Al Qaeda sta tentando di sfruttare il conflitto in Siria per riaccendere la tensione settaria in Iraq e crearsi uno spazio operativo ininterrotto dall’Iraq al Libano. Soltanto nelle ultime due settimane sono state uccise più di 300 persone e centinaia sono state ferite in attentati esplosivi in varie parti dell’Iraq, rivolti contro la popolazione sciita. I jihadisti hanno l’opportunità di riconquistare uno spazio operativo importante come quello afghano prima dell’invasione americana del 2001.
Storicamente l’area ora divisa tra Siria e Iraq è stato gestita come un unico territorio, ma le diversità tra le due aree sono sempre state abbastanza marcate da impedire la dominazione simultanea di entrambi i territori per un lungo periodo. È stato così per secoli, ancor prima dell’ascesa dell’Islam, durante l’impero Sassanide e quello Bizantino, poi durante i califfati Abbaside e Omayyade, fino al tempo della rivalità tra i partiti Baath in Iraq e in Siria nel periodo post-coloniale, ai giorni nostri. Ora i jihadisti transnazionali basati in Iraq tentano di sfruttare la ribellione sunnita contro il regime alawita in Siria per trasformare Iraq e Siria in un unico campo di battaglia.
Seguendo la strategia usata dai jihadisti negli anni ‘80 nel conflitto contro i sovietici in Afghanistan, al Quaeda approfitta del vuoto creato dal crollo dei governi per stabilire propri califfati o emirati. Al Quaeda in Iraq ha tentato di applicare questa strategia in Iraq negli anni 2000, ma ha fallito perché la maggioranza sciita non ha apprezzato l’applicazione crudele e inflessibile della legge islamica, e al Quaeda ha dovuto faticare per conservare qualche influenza nel paese.
Al Qaeda in Iraq tenta di inglobare il movimento jihadista siriano Jabhat al-Nusrah, e ha aggiunto alla denominazione “Al Quaeda in Iraq” anche “in Siria”. Ora tenta di appropriarsi di parte del denaro e delle armi che i sostenitori internazionali − soprattutto i Sauditi, che vedono nel regime siriano alleato dell’Iran un pericolo strategico – mandano agli insorti.
Nella comunità jihadista è in corso un dibattito volto a stabilire la gerarchia delle battaglie da combattere. Molti sostengono che la priorità è ora la Siria, dove gettare le basi di una successiva campagna in Iraq. Ma se i jihadisti rimangono concentrati sulla Siria non sono in grado di mobilitare sufficienti risorse per scatenare la violenza settaria su larga scala in Iraq.
Oggi il panorama politico irakeno non è molto favorevole ai jihadisti. Le divisioni tra sunniti, sciiti e curdi minacciano ancora la stabilità politica interna, ma i jihadisti non sembrano in grado di volgere queste divisioni a proprio favore. I sunniti irakeni disprezzano i jihadisti, già nel 2007 e 2008 hanno deciso di aderire al sistema politico a maggioranza sciita e di non insorgere più contro lo stato ma contro Al Quaeda.
I sunniti in Iraq potrebbero approfittare del sollevamento dei sunniti siriani per indebolire il controllo sciita su Baghdad, ma si chiedono anche se vale la pena di correre il rischio di rafforzare i jihadisti, i soli beneficiari di un’eventuale guerra civile in Iraq.
I sunniti siriani sono maggioranza, possono rovesciare il regime dominato dalla minoranza alawita e sono pronti ad allearsi con i jihadisti. Al contrario i sunniti irakeni sono una minoranza, fanno fatica a tenere testa persino ai curdi, figuriamoci agli sciiti. Inoltre il governo del primo ministro Nouri al-Maliki è riuscito nel tempo a coinvolgere gran parte della comunità sunnita nel panorama politico.
I jihadisti sperano però di scatenare una reazione sciita forte ai loro attentati in Iraq, tale da danneggiare tutta la comunità sunnita e indurla allo scontro armato. Al-Maliki però sta facendo il possibile per contenere le reazioni degli sciiti alle provocazioni jihadiste, benché sia il governo sia le fazioni politiche sciite abbiano armi pronte per essere usate.
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