Il 20 novembre i membri dell’M23 sono entrati a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, e ora avanzano verso Bukavu. L’M23 è una milizia composta prevalentemente da Tutsi, formatasi durante la guerra civile in Congo negli anni ’90.
In base a un accordo del 2009 fu incorporata nell’esercito regolare congolese. Ad aprile di quest’anno ne è fuoriuscita accusando il Congo di non rispettare i termini dell’accordo. Da allora ha continuato a crescere e attualmente conta circa 4000 soldati.
Il ruolo di Uganda e Ruanda.
L’M23 è riuscito a crescere rapidamente grazie all’appoggio del Ruanda e dell’Uganda.
Dopo il genocidio del 1994, la leadership Hutu responsabile dei massacri fu costretta a fuggire in Congo, dove iniziò a organizzarsi per riconquistare il potere in Ruanda, dando vita alle Forze Democratiche di Liberazione del Ruanda (FDLR). Kigali decise allora di servirsi dell’M23 per contenere la minaccia Hutu e creare una regione cuscinetto fra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo (vedi qui).
Anche l’Uganda sembra intrattenere rapporti con l’M23 – tant’è che recentemente è stata accusata di fronte alle Nazioni Unite di appoggiare apertamente i ribelli congolesi (vedi qui). L’Uganda ha una tradizione di interventi in Congo. Fra il 1996 e il 2003 è intervenuto anche militarmente, e ha sempre continuato ad appoggiare alcuni gruppi congolesi ribelli per due scopi:
1. per questioni di sicurezza: fino a 10 anni fa il confine settentrionale ed occidentale del paese erano costantemente sotto attacco – anche se ora la minaccia si è notevolmente ridotta – da parte di numerose milizie locali, fra cui l’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), il Fronte della Riva Occidentale del Nilo e le Forze Democratiche Alleate;
2. per avere accesso alle risorse minerarie del Congo: Ruanda e Uganda appoggiano i gruppi ribelli nella provincia congolese di Ituri che gestiscono i giacimenti di oro e le altre risorse minerarie della regione. La maggior parte delle milizie ribelli congolesi (ad eccezione dell’Esercito di Resistenza del Signore) e l’esercito congolese stesso ottengono lauti profitti dal contrabbando delle risorse minerarie del paese.
C’è anche un’altra ragione per il sostegno ugandese ai ribelli: i suoi giacimenti di petrolio (circa 2,5 miliardi di barili), che dovrebbero diventare operativi nel 2015-16, si trovano proprio nelle regioni più instabili del paese, al confine con il Congo (vedi mappa a lato) un’area dove il confine fra i due stati è ancora oggetto di dispute. Ogni ritardo nell’inizio delle operazioni di estrazione avrebbe gravi conseguenze sull’economia del paese. Il Congo, che ha intenzione di sviluppare la riva occidentale del Lago Alberto, proprio sul confine, ha già rilasciato concessioni, senza aver prima raggiunto un accordo sulla linea di demarcazione – che passa proprio in mezzo al lago.
Il groviglio di interessi e di paure è troppo complesso perché possa essere sciolto con facilità.
Tanto più che per l’esercito e il governo del Congo è difficile controllare la zona est del paese, quella al confine con Ruanda e Uganda, perché è separata dal resto del Congo da una fitta foresta tropicale priva di infrastrutture di trasporto. I minerali delle miniere del Kivu (regione est del Congo) possono essere più facilmente e più rapidamente portate sui mercati mondiali attraverso l’Uganda che attraverso il Congo.
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