Le aspirazioni autonomistiche dei Curdi siriani
e la Turchia

05/08/2013

Il Partito di Unione Democratica (PYD), il più importante e meglio organizzato partito curdo in Siria, vuole costituire un governo autonomo nella parte siriana del Kurdistan, nel nord-est del paese, al confine con la Turchia. 

I Curdi in Siria rappresentano il 9% della popolazione e si concentrano soprattutto nella provincia di Hasakah, nel nord-est del paese, dove il Partito di Unione Democratica controlla il 60% dei giacimenti petroliferi (mappa a lato). 

Il PYD è influente e coeso e vuole seguire l’esempio dei Curdi iracheni, che sono riusciti a fondare il Governo Regionale del Kurdistan nel Nord dell’Iraq, regione montagnosa ricca di petrolio. Il nord-est della Siria – parte dell’altopiano di Jazirah – però è pianeggiante e non offre protezioni naturali. La geografia del Kurdistan siriano addirittura favorisce eventuali attacchi turchi o del governo centrale siriano. 

Il Kurdistan siriano ha anche meno risorse economiche rispetto al Kurdistan iracheno. Ha riserve petrolifere di circa 2,5 miliardi di barili, divise tra la provincia di Hasakah, a maggioranza curda, e il governatorato di Deir el-Zour, controllato dai ribelli. Prima della guerra civile la provincia di Hasakah produceva circa 166 000 barili di greggio al giorno, ma a oggi le infrastrutture energetiche sono state distrutte e la produzione è dimezzata.

Né Assad né i ribelli sunniti rinunceranno con facilità al controllo delle riserve petrolifere. Ora i petrolieri curdi della provincia di Hasakah e del Governatorato di Deir el-Zour vendono il petrolio sia ai ribelli che al regime, in un clima di corruzione e intimidazione.

Ma le aspirazioni autonomistiche dei Curdi siriani non vengono per ora represse. Il governo di Assad ha apertamente riconosciuto di aver perso il controllo del nord-est, regione troppo distante e non fondamentale per la difesa, e cerca di sfruttare le aspirazioni autonomistiche a proprio vantaggio. Si presume che il regime di Assad e il Partito di Unione Democratica collaborino ancora per le forniture di petrolio e per combattere i ribelli sunniti sconfinati in territorio curdo.

Le aspirazioni autonomistiche dei Curdi siriani mettono invece in difficoltà la Turchia, che non vede affatto di buon occhio l’eventuale controllo curdo sul vasto territorio che va dai Monti Zagros in Iran fino al Tauro in Turchia, perché troppo rischioso per l’integrità territoriale turca. Questa eventualità negli ultimi anni è diventata sempre più concreta, dato che i Curdi hanno approfittato dei disordini in Siria e in Iraq per conquistare più autonomia. Per evitare che anche i Curdi di Turchia reclamino l’autonomia, Ankara è corsa ai ripari proponendo un ambizioso piano di riconciliazione con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che ha sempre organizzato attentati e dimostrazioni in Turchia.

La tregua è già in atto da cinque mesi, ma il PKK ha posticipato il ritiro dei propri uomini oltre il confine iracheno e la consegna delle armi, il che è segno di mancanza di fiducia nel governo turco. Nel frattempo, stando alle numerose soffiate ricevute dai media turchi, il PKK ha lanciato nuove sessioni di reclutamento per rafforzare il proprio potenziale offensivo e sta formando altri gruppi di militanti. Le soffiate parlano anche di legami tra il regime siriano, quello irakeno e i militanti curdi in Siria, Turchia e Iraq.

Il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan è ancora molto popolare ma non ha più il peso politico necessario per guidare il processo di pace e fare le difficili concessioni che potrebbero portare al compimento del processo di pacificazione. L’autorevolezza di Erdogan è calata in seguito alle proteste di Gezi Park, durante le quali diverse fazioni, compreso il partito pro-curdo BNP, hanno manifestato pubblicamente contro il governo. Mentre il PKK sembra affrontare il processo di pace mantenendo la propria coesione e integrità, il governo turco deve fare i conti con le aspirazioni autonomistiche dei Curdi siriani: un’eventuale area autonoma curda in Siria fungerebbe da base e da rifugio per i militanti curdi e jihadisti.

La Turchia ha stretto accordi energetici e ha avviato un dialogo con Massoud Barzani, presidente del Governo Regionale del Kurdistan iracheno, sperando di poter influenzare indirettamente anche il Partito di Unione Democratica in Siria. Ma per tenere sotto controllo le aspirazioni autonomistiche dei Curdi ha anche sostenuto le varie fazioni dei ribelli nel nord-est siriano, ostili a ogni autonomia curda. Il gioco è rischioso: se va male, la Turchia potrebbe trovarsi contro tutte le fazioni curde lungo i confini. 

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