Turchia
la difficile tregua con il PKK

29/03/2013

Abdullah Ocalan, il leader del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) detenuto in Turchia, il 21 marzo ha annunciato – per il tramite di una lettera – il già ampiamente anticipato cessate il fuoco con il governo turco. Il messaggio è stato letto in curdo e in turco da due deputati del partito filo curdo Pace e Democrazia nella città di Diyarbakir, focolaio della rivolta curda in Turchia.

Ocalan ha più volte dichiarato tregue in passato, ma per scopi tattici, al fine cioè di dare tempo al PKK di riorganizzare le forze. Questa volta, invece, il governo turco e il PKK hanno dato vita ad una “road map” strategica per arrivare alla pace, con il cauto supporto della base. Nella lettera Ocalan addossa la responsabilità della violenza nella regione ai confini artificiali creati dall’imperialismo occidentale e proclama l’inizio di una nuova era: è finito il tempo delle armi, ora giunge quello delle idee.

Il partito di governo turco Giustizia e Sviluppo si è impegnato per anni a reprimere la rivolta curda, neutralizzare l’influenza politica dei militari ed espandere la propria base politica. Questi tre obiettivi sono, a ben vedere, interconnessi. Aprendo negoziati politici con il PKK il governo è riuscito a minare l’approccio dei militari, tipicamente basato sulla forza, e di conseguenza ne ha ridimensionato l’influenza politica. Se si addivenisse ad un’intesa con il PKK, il partito Giustizia e Sviluppo potrebbe sostenere di aver posto fine alla rivolta.

Due fattori hanno reso più urgenti i negoziati, dal punto di vista del partito di governo. Vediamo quali. Il primo riguarda il sostegno turco ai ribelli siriani contro il regime Alawita. Questo ha creato un vuoto di potere nel nord-est della Siria, dove risiede una vasta popolazione curda. In questo vuoto di potere il partito dell’Unione Democratica, che ha forti legami con il PKK in Turchia, è emerso come la principale organizzazione curda in Siria e ha cominciato a parlare della costituzione di una regione autonoma, paragonabile al Governo Regionale Curdo in Iraq. Questo ha imposto alla Turchia una riflessione, derivata dalla consapevolezza che l’instabilità della regione corre il rischio di peggiorare il conflitto curdo all’interno della Turchia.

Il secondo fattore riguarda le ambizioni politiche del partito Giustizia e Sviluppo. Erdogan, il cui terzo mandato da Primo Ministro terminerà nel 2015, vorrebbe riscrivere la costituzione turca per trasformare il sistema parlamentare del Paese in un sistema presidenziale, in modo tale da potersi candidare alle presidenziali del 2014. L’iniziativa vede diviso lo stesso partito Giustizia e Libertà, ma anche con il sostegno pieno del partito Erdogan non avrebbe la maggioranza parlamentare dei due terzi che gli è necessaria per modificare la costituzione. Dunque Erdogan sta cercando di guadagnare consensi e sostegno in vista di un referendum nazionale sulla revisione della costituzione, e il partito filo-curdo potrebbe assicurargli un buon bacino di voti.

Il percorso dei negoziati di pace proposto comprende alcuni punti, il primo dei quali è proprio la dichiarazione di fine delle ostilità da parte del PKK. Il partito Giustizia e Sviluppo creerà allora una commissione extraparlamentare per seguire i successivi sviluppi del processo. Se il cessate il fuoco si rivelerà duraturo, il governo porterà avanti le riforme necessarie alla ridefinizione delle imputazioni per terrorismo, che permetterà la scarcerazione di migliaia di membri del PKK. In cambio il PKK annuncerà il progressivo ritiro di 4000 suoi combattenti verso i Monti Qandil in Iraq. Turchia e PKK hanno negoziato questa parte di accordo con Massoud Barzani, leader del Partito Democratico del Kurdistan Iracheno e Presidente del Governo Regionale Curdo in Iraq.

Il terzo passo riguarda, invece, gli accordi tra leadership turca e rappresentanti curdi sulle modifiche alla costituzione, per rimuovere le barriere ai diritti culturali, come il diritto di usare e insegnare la propria lingua madre nelle scuole. In cambio Erdogan si aspetta l’appoggio curdo in parlamento alla riforma presidenziale.

L’ultimo punto di questa road map riguarda le condizioni per il disarmo del PKK.

In questo lungo e complesso processo, che coinvolge anche i gruppi di militanti curdi sparsi in vari Paesi del mondo, molte cose potrebbero andare storte. Ma il cammino è aperto.

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.