Piovono notizie negative sull'industria automobilistica. A ottobre il governo francese ha deciso di sostenere finanziariamente la Peugeot Citroen per evitare licenziamenti. In Belgio la decisione della Ford di chiudere lo stabilimento di Denk entro il 2014 ha suscitato cortei di protesta. I media polacchi riferiscono che la produzione della Fiat a Tychy è ferma per mancanza di ordini.
L'Unione Europea è ben consapevole delle difficoltà del settore in tutta Europa. Ai primi di novembre la Commissione Europea ha presentato il piano d'azione 2020 CARS, con cui spera di rilanciare l'industria automobilistica europea. Antonio Tajani, Commissario UE per l'Industria, presenterà piani più concreti dopo aver incontrato i sindacati, le case automobilistiche e i governi.
La Commissione Europea ribadisce la necessità di un'ondata di re-industrializzazione dell’Europa. L’industria automobilistica rappresentava il 20% della produzione industriale europea nel 2000, ora è soltanto il 16%. La produzione di automobili è una componente fondamentale dell’industria europea: le subforniture s’intrecciano in tutti gli stati, e l’indotto alimenta l’industria dell'acciaio, della plastica, dell'elettronica e di molti altri settori.
L'Associazione dei Costruttori Europei di Automobili (ACEA) da impiego direttamente e indirettamente a 12 milioni di persone in Europa ed è il maggiore investitore privato in ricerca e sviluppo. Secondo l’Eurostat 2,3 milioni di persone sono direttamente impiegate nella produzione di automobili – circa 1 per cento della forza lavoro europea.
La Germania è il maggior produttore di vetture in Europa. Secondo l'ACEA all'incirca 750.000 persone lavorano nel settore automobilistico tedesco. La Francia (200.000 dipendenti) e l'Italia (170.000 dipendenti) sono al secondo e terzo posto. La Germania ha circa il 30 per cento del mercato europeo dell’automobile. Durante la crisi il governo tedesco ha sovvenzionato l'acquisto di auto nuove per sostenere la propria industria automobilistica. Le fabbriche automobilistiche tedesche godono ora di buona salute, perché sono riuscite a crescere in altri mercati, principalmente in Cina.
Nel 2011 la Francia è stata il secondo maggior produttore di auto in Europa, quasi alla pari con la Spagna. Però il governo francese deve sostenere l’industria, che dal 2007 non vede un surplus commerciale, il che significa che i produttori francesi hanno perso competitività.
I paesi dell'Europa centrale e orientale hanno rafforzato le posizioni rispetto all'Europa occidentale. La Repubblica Ceca e la Polonia sono i maggiori produttori in queste zone – e sono oggi più forti dell'Italia, che ha tradizionalmente un’industria automobilistica forte. Gli investimenti esteri erano aumentati significativamente in Europa centrale e orientale negli anni precedenti la crisi finanziaria del 2008. Il numero di addetti alla produzione di autoveicoli è sceso in Europa occidentale negli ultimi dieci anni, ma è aumentato nell’Europa centrale e orientale.
Con l’immatricolazione di nuove vetture in declino in tutta Europa, l’industria è alle prese con un’eccessiva capacità produttiva. Sono prevedibili ulteriori cali nelle vendite sia per la crisi sia per l’invecchiamento medio della popolazione. D’altra parte l'Unione Europea ha già il maggior numero di auto al mondo, con una forte concentrazione in Europa occidentale.
La riduzione delle vendite di auto ha un impatto globale: colpisce soprattutto le esportazioni del Giappone, degli Stati Uniti e della Corea del Sud.
In Francia e Italia i governi vorrebbero aumentare la competitività della propria industria, ma non riescono a far approvare le riforme necessarie per l'opposizione dei sindacati, che spingono invece i politici a introdurre misure protezionistiche, misure che all’interno dell’Unione Europea i singoli governi non possono introdurre senza l’accordo di tutti i paesi membri. I paesi dell'Europa dell'est ovviamente non sarebbero pronti ad accettare misure protezionistiche in Italia in Francia.
Il dibattito su come proteggere le industrie nazionali potrebbe creare tensioni nell’UE, che si sommerebbero a quelle già evidenti fra i paesi dell’eurozona.
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