sovietici di esercitare direttamente pressioni su Iran, Iraq e Siria, cambiando gli equilibri di potere nella regione. Dal canto loro i Turchi non avevano altra scelta: l’Europa occidentale era in ginocchio, la Cina era diventata comunista e, nonostante l’enorme danno subito in guerra, l’Unione Sovietica era emersa come una vera e propria grande potenza, dotata di una superiorità militare schiacciante sulle nazioni alla sua periferia, Turchia compresa. Vista l’impossibilità di opporsi da sola ai sovietici, la Turchia strinse dunque i legami con gli Stati Uniti, dando vita a un rapporto di cui beneficiarono entrambi. 

Ma con la caduta dell’Unione Sovietica scomparve l’elemento caratterizzante la politica estera turca e venne meno la dipendenza della Turchia dagli Stati Uniti per la propria difesa. Ci volle un po’ prima che Turchi e Americani si adattassero al cambiamento. Per qualche tempo la Turchia mantenne inalterato il rapporto con Stati Uniti e Israele, e continuò a tentare di entrare nell’Unione Europea.

Per i Turchi il vero punto di rottura è arrivato nel 2003, con l’invasione statunitense dell’Iraq. Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale,  i Turchi non solo rifiutarono di prendere parte a una iniziativa degli Americani, ma impedirono loro di utilizzare il territorio turco come base dell’invasione del vicino Iraq. Dopo questa scelta, la politica estera turca non poteva più essere la stessa.

I Turchi hanno iniziato a prendere in considerazione altre opzioni. Un’alternativa era entrare in Europa. Ma il processo di adesione è stato bloccato per una serie di ragioni: dal timore di una massiccia immigrazione turca, all’ostilità della Grecia. Il diniego europeo oggi pare una fortuna: ha permesso alla Turchia di mantenere un’economia più dinamica rispetto alla maggior parte del vecchio continente e l’ha esonerata da ogni responsabilità per il debito della Grecia.

La mancata integrazione in Europa e la trasformazione dei rapporti con gli Stati Uniti hanno costretto la Turchia a elaborare una strategia adatta al nuovo contesto. Questa prende le mosse da tre considerazioni: l’assenza di gravi pericoli immediati, il rapido sviluppo economico interno e la superiorità militare rispetto agli altri paesi della regione. Infine, il fatto di esser circondata da vicini sempre più instabili e pericolosi, come l’Iraq e la Siria. Inoltre la Turchia  deve fare i conti con un Iran più arrogante, con una Russia nuovamente attiva e con il fatto che gli Stati Uniti sono lontani e imprevedibili. 

Una fase di transizione

La Turchia sta emergendo come grande potenza. Non si può ancora dire che lo sia per una serie di ragioni: da un lato, una popolazione e un apparato statale che non sono ancora pronti a vedersi come potenza e a sostenere interventi a livello regionale, dall’altro, vicini regionali altrettanto impreparati a considerare le Turchia una forza stabilizzatrice. Molti sono i passi necessari perché una potenza assuma il ruolo di forza dominante di una regione e la Turchia è appena all’inizio del cammino.

La strategia turca è in una fase transitoria. Non è più ancorata alle posizioni della Guerra fredda, ma non ha ancora posto le basi per una politica regionale matura. Non è in grado di controllare la regione, ma non può semplicemente ignorare ciò che vi sta accadendo. Il caso siriano è istruttivo in tal senso: non esiste una coalizione internazionale preparata ad adottare misure per stabilizzare la Siria, quindi Ankara si astiene dall’agire apertamente, ma tiene aperte più vie possibili nel caso in cui la situazione diventasse intollerabile. Non si può dunque dire che la Turchia abbia creato un equilibrio di potere, come fanno le potenze regionali mature.

La Turchia deve anche affrontare due spinose questioni interne. La prima è la continua tensione, all’interno della sua società, tra elementi laici e religiosi. L’altro è il problema curdo, che si interseca inevitabilmente con le questioni regionali. Il futuro dell’Iraq, per esempio, avrà implicazioni anche sul livello di autonomia di cui godrà la regione curda dell’Iraq, che a sua volta influirà sui Curdi turchi.

Finché rimane aperta la questione curda, le potenze straniere che si oppongono all’ascesa della Turchia la sfrutteranno per indebolire il suo potere.  

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