Il primo ministro iracheno Nouri al-Maliki si è recentemente recato a Mosca in visita ufficiale per discutere di interessi comuni e di forniture militari. Tra i due paesi esistono rapporti di lunga data, però sempre complicati. Durante la Guerra Fredda l’Unione Sovietica forniva armamenti all’Iraq e intratteneva stretti rapporti con il governo baathista, però questi legami erano limitati dal desiderio di mantenere un difficile equilibrio nella regione, in particolare dalla necessità di non inimicarsi l’Iran. Con il crollo dell’Unione Sovietica le relazioni tra la Russia e l’Iraq si allentarono decisamente, per più di un motivo: innanzitutto perché negli anni ’90 la Russia e la sua industria bellica erano allo sbando, poi perché l’Iraq, in seguito all’invasione del Kuwait, era sottoposto all’embargo delle armi. Nel decennio successivo l’attenzione e le forze dell’Iraq sono state assorbite dalla guerra con gli Stati Uniti.
Ma per entrambi i paesi la situazione è ora profondamente mutata. Gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Iraq, che ora ha un governo relativamente stabile − almeno per i suoi standard − sostenuto dall’Iran e guidato da uno sciita. Inoltre la produzione di petrolio in Iraq è tornata ai livelli antecedenti il 1991, e questo porta di nuovo denaro alle casse dello stato. Il contesto permette ora a Baghdad di concentrarsi su altri obiettivi, innanzitutto quello di ricostruire le difese decimate da quasi dieci anni di guerra, senza però appoggiarsi troppo agli Stati Uniti, per non dispiacere all’Iran. Per la Russia, invece, rapporti più stretti con l’Iraq comportano una maggiore influenza sul Medio Oriente, da poter sfruttare in chiave anti americana. Negli ultimi dieci anni la Russia ha beneficiato molto dell’impegno statunitense nel mondo islamico, che ha distolto Washington dal perseguire maggiore influenza sui paesi dell’ex Unione Sovietica. Questo ha permesso a Mosca di riaffermare la propria influenza in vaste aree del suo ex impero e di irrobustire le sue difese in altre aree.
Il Cremlino usa la propria influenza nelle crisi regionali per aumentare le difficoltà di Washington, ma senza arrivare a creare aperte ostilità. Il caso più lampante è l’atteggiamento russo nella seconda metà degli anni 2000 nei confronti dell’Iran per quanto riguarda il programma nucleare iraniano e la vendita di armamenti. Ma poiché il legame con Teheran mette in gioco le relazioni con altri paesi occidentali − primi fra tutti quelli europei dai quali la Russia dipende dal punto di vista economico − nel 2010 Mosca ha cominciato a prendere le distanze: ha evitato forme di aiuto all’Iran troppo evidenti e controverse (come la vendita di missili terra-aria S-300) e ha sottoscritto le sanzioni internazionali .
Nell’ultimo anno la stessa strategia è stata applicata al caso siriano: la Russia ha sempre sostenuto il regime di Bashar al-Assad ma, quando è stato chiaro che questo diventava uno svantaggio nei rapporti con le forze regionali , si è avvicinata alla posizione di Turchia, Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita, e ha iniziato a preparare un’alternativa.
Ora la Russia persegue una strategia più sottile in Medio Oriente. L’alleanza con un Iraq libero della presenza americana avrebbe effetti positivi per entrambi i paesi: Mosca potrebbe continuare ad esercitare influenza nella regione senza mettere in discussione apertamente gli interessi europei; Baghdad potrebbe ricostruire un sistema di difesa senza appoggiarsi agli USA e senza destare troppe preoccupazioni in Iran o in Siria.
Tuttavia le relazioni tra Russia e Iraq comportano sempre difficili esercizi di equilibrio. Il governo iracheno deve essere cauto nell’avvicinarsi a Mosca sia per motivi economici, perché la Russia è un concorrente in campo energetico, sia per motivi politici, perché non può rischiare di deteriorare i rapporti con gli Stati Uniti.
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