Le ambizioni geopolitiche della Turchia

09/07/2013

Di Robert D. Kaplan e Reva Bhalla

La Turchia degli Ottomani uscì sconfitta dalla Prima Guerra Mondiale, come la Germania degli Hohenzollern e l’Austria degli Asburgo. Con il Trattato di Sèvres del 1920 gli alleati vincitori mutilarono la Turchia, distribuendo territori e zone di influenza alla Grecia, all’Armenia, all’Italia, al Regno Unito e alla Francia.

La Turchia reagì a questa umiliazione con il kemalismo, ideologia di Mustafa Kemal Ataturk (il soprannome “Ataturk” significa “Padre dei Turchi”), l’unico generale Ottomano non sconfitto, che guidò la rivolta militare contro i nuovi occupanti per creare uno stato sovrano turco in Anatolia. I Kemalisti erano disposti a cedere parti dell’Impero Ottomano al di fuori dell’Anatolia, pur di creare uno stato esclusivamente turco in Anatolia, senza i Curdi, ad esempio. Crollava così l’intero edificio multiculturale dell’Impero Ottomano.

I Kemalisti non volevano liberarsi solo delle minoranze, ma anche dell’alfabeto arabo. Ataturk volle dare alla lingua turca l’alfabeto latino, correndo il rischio di far diventare analfabeta gran parte della popolazione turca. Abolì i tribunali musulmani, proibì alle donne di portare il velo e agli uomini di portare il fez e riqualificò i Turchi come Europei (senza curarsi di come la pensassero gli Europei a riguardo). Ataturk orientò i Turchi verso l’Europa e non più verso il Medio Oriente e l’ormai defunto Impero Ottomano.

L’ideologia kemalista era una chiamata alle armi, una reazione marziale al Trattato di Sèvres, paragonabile al neo-zarismo di Putin, reazione autoritaria all’anarchia di Boris Eltsin nella Russia degli anni Novanta. Per decenni in Turchia Ataturk fu oggetto di un culto della personalità portato all’estremo: era considerato alla stregua di un semidio benevolo e protettivo. Il suo ritratto vegliava su ogni locale pubblico.

Tuttavia la ferma volontà di Ataturk di orientare la Turchia verso Occidente contrastava con la posizione geografica del paese, a cavallo tra Oriente e Occidente. Fu Turgut Ozal, religioso turco con influenze sufi, che divenne Primo Ministro nel 1983, a elaborare una nuova versione della dottrina.

L’abilità politica permise a Ozal di sottrarre la politica interna e – più sorprendentemente – la politica estera al controllo dell’esercito turco fortemente Kemalista. Ataturk e altri ufficiali turchi dopo di lui consideravano la Turchia un’appendice dell’Europa, invece Ozal lanciò l’idea di una Turchia la cui influenza si estendeva dal mar Egeo alla Grande Muraglia. Secondo Ozal, la Turchia non doveva scegliere tra Oriente e Occidente: essendo incastonata geograficamente tra i due mondi, doveva rappresentare politicamente entrambi. Da una parte Ozal riabilitò pubblicamente l’Islam, dall’altra sostenne in modo entusiasta il presidente americano Ronald Reagan durante la fase finale della Guerra Fredda. Il suo essere filoamericano e la sua accortezza nella gestione dell’establishment kemaliano resero accettabile anche la sua fervente religiosità.

Ozal adoperò la cultura musulmana come base per avviare il processo di accettazione dei Curdi. L’allontanamento dall’Europa dopo il colpo di stato del 1980 permise a Ozal di siglare accordi economici con i Paesi orientali. Inoltre Ozal portò gradualmente la modernità ai musulmani dell’Anatolia centrale. Vent’anni prima di Erdogan, Ozal propose la Turchia come modello di Islam moderato nel mondo musulmano, sfidando il monito di Ataturk, secondo cui le politiche pan-islamiche avrebbero indebolito il potere turco e avrebbero esposto il paese alla voracità di potenze straniere. Negli ultimi anni del governo Ozal si parlò per la prima volta di neo-ottomanismo.

La morte di Ozal nel 1993 inaugurò un decennio dissennato, caratterizzato da corruzione, inefficienza e indolenza dell’élite laica. In questo contesto Erdogan e i suoi seguaci musulmani stravinsero le elezioni parlamentari del 2002. Mentre Ozal faceva capo al Partito della Madrepatria, di centrodestra, Erdogan è l’esponente del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, di tendenza più apertamente islamica, anche se sia lui sia alcuni suoi consiglieri hanno moderato la loro visione negli ultimi tempi. La visione di Erdogan e quella di Ozal sono simili, in quanto entrambe auspicano un allontanamento dal kemalismo.

Al contrario di Ataturk, che si concentrava sull’esercito, Erdogan ed Ozal mettono l’accento sul soft power, sui legami culturali ed economici, abbozzando un moderno impero ottomano che unisce il nord Africa all’altopiano iraniano e all’Asia Centrale. Secondo l’interpretazione di uno dei grandi studiosi occidentali dell’Islam, Marshall G. S. Hodgson dell’Università di Chicago, la fede islamica fu in origine una religione di mercanti, che unì gli adepti nelle varie oasi stabilendo i principi etici da seguire nelle contrattazioni. Nella storia dell’Islam i legami religiosi comportarono legami commerciali e protezione politica dal Medio Oriente sino all’India. Ciò dimostra che i modelli medievali possono applicarsi anche al mondo post-moderno.  

Erdogan vuole proiettare il potere islamico moderato della Turchia sul Medio Oriente, ma si sta rendendo conto che è molto difficile e complesso, anche perché la Turchia non ha la capacità politica e militare di attuare la sua visione. La Turchia si impegna a fondo per ampliare i rapporti commerciali con l’Oriente, che però sono ancora molto limitati se paragonati con l’importante volume di scambi con l’Europa. La Turchia vuole aumentare la sua influenza nel Caucaso e nell’Asia Centrale facendo leva su affinità geografiche e linguistiche, ma è la Russia di Putin che continua a esercitare un’influenza importante sui quei Paesi. L’invasione e la conseguente influenza politica russa in Georgia ha messo l’Azerbaijan, paese di cultura turca, in una posizione molto scomoda. In Mesopotamia l’influenza Turca non riesce a contrastare quella dell’Iran, molto più vicino alla regione. In Siria, Erdogan e il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu hanno pensato – sbagliando – di poter formare un’opposizione sunnita moderata al fine di rovesciare il regime alawita di al-Assad. Erdogan ha guadagnato punti nel mondo musulmano grazie alla sua ferma opposizione nei confronti di Israele, ma ha anche capito che questa scelta ha un prezzo: Israele si sta avvicinando alla Grecia e alla parte greca di Cipro in vista di una cooperazione nel settore dell’energia.

La radice del problema è in parte geografica. La Turchia, bastione di montagne e altipiani, è un ponte di terra tra i Balcani e il Medio Oriente. Non ha grande rilievo per l’Iraq, ad esempio, al contrario del più vicino Iran. La lingua turca inoltre non può più utilizzare lo strumento di un comune alfabeto arabo, che avrebbe potuto assicurarle uno peso culturale maggiore nel resto del Medio Oriente. La stessa Turchia è internamente tormentata da conflitti con la popolazione curda, che compromettono i tentativi di ampliamento dell’influenza in Medio Oriente. Infatti il sud-est turco è demograficamente dominato dall’etnia curda, che si sente parte della vasta regione curda divisa tra Siria, Iraq e Iran, non si sente turca. La guerra in corso in Siria potrebbe portare i Curdi di Siria a unirsi ai Curdi radicali dell’Anatolia, il che metterebbe ancora più in difficoltà la Turchia. 

La guerra in Iraq ha costretto la Turchia a prendere misure di contenimento nei confronti della regione curda dell’Iraq del nord, il che ha ridotto il peso della Turchia nel resto dell’Iraq e, di conseguenza, le possibilità che aveva di contro-bilanciare l’Iran. La Turchia vuole esercitare influenza in Medio Oriente, ma è “troppo medio-orientale” per potersi chiamar fuori dalle complessità della regione.

Erdogan sa di dover risolvere il problema curdo in patria per poter ampliare la sua influenza sulla regione. Ha anche parlato di vilayet, parola araba di reminiscenza ottomana, che indica una provincia semi-autonoma, il che potrebbe accontentare i Curdi di Turchia ma al contempo potrebbe riaccendere l’opposizione dei nazionalisti turchi. Si tratta in ogni caso un importante passo simbolico verso il sostanziale annullamento del fondamento stesso del kemalismo, ovvero la rivendicazione di un’Anatolia esclusivamente turca. 

Considerando che Erdogan ha già molto ridotto i poteri dell’esercito – cosa che pochi ritenevano possibile dieci anni fa – non bisogna sottovalutare le sue ambizioni e le sue strategie. Mentre le élite occidentali punzecchiano Putin per la sua politica, senza nessun costrutto, Erdogan, entusiasta, prende appunti quando lo incontra.

 

Lascia un commento

Vuoi partecipare attivamente alla crescita del sito commentando gli articoli e interagendo con gli utenti e con gli autori?
Non devi fare altro che accedere e lasciare il tuo segno.
Ti aspettiamo!

Accedi

Non sei ancora registrato?

Registrati

I vostri commenti

Per questo articolo non sono presenti commenti.