La crescente tensione tra il governo egiziano e gli Emirati Arabi dimostra quanto l’ascesa al potere degli Islamisti preoccupi le monarchie della regione, dato che l’ideologia islamista non riconosce la legittimità della monarchia.
Nei mesi passati il governo degli Emirati Arabi ha intensificato gli arresti e la propaganda contro presunti membri della Fratellanza musulmana, che è fuori legge negli Emirati, con l’accusa di eversione. I Fratelli musulmani egiziani hanno preso la difesa della Fratellanza nella regione, arrivando ad accusare il governo degli Emirati Arabi Uniti di cospirare per assassinare il presidente egiziano Morsi. Il conflitto si è intensificato a inizio di gennaio, quando i Fratelli musulmani egiziani hanno esplicitamente difeso gli 11 attivisti islamici arrestati negli Emirati Arabi.
Subito dopo la stampa del Kuwait ha pubblicato un rapporto secondo cui il governo islamista in Egitto ha organizzato un incontro al Cairo con il comandante del corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche iraniane, il generale Qasem Soleimani, per mettere a punto strategie che permettano ai Fratelli musulmani di prendere il controllo delle forze di sicurezza egiziane. Il rapporto è stato smentito con veemenza sia dal governo iraniano che da quello egiziano, ed è forse solo un tentativo di creare tensione tra i Fratelli musulmani, i militari egiziani e gli altri stati arabi.
Gli Stati arabi del Golfo temono che le forze politiche islamiste locali vengano spinte dalla vittoria della Fratellanza musulmana in Egitto a tentare la rivoluzione anche nei loro stati. È una preoccupazione comprensibile, visto che le monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo controllano territori dai confini geografici artificiali, perché sono reliquie dell’assetto politico del dopoguerra, e non hanno veri e propri eserciti. Si difendono sia cercandosi un protettore esterno molto potente (in questo momento gli Stati Uniti), sia facendosi amici tramite le ricchezze che derivano dalle risorse naturali. Se si presenta un pericolo comune, cercano di superare i dissidi tribali e le antiche dispute territoriali e si uniscono in difesa. Fu la rivoluzione iraniana del 1979 a indurli a creare nel 1981 il Consiglio di Cooperazione del Golfo come strumento di difesa di fronte alla rinascita dell’islamismo sciita. Ci fu poi il tentativo di Saddam Hussein, nel 1991, di ridisegnare la mappa della regione invadendo il Kuwait, quindi il pericolo jihadista degli anni 2000. La caduta di Saddam nel 2003 ha lasciato libero campo all’Iran, che ha alimentato proteste sciite in Bahrain, in Arabia Saudita e in Kuwait. Oggi che il pericolo iraniano è in declino, il ritorno dei Fratelli musulmani è la nuova ossessione delle monarchie del Golfo. L’Arabia Saudita reagisce finanziando gruppi salafisti più radicali ma meno orientati alla politica sia in Egitto che in Siria, perché entrino in competizione con i Fratelli musulmani.
Il Qatar, invece, fa eccezione. Ha una esigua popolazione indigena compatta, un governo stabile, entrate pubbliche in aumento, e si permette il lusso di sostenere attivamente i Fratelli musulmani in Siria e in Egitto, per aumentare il proprio peso diplomatico in campo regionale.
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