La strategia
del regime coreano

20/03/2013

Tratto da un’analisi di George Friedman per Strategic Forecasting.

Il 12 febbraio la Corea del Nord ha fatto esplodere un ordigno nucleare sotto terra. L’unico valido alleato del Paese, la Cina, al Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 7 marzo ha votato contro Pyongyang, mettendo in evidenza l’isolamento della Corea del Nord. 

Pyongyang ha reagito annunciando che avrebbe sospeso l’armistizio che pose fine alla guerra di Corea del 1953, lasciando intendere che quella guerra si riaccenderà e che allora le città statunitensi saranno trasformate in “muri di fuoco”. Sono manifestazioni di una politica stupida e feroce da parte di un paese debole,  che però nell’insieme formano una strategia coerente da parte del regime, se si considera che il suo obbiettivo primario non è lo sviluppo del Paese, ma la preservazione del proprio potere.

Dimostrarsi aggressivi e prossimi a disporre di una bomba nucleare rende caute le altre nazioni. La debolezza della Corea del Nord, il suo essere isolata dal mondo in generale e dalla Cina in particolare, spinge gli altri Paesi a evitare azioni drastiche, nella speranza che il regime presto cadrà.  L’eccesso di affermazioni assurdamente stolte  -  ad esempio la minaccia di attaccare gli Stati Uniti - rende la Corea del Nord totalmente imprevedibile. I tre elementi di aggressività, debolezza e finta stoltezza, usati insieme, limitano di fatto le reazioni degli altri paesi.

Fino ad oggi la Corea del Nord ha giocato bene il ruolo dell’agente irrazionale e irresponsabile. Già in passato ha fatto esplodere ordigni nucleari, ha irritato la Cina e ha minacciato di riprendere le ostilità, senza conseguenze. Ha commesso anche azioni gravi, come l’affondamento di una nave sud coreana nel 2010, senza apparente scopo. Persino quell’incidente, benché altamente provocatorio, non ha cambiato assolutamente nulla sul piano strategico.

Solitamente la Corea del Nord ha un buon motivo per scatenare le crisi internazionali che  all’esterno paiono così irragionevoli. La ragione per l’ultima provocazione sta nel nuovo leader Kim Jong Un. Figlio dell’ex leader Kim Jong Il e nipote del fondatore della Corea del Nord Kim Il Sung, Kim Jong Un ha soltanto 30 anni e molti dubitano delle sue capacità di governare, all’interno e all’estero. Un ottimo modo per presentarsi con autorità è quello di orchestrare una crisi internazionale che trascini Stati Uniti, Giappone, Cina, Russia e Corea del Sud al tavolo del negoziato con la Corea del Nord, negoziato da cui Pyongyang uscirà nuovamente indenne

Conscio dei limiti della sua strategia, il regime nord coreano non ha commesso passi falsi nell’attuarla. Anche se è un trentenne a governare formalmente il Paese, il regime è costituito da persone ed istituzioni – appartenenti al partito e all’esercito – che controllano ed aggiustano formalmente gli atteggiamenti del leader. Ne consegue che poco cambierà: gli analisti americani evidenzieranno l’aggressività nordcoreana e la necessità di estrema vigilanza, i Cinesi  sottolineeranno la debolezza del paese e dichiareranno – come già ha fatto il Ministro degli Esteri cinese il 9 marzo – che, nonostante il voto alle Nazioni Unite, sosterranno la sopravvivenza della Corea nel Nord,  e la maggior parte dei popoli ignorerà la minaccia di Pyongyang di riaccendere la guerra di Corea.

È molto poco probabile che il regime nordcoreano intenda riaccendere la guerra con il sud, ma proviamo a immaginare quali scenari potrebbero indurlo a voler davvero fare una tale scelta.

Partiamo da due ipotesi puramente teoriche. Innanzi tutto ipotizziamo che la Corea del Nord ritenga di non essere in grado di sviluppare un’arma nucleare in un arco di tempo significativamente utile.  O, in alternativa, ipotizziamo che sia convinta che ogni ulteriore sviluppo degli armamenti possa causare un attacco americano contro i suoi siti nucleari. In altre parole stiamo ipotizzando che il regime nord coreano si aspetti di perdere la propria potenza nucleare, o per motivi tecnici, o per un attacco ai siti nucleari prima dell’ultima fase di realizzazione della bomba. 

La seconda ipotesi è che la Corea del Nord si renda conto che la strategia basata su attacchi improvvisi al Sud e minacce a livello internazionale, adottata fin dagli anni ’90 come corollario al programma nucleare, non funziona più. Anziché procurare finanziamenti e concessioni questa strategia ha marginalizzato la Corea del Nord. Sanzioni a parte, il protrarsi di un simile modo di agire non porta più a colloqui, non spaventa più i vicini e non produce reazioni da parte degli Americani. Se così è, Kim Jong Un si presenterebbe al mondo non con autorità, ma con un piagnisteo.

Sia l’una che l’altra ipotesi rappresentano un bel pericolo per la sopravvivenza del regime. Se le minacce del regime non vengono prese sul serio, se le reazioni sono insignificanti, se non vengono fatte concessioni economiche, il regime non ha più leve da adoperare. Il pericolo che si verifichi una tale situazione richiederebbe un’azione preventiva. Ecco perché il regime potrebbe arrivare a voler riaffermare la propria credibilità riaccendendo una guerra vera e propria: ciò obbligherebbe la comunità internazionale ad attivarsi per il cessate il fuoco, concedendo aiuti e riconoscimenti che permetterebbero allo stesso regime di presentarsi, all’interno, come il vincitore di una sfida internazionale, come il grande difensore del popolo nord coreano.

Ma durante la guerra ci sarebbero bombardamenti americani o della Corea del Sud sui siti nucleari di Pyongyang, che ne verrebbero distrutti. Se però fosse vera anche la prima ipotesi, cioè che il regime ritiene che la minaccia nucleare ormai priva d’efficacia, potrebbe aver messo in conto anche questo. Se il programma nucleare è un’arma da abbandonare perché ormai inutile, conviene perdere quest’arma in una guerra in cui i nemici finiranno col vestire i panni del gigante obbligato ad accettare le condizioni della piccola e indomita piccola Corea.

La prima mossa della Corea del Nord consisterebbe, ovviamente, in un massiccio attacco di artiglieria contro Seoul, capitale della Corea del Sud. Dopo qualche tempo le forze aeree americane distruggerebbero l’artiglieria nord coreana, ma nel frattempo Seoul sarebbe colpita duramente e chiederebbe il cessate il fuoco, prima che i bombardamenti americani infliggessero danni schiaccianti alla Corea del Nord. Tutto ciò avverrebbe in un lasso di tempo abbastanza breve: pochi giorni. In questo ipotetico scenario la Corea del Nord potrebbe chiedere un compenso che la Corea del Sud sarebbe disposta a pagare pur di salvare la propria capitale, chiedendo anche agli Americani di astenersi da ulteriori rappresaglie, mentre la Cina sarebbe pronta a negoziare un nuovo armistizio. In questo modo la Corea del Nord potrebbe ristabilire la propria credibilità, ridefinire i termini del rapporto tra nord e sud e – pur perdendo il deterrente nucleare –  guadagnerebbe un significativo deterrente convenzionale.

In realtà i rischi sono probabilmente troppo grandi perché questo scenario possa concretizzarsi. La Corea del Nord non può essere sicura che la Corea del Sud chiederebbe subito il cessate il fuoco pur di non subire pesanti perdite: potrebbe invece decidere di continuare la guerra fino a liberarsi una volta per tutte del pericolo, eliminando il regime del nord con l’aiuto degli Americani. Inoltre l’artiglieria nord coreana potrebbe rivelarsi poco efficace. Il rischio sarebbe un’entrata in guerra senza possibilità di vittoria, ottenendo un isolamento totale.

Le ipotesi che abbiamo avanzato sono soltanto una riflessione su ciò che potrebbe accadere se i Nordcoreani fossero incoscienti giocatori d’azzardo, piuttosto che i cauti manipolatori dei decenni precedenti. Un simile scenario presupporrebbe che il nuovo leader agisse scavalcando uomini più anziani e più saggi, alla ricerca di risultati per rafforzare il consenso interno e la posizione internazionale del paese. Il nuovo leader potrebbe esser disposto a rischiare tutto, ma per farlo dovrebbe ritenere che già tutto è a rischio.

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