Nei paesi baltici il gas naturale liquefatto è considerato la miglior via percorribile per ridurre la dipendenza dal gas russo. Ma gli impianti di rigassificazione sono molto costosi e per costruirli occorrono sovvenzioni dall’Unione Europea. L’UE può finanziare la realizzazione di un solo impianto nella regione, che dovrà essere condiviso tra Estonia, Lettonia e Lituania. Ma le differenze politiche tra i tre paesi hanno condotto a un’impasse. Ora la Lituania sta cercando una soluzione autonoma: dal 2014 noleggerà un rigassificatore mobile norvegese su piattaforma marina, in attesa di costruire un proprio terminale. La Lettonia pare più orientata a favorire gli interessi di Mosca che quelli di Bruxelles. L’Estonia perciò si propone come il futuro centro di gestione del gas naturale liquefatto per l’intera regione baltica.
Tallin ha predisposto il progetto di un impianto di rigassificazione nel porto di Muuga, del costo di circa 221 milioni di euro; il governo estone e l’Unione Europea stanno valutando anche un altro possibile terminale nel porto di Paldiski. Non solo la politica e la geografia, ma anche la condizione delle infrastrutture avvantaggia l’Estonia, che ha una rete di gasdotti più sviluppata rispetto ai vicini, e potrebbe riuscire a collegare anche la Finlandia, anch’essa alla ricerca di alternative al gas russo.
L’influenza regionale russa, basata sulle indispensabili forniture di gas ai vicini, sembra destinata a diminuire. Il Cremlino potrebbe cercare altre vie per ottenere lo stesso scopo, giocando per esempio la carta della mobilitazione della minoranza russa in Estonia, o quella del forte interscambio regionale di importazione ed esportazione. Ma nessuna carta è strategicamente valida quanto la dipendenza energetica.
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