Negli ultimi vent’anni la produzione brasiliana di materie prime quali i minerali di ferro e i fagioli di soia ha superato di gran lunga le possibilità delle infrastrutture di trasporto del paese. È diventato dunque molto difficile far arrivare le merci ai porti, e per la troppa richiesta i costi dei trasporti interni sono raddoppiati. Ora il Brasile tenta di sviluppare la rete di trasporti terrestri e ferroviari, e le infrastrutture portuali. Ma ci vorranno decenni prima che l’interno del paese sia efficacemente collegato ai principali snodi logistici.
Storicamente la popolazione e l’economia del Brasile sono concentrate lungo le coste, specie quelle sud orientali. Svariati fattori, fra cui i progressi scientifici degli anni ’70 e ’80, le riforme economiche degli anni ’90 e l’esplosione della domanda da parte dei Cinesi negli ultimi anni, hanno profondamente cambiato la produzione dei minerali di ferro e della soia nelle regioni periferiche del Cerrado e dell’Amazzonia (vedere mappa a lato).
Negli anni ’70 e ’80 la Brazilian Agricultural Research Corporation − di proprietà dello stato − ha rivoluzionato l’agricoltura brasiliana e ha realizzato coltivazioni su larga scala nelle vaste savane tropicali dell’interno. I ricercatori hanno scoperto di poter ridurre l’acidità del terreno del Cerrado con l’aggiunta di calcare. Hanno poi introdotto un batterio che fissa l’azoto nel terreno, riducendo la necessità di fertilizzanti, quindi hanno sviluppato una varietà di soia che cresce nel clima tropicale.
Negli anni ’90 il Brasile riuscì a controllare l’inflazione ancorando il cambio del real a quello del dollaro in modo fisso. Stabilizzò così l’ambiente macroeconomico del paese e si assicurò l’accesso al mercato internazionale dei capitali. Il paese iniziò piano piano a liberalizzare e privatizzare l’economia, e incoraggiò la concorrenza.
La liberalizzazione brasiliana degli anni ’90 concise con l’apertura dell’economia cinese. La Cina è oggi uno dei principali consumatori dei minerali di ferro e della soia del Brasile. Tra il 2002 e il 2012 le esportazioni brasiliane di minerali di ferro verso la Cina sono passate da 34,6 a 169,9 milioni di tonnellate, quelle di soia da 4,1 a 22,9 milioni di tonnellate. L’elevata domanda ha incentivato i produttori brasiliani a incrementarela produzione, anche se le infrastrutture insufficienti non permettevano margini di utile normali. I grandi volumi compensavano i bassi margini. Ora che la domanda cinese potrebbe rallentare, il Brasile deve assolutamente ridurre i costi per essere competitivo sul mercato globale.
Nell’ultimo decennio la produzione annua brasiliana di minerali di ferro è passata da 200 a 375 milioni di tonnellate, le esportazioni sono passate da 155 a 327 milioni di tonnellate. All’incirca nello stesso periodo la produzione annuale di soia è passata da 52 a 83,5 milioni di tonnellate, l’esportazione da 21 a 36,8 milioni di tonnellate. Al momentoil Brasile è il secondo maggior esportatore mondiale di ferro e di soia.
La sfida della logistica interna
La coltivazione della soia avviene per lo più negli stati di Mato Grosso e Goiás. La maggiore miniera di ferro del paese – e del mondo– si trova nelle montagne Carajás, nello stato amazzonico del Pará. Il costo all’esportazione delle produzioni di queste aree è molto più alto rispetto a quelle delle regioni vicine alla costa. I trasporti dal Mato Grosso a Shanghai costano quasi il doppio dei trasporti da Rio Grande do Sul a Shanghai.
La situazione è più equilibrata per il minerale di ferro. La Vale,la seconda maggiore azienda del Brasile, controlla quasi tutte le miniere del paese, ed è riuscita ad avere i capitali per costruire ferrovie e porti gestiti privatamente. Invece i produttori di soia utilizzano strutture logistiche e i porti pubblici di Santos e Paranaguá, perennemente congestionati, con lunghe file di autocarri e navi sempre lungamente in attesa. Mentre la produzione di soia è raddoppiata, le infrastrutture sono rimaste le stesse. Ecco perché i costi di trasporto dal Mato Grosso a Paranaguá sono aumentati del 47% nel solo 2012. Anche la capienza dei magazzini e dei silos è di molto inferiore alle necessità, intralciando le prospettive di crescita dell’industria agroalimentare.
Negli ultimi anni Brasilia ha lanciato varie iniziative per stimolare gli investimenti misti tra pubblico e privato in progetti di sviluppo di infrastrutture, ma con scarso successo perché il settore privato non si fida di quello pubblico, corrotto ed eccessivamente burocratizzato. Si veda qui a lato la mappa della rete di trasporto esistente e dei nuovi progetti che si spera di realizzare.
Nel 2011 il governo ha lanciato un secondo grande programma di investimento, che per ora ha raccolto 14 miliardi di dollari in contributi privati, meno della metà di quanto si sperava.
A maggio e giugno il Brasile metterà all’asta 9 concessioni per la costruzione di strade e 11 per la costruzione di ferrovie, fra novembre 2013 a febbraio 2014 cercherà di vendere all’asta le licenze per costruire porti privati.
Il governo sta apportando modifiche all’impianto normativo per stimolare gli investimenti e sta rivedendo i regolamenti pubblici sulla gestione dei porti, perché è l’eccesso di regolamentazione e di controllo pubblico che spaventa i potenziali investitori. A dicembre 2012 è cessata la proibizione di usare i porti privati anche per conto terzi. Prima, ad esempio, la Vale poteva usare i suoi porti soltanto per spedire e ricevere la propria merce, non quella di altri! Il divieto era in vigore da decenni per proteggere i porti pubblici, costosi e inefficienti, dalla competizione privata. Nel febbraio 2013 il governo ha modificato la struttura e la durata delle concessioni, prorogandone la durata da 25 a 30 anni e permettendo la remunerazione sull’investimento del 10%, mentre prima il limite era il 6%. Inoltre l’amministrazione Rousseff sta ora coinvolgendo le banche private nella raccolta fondi, prima affidata esclusivamente alla Banca per lo Sviluppo Nazionale, e progetta di emettere presto specifiche obbligazioni esenti tasse.
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