di Robert D. Kaplan (pubblicato su Stratfor)
In Asia, lentamente e in modo non eclatante, si sviluppa una tendenza di importanza storica: i paesi asiatici iniziano a stringere legami tra di loro, invece di dipendere soltanto dagli USA, per controbilanciare la Cina. India, Vietnam, Indonesia, Malesia, Giappone: i paesi asiatici stanno superando le proprie difficoltà? chi la povertà, chi le tensioni interne, chi la stagnazione? e stanno tessendo robuste relazioni gli uni con gli altri, generando nuovi equilibri. La nuova rete del potere in Asia è generata dall’emergere delle medie potenze.
Entro il 2025 l’Asia genererà quasi il 50% del reddito mondiale e ospiterà 4 delle 10 maggiori economie: Cina, India, Giappone e Indonesia. Gli investimenti asiatici negli USA e gli investimenti americani in Asia sono raddoppiati negli ultimi dieci anni. Gli USA si sono impegnati a stringere più accordi e ad aumentare la loro presenza nell’area Indo-Pacifica: 2500 marines sono ora stanziati nel nord dell’Australia e quattro nuove LCS (navi da combattimento costiero) sono di stanza a Singapore. Entro il 2020 il rapporto tra le navi da guerra stanziate nell’Atlantico e quelle stanziate nel Pacifico passerà da 50-50 a 60-40.
Il nuovo interesse americano nel continente asiatico è soltanto uno dei cambiamenti strategici in corso, e non il più sorprendente. L’India sta addestrando marinai vietnamiti. Il Giappone ha firmato un accordo in materia di sicurezza con l’Australia, e dal 2000 ha anche aumentato del 50% gli scambi con la Corea del Sud. Sia l’Indonesia che la Malesia hanno più che raddoppiato gli scambi con l’India e Singapore negli ultimi dieci anni. Il Vietnam e l’Australia si scambiano regolarmente delegazioni militari di alto livello. Il Vietnam e il Giappone hanno annunciato di voler avviare una cooperazione in materia di difesa, così come l’India e il Vietnam. Probabilmente il dato più sorprendente riguarda gli scambi commerciali tra l’India e i Paesi del Sud-Est Asiatico, che sono aumentati del 37% nel giro di un anno, dal 2011 al 2012. Questi sono solo alcuni esempi dei vari accordi in materia di commercio intra-regionale che si stanno siglando in Asia.
Questa nuova rete di potere può funzionare anche se non è capitanata dagli USA? Certo, molti di questi accordi sono superficiali – ma dopotutto molte relazioni importanti iniziano così. In altre parole, se son rose fioriranno.
Il problema è che i Paesi asiatici hanno paura, nonostante si siano rafforzati. Temono la dominazione economica cinese sulla regione, anche se la Cina ha le sue gatte da pelare. E temono anche che sul lungo termine gli USA non riusciranno a mantenere il loro impegno militare nel Bacino del Pacifico ai livelli del passato. Da Washington arrivano notizie di tagli alla spesa pubblica – il cosiddetto “sequester” – e si percepisce un vago impulso isolazionista. Inoltre non sarebbe la prima volta che gli USA abbandonano alleati regionali: tutti questi elementi spaventano gli alleati degli Americani in Asia.
I vari Paesi asiatici dialogano però individualmente con Washington e Pechino, non con una voce sola. L’India è ormai un’autentica media potenza, forte di un esercito vigoroso. Il Giappone va di nuovo fiero delle proprie forze armate – tutto sommato considerevoli ? senza problemi di coscienza. L’Australia, forte di un esercito sempre energico e con un’eroica tradizione alle spalle, ha iniziato a guardare oltre gli USA in cerca di alleati. Il Vietnam e la Malesia, dopo aver superato guerre e ribellioni e le recenti difficoltà economiche e politiche, sono ora in grado di proiettare il proprio potere oltre il Mar Cinese Meridionale. L’Indonesia sta diventando una potenza economica di tutto rispetto. Singapore ha sempre puntato in alto, nonostante abbia un potere militare limitatissimo, e ha sempre cercato accordi con altri paesi.
La nuova rete di potere in Asia dimostra che l’era della dominazione occidentale sugli oceani Pacifico e Indiano, inaugurata dai Portoghesi alla fine del XV secolo, è in declino, mentre la Cina cresce e gli altri Paesi asiatici si avvicinano l’un l’altro.
Ora l’incognita è la Cina: continuerà a crescere, o inciamperà nell’eccessiva complessità della transizione economica?
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