La Turchia si appresta a diventare il principale investitore in Iraq. Dopo aver avviato la costruzione di un oleodotto dai giacimenti del Kurdistan iracheno ai i porti turchi, Ankara propone di costruirne un altro nel sud dell’Iraq, da Kirkuk e Bassora.
Queste iniziative rispondono a due esigenze: da un lato Ankara deve trovare una soluzione al problema curdo se vuole aumentare la propria influenza nel Levante e in Mesopotamia, ex territori dell’Impero Ottomano. Per questo coltiva la collaborazione con il governo regionale curdo in Iraq. D’altro lato il fabbisogno energetico turco continua a crescere, e Ankara ha interesse ad incrementare le importazioni di petrolio dall’Iraq (le cui riserve, site soprattutto in Kurdistan, sono stimate sui 3 mila miliardi di metri cubi) come alternativa al petrolio russo. L’indipendenza dal petrolio russo permetterebbe alla Turchia maggior libertà nei rapporti con i Balcani e l’Europa dell’Est, tradizionali sfere d’influenza russa.
L’espansione economica della Turchia in Iraq causerà tensioni con l’Iran. La nuova rete di oleodotti pianificata da Ankara in Iraq permetterà al paese di esportare l’80% del greggio attraverso il corridoio settentrionale evitando gli stretti di Hormuz – e rendendo pressoché nulli i ricatti dell’Iran, che minaccia di bloccare il flusso di petrolio attraverso gli stretti in caso di conflitto con l’Occidente.
Teheran non ha i capitali né la tecnologia per competere con i progetti della Turchia. E le aziende straniere preferiranno comperare il petrolio da aziende turche, più affidabili politicamente e commercialmente, piuttosto che da aziende iraniane.
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