Gli USA hanno annunciato che nei prossimi mesi gli Stati Uniti lasceranno ai militari afgani tutte le operazioni di combattimento in Afghanistan. È l’ultimo passo prima del ritiro delle forze USA. Nel frattempo la Francia è intervenuta in Mali per impedire che i jihadisti assumessero il controllo della ex-colonia francese. Questi due eventi sono il segnale di un importante cambiamento geopolitico: gli Stati Uniti hanno cambiato il proprio ruolo nel mondo.
Il ripensamento radicale statunitense, avvenuto a partire dal 2004, non riguarda l’Iraq o l’Afghanistan, ma che fare di fronte al radicalismo islamico terrorista. Si tratta di un nemico che non scomparirà da solo, che non si riesce ad eliminare, ma che non mette a rischio gli USA come stato. L’attentato dell’11 settembre è stato atroce, ma non ha messo a rischio la sopravvivenza degli Stati Uniti, nonostante il numero di vittime. La guerra contro un pericolo costante richiede equilibrio e stabilità, senza che quel pericolo divenga l'obiettivo centrale della politica estera. L’unica scelta possibile è aver pazienza. Gli Stati Uniti non possono più pensare di combattere una guerra contro il radicalismo islamico e vincerla, né possono essere i protagonisti di una guerra combattuta principalmente nell'emisfero orientale.
Questo rende l'intervento francese in Mali particolarmente interessante. La Francia continua ad avere interessi nelle ex colonie africane, e il Mali è il centro geografico di questi interessi. A nord del Mali c’è l'Algeria, dove la Francia ha importanti investimenti, ad est il Niger, dove la Francia ha una partecipazione significativa nell’ estrazione di risorse minerarie, in particolare dell’uranio, a sud c’è la Costa d'Avorio, dove la Francia gioca un ruolo importante nella produzione di cacao. Il futuro del Mali è molto più importante per la Francia che per gli Stati Uniti.
Per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Stati Uniti rimangono assenti dallo scenario bellico. Anche se gli USA offrono intelligence e aiuto logistico, non trattano la crisi come una loro guerra, ma come la guerra di un alleato, che potrebbero anche dover aiutare in extremis, ma soltanto se fosse davvero necessario.
Questo cambiamento è stato evidente anche in Siria, dove gli Stati Uniti hanno sistematicamente evitato l’azione, e in Libia, dove sono intervenuti soltanto dopo che Francesi e Inglesi avevano lanciato un attacco che non potevano sostenere. Questo è stato il punto di svolta. Piuttosto che assumersi onerosi impegni contro il radicalismo islamico in tutto il mondo, gli Stati Uniti preferiscono passare l’incarico alle potenze che hanno interessi diretti nella zona.
Accettare di cambiare strategia è difficile. Ma gli Stati Uniti non possono eliminare il radicalismo islamico. Incaponirsi in uno scopo irraggiungibile altera la strategia nazionale e cambia il tessuto della vita quotidiana. Ovviamente gli USA debbono tenere d’occhio lo sviluppo di un'organizzazione di portata mondiale come Al Qaeda, ma questo non significa necessariamente rispondere ai jihadisti in Mali, dove gli Stati Uniti hanno interessi limitati e poche risorse.
Accettare la presenza di un pericolo costante è difficile. Controllare un nemico sul lungo periodo, invece di sconfiggerlo completamente, è impegnativo. Ma non è affatto una novità nella strategia americana. Gli Stati Uniti utilizzarono la stessa strategia nella Seconda Guerra mondiale, quando lasciarono combattere gli altri fino al 1944, e reagirono soltanto perché fu reso assolutamente necessario dall’attacco a Pearl Harbour. Churchill commentò: “gli Americani fanno sempre la cosa giusta, dopo aver esaurito tutte le alternative”.
Nessun impero può sostenere una guerra continua impossibile da vincere, e gli USA ne hanno preso nota. Sarà interessante vedere come la Francia gestirà la questione del Mali. Ancora più interessante sarà vedere gli Stati Uniti alla finestra, in attesa del successo francese.
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