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Nell’era sovietica i paesi dell’Asia centrale facevano parte dell’URSS; dopo la fine del comunismo (1991) le cinque repubbliche diventarono indipendenti pur mantenendo i confini delle repubbliche sovietiche, tracciati da Mosca a tavolino con il preciso scopo di renderle incapaci di essere autosufficienti sul piano economico – così non avrebbero mai potuto ribellarsi al Cremlino.
Alcuni paesi dell’Asia centrale – in particolare l’Uzbekistan – possono vantare terre fertili (mappa a fianco) e un clima favorevole all’agricoltura. Per coltivare la terra occorrono sistemi di irrigazione efficienti: ai tempi dell’Unione Sovietica fu costruita una rete capillare di canali per indirizzare l’acqua dei due principali fiumi della regione, il Syr Darya e l’Amu Darya – che nascono l’uno in Tagikistan l’altro in Kirghizistan – verso i terreni coltivati, per lo più uzbeki. Gli effetti dell’intervento sovietico e il conseguente sovra sfruttamento idrico furono devastanti: il mare d’Aral perse circa il 75% delle acque, le regioni circostanti si trasformarono in deserti, il clima divenne torrido.
Dopo anni di mancata manutenzione – dai tempi dell’URSS – i canali sono a pezzi e perdono quasi il 50% delle acque. L’uso improprio delle acque ha fatto aumentare la salinità dei terreni, danneggiando la fertilità del suolo e causando un calo costante della produzione. Questo ha avuto gravi conseguenze sull’economia dell’Uzbekistan, che è fortemente dipendente dalla coltivazione ed esportazione del cotone: è fra i primi 10 produttori al mondo. Anche in Turkmenistan il calo della produzione potrebbe causare tensioni fra il grande clan Mary, che controlla la produzione agricola del paese, e il governo – di cui attualmente il clan non fa parte.
Questi paesi hanno assoluta necessità di ammodernare i sistemi di irrigazione, ma non hanno abbastanza fondi per farlo. Per questo sono alla ricerca di investimenti esteri. Sulla carta esistono progetti promossi dalla Banca Mondiale, dalla Banca di Sviluppo Asiatica e dalla Cina, ma per ora nessuno procede alla fase di attuazione.
Solo il Kazakistan è riuscito a fare progressi concreti con la costruzione di una nuova diga (Kokaral, 2005), e con il recupero parziale del nord del lago d’Aral, dove sono state ravviate attività legate alla pesca. Ben poca cosa però rispetto alle esigenze del paese.
Gli esperti inoltre sembrano convinti che l’innalzamento della temperatura media nella regione causerà la riduzione dei ghiacciai e di conseguenza la diminuzione del flusso delle acque entro i prossimi 50 anni.
A questo si aggiungono le preoccupazioni legate ai progetti di sviluppo di Kirghizistan e Tagikistan a monte.
Il governo kirghiso di Bishkek vorrebbe costruire una centrale idroelettrica (Kambarata-1, con una capacità di 1900 megawatt) sul fiume Naryn, un affluente del Syr Daya, mentre quello tagiko di Dushanbe ha proposto la costruzione di una centrale (Rogun, con una capacità di 3600 megawatt) lungo il fiume Vakhsh, affluente dell’Amu Darya.
Entrambi i progetti, che sarebbero i più grandi mai realizzati in Asia centrale, risalgono all’epoca sovietica e hanno lo scopo di regolare meglio il flusso delle acque a seconda delle stagioni: i paesi più a valle hanno bisogno di un maggiore apporto idrico durante l’estate, quando le temperature sono elevate, mentre i paesi a monte ne hanno bisogno soprattutto d’inverno per produrre più energia elettrica. I costi di realizzazione sono però altissimi: si stima che la centrale Kumbarat-1 abbia un costo di circa $2-4 miliardi e la centrale Rogun di $2-3 miliardi, cifre insostenibili per paesi che hanno un PIL che si aggira intorno ai $6 miliardi ($5,9 miliardi in Kirghizistan e $6,5 miliardi il Tagikistan). Per questo Kirghizistan e Tagikistan sono alla ricerca di investitori esteri.
La Russia in passato ha mostrato interesse a investire nella diga Rogun (iniziata già nel 1976 dai Sovietici) ma ha successivamente fatto un passo indietro per paura di reazioni negative da parte dell’Uzbekistan, che ha molto da perdere con la realizzazione delle dighe (mappa a destra). Nel caso in cui la diga Rogun venisse completata, occorrerebbero almeno 10 anni per riempire il bacino. In questa fase il flusso diminuirebbe solo dell’1-2%, ma dopo il riempimento il flusso si potrebbe ridurre anche del 18% durante i mesi estivi, mentre aumenterebbe fino al 54% nei mesi invernali, causando allagamenti a valle, nei terreni Uzbeki.
La competizione per le risorse idriche rischia di innescare sempre maggiori rivalità fra i paesi della regione: l’Uzbekistan, penalizzato nelle risorse idriche ma ricco di idrocarburi, potrebbe decidere di tagliare il gas a Tagikistan e Kirghizistan lasciandoli al freddo e senza energia, e potrebbe anche scatenare un conflitto armato con gravi conseguenze per l’equilibrio dell’intera Asia centrale.
A cura di Davide Meinero
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