I principali rivali dei Fratelli Musulmani in Egitto sono i membri del movimento ultraconservatore dei salafiti. Il salafismo moderno si basa su una rigorosa reinterpretazione dell’islam, secondo la quale i musulmani devono rispettare in modo letterale gli insegnamenti prescritti nel Corano e far ritorno alle pratiche di Maometto così come vennero intese dai Compagni del Profeta.
I salafiti rappresentano una minoranza non solo tra i musulmani, ma anche tra gli islamisti. Al contrario della Fratellanza Musulmana, il movimento non è composto di un’unica organizzazione, ma comprende un vasto ed eterogeneo insieme di imam locali, gruppi sociali e, recentemente, partiti politici.
Per molti versi il salafismo incarna il rifiuto dell’ideologia politica dei Fratelli Musulmani. Per lunga parte della sua esistenza il movimento ha evitato la politica, e dunque l’islamismo, per concentrarsi invece su moralità e fede individuali, sostenendo che non potesse esistere uno stato islamico senza un ritorno ai fondamenti del “vero” islam. Il salafismo era dunque in aperto conflitto con il jihadismo – cioè con la branca violenta del salafismo – così come praticato da gruppi quali al Qaeda, che cercano di usare la forza per manifestare e diffondere l’ideologia politica e ottenere il potere.
Il movimento salafita poteva chiamarsi fuori dalla politica in quanto sostenuto dall’Arabia Saudita. Anche se molti salafiti non erano d’accordo con alcune scelte, il ruolo storico di Riyad come culla e protettore del salafismo, capace di assicurare la diffusione del pensiero salafita nel mondo, ha sempre mantenuto il movimento nell’orbita saudita. Almeno fino alla Prima guerra del Golfo, quando l’Arabia Saudita, per proteggersi dall’Iraq baathista che aveva già invaso il Kuwait, dovette permettere che 500000 soldati americani entrassero nel paese. Questa decisione causò molte proteste da parte di chi non riteneva legittimo permettere che soldati infedeli si introducessero nella sede dei luoghi sacri dell’islam, e originò un più ampio dibattito sulla politica dell’Arabia Saudita. Studiosi emeriti iniziarono a sostenere pubblicamente la necessità di una riforma, distinguendosi dai jihadisti e diventando una vera e propria alternativa politica ai Fratelli Musulmani.
Vent’anni più tardi, all’inizio della Primavera araba, il salafismo era molto diffuso nel mondo arabo, in particolare in Egitto e in Tunisia, aveva aumentato sia il numero di seguaci sia le organizzazioni con obbiettivi politici, incluse molte organizzazioni sociali impegnate in opere di carità e fornitura di servizi e aiuti alla comunità. Anche se, a causa dei regimi autocratici, i Salafiti non avevano potuto costituire gruppi politici formali, avevano però sviluppato le strutture necessarie per farlo.
Il caso dei Salafiti egiziani è il più significativo. Come i Fratelli Musulmani, erano piuttosto impreparati quando le rivolte popolari, guidate da gruppi liberali, iniziarono a far vacillare regimi autocratici in piedi da decenni. Avrebbero potuto mettere in ombra le forze non islamiste che giocavano un ruolo determinante nella cacciata di Hosni Mubarak, ma non disponevano della macchina politica che invece la Fratellanza Musulmana aveva sviluppato negli 80 anni precedenti.
Molti salafiti egiziani chiesero allora di formare partiti politici. I due gruppi principali – al-Nour e al-Asala – si sono legati alla nuova ala politica dell’ex gruppo jihadista Gamaa al-islamiya per formare un blocco islamista. L’alleanza islamista ha raccolto più di un quarto dei voti alle elezioni legislative dello scorso anno, seconda solo ai Fratelli Musulmani.
I Salafiti hanno dunque aderito al processo elettorale dopo aver denunciato la democrazia come anti islamica per decenni; in altre parole, hanno adottato l’approccio dei Fratelli Musulmani, che fino ad allora avevano rifiutato con forza. La trasformazione è stata più una mossa precipitosa dettata dalla convenienza politica che il frutto di una naturale evoluzione ideologica.
Secondo alcuni il fatto che le forze radicali abbiano abbracciato la politica convenzionale può, col tempo, condurle a una de-radicalizzazione. Questo può essere vero in caso di stati con sistemi democratici solidi, ma in molti paesi arabi, che stanno appena iniziando il loro percorso di emancipazione dall’autoritarismo, il fatto che i salafiti partecipino attivamente alla vita politica potrebbe ritardare o addirittura distruggere il processo di democratizzazione e destabilizzare l’Egitto e l’intera regione. Potrebbe svilupparsi una situazione di caos, soprattutto perché l’accettazione delle procedure democratiche ha provocato la frammentazione del panorama salafita. Molti salafiti non sono ancora convinti dalla democrazia elettorale, quelli che l’hanno adottata con riserve si sono divisi in molti gruppi, esprimendo un grave dilemma interno. Da un lato vorrebbero essere parte del nuovo ordine democratico e giocarvi un ruolo di rilievo; dall’altro hanno un’agenda radicale che impone la rigida interpretazione della legge islamica nel mondo arabo e musulmano.
La loro concezione della politica non è un problema solo per i secolaristi, i cristiani, gli ebrei o altre minoranze, ma anche per gli islamisti più moderati come i Fratelli Musulmani. La Fratellanza ha perso il monopolio sull’islamismo e, ora che ha raggiunto il potere in Egitto, vede i salafiti come un pericolo per i suoi interessi politici.
Alcuni salafiti vogliono collaborare con i Fratelli Musulmani per l’obiettivo comune di favorire la transizione democratica e contenere le tendenze radicali. Tuttavia cercano di strumentalizzare il pragmatismo della Fratellanza per minare la sua immagine tra gli elettori religiosi. I salafiti cercano anche di sfruttare il loro ruolo di mediatori tra il governo guidato dai Fratelli Musulmani e i jihadisti attivi nella regione del Sinai per accrescere il loro potere di negoziazione e limitare quello della Fratellanza.
I salafiti possono dunque creare problemi al nuovo governo egiziano guidato da Mohammed Morsi, specialmente per quanto riguarda la politica estera, e le relazioni tra Egitto e Israele in particolare. Finora Morsi ha cercato di evitare di trattare direttamente con Israele, ma questa situazione non può durare a lungo. Il Presidente è consapevole che si troverà in situazioni in cui sarà stretto tra la necessità di mantenere relazioni pacifiche con Israele e il pericolo che i salafiti cavalchino il sentimento anti israeliano degli Egiziani. Uno dei motivi per cui Morsi ha parlato di revisione del trattato di pace con Israele, è il tentativo di gestire la questione sul fronte interno, anziché lasciarla sfruttare ai salafiti.
Le difficoltà sono particolarmente evidenti in Egitto, dato il suo status di leader del mondo arabo, ma i salafiti stanno lentamente emergendo come portatori di interessi politici in tutta la regione, specialmente in Libia, Tunisia, Yemen, Gaza, Libano, Giordania e Siria. La democratizzazione è per sua natura un processo complesso in qualsiasi contesto abbia luogo, ma nel caso della Primavera Araba ci si può attendere che le entità salafite complichino le transizioni politiche e minino la stabilità e la sicurezza in Medio Oriente.
La grande sfida del mondo arabo è solo parzialmente la transizione dall’autocrazia alla democrazia; l’incognita maggiore è il complesso ed eterogeneo movimento salafita, cui gli islamisti di maggioranza devono far fronte.
A cura di Valentina Viglione
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