Il 5 agosto il South China Morning Post ha reso noto che nel piano nazionale per la rete autostradale per il 2013-2030, approvato di recente dal Consiglio di Stato, sono inclusi due progetti per collegare Taiwan alla Cina continentale (mappa a destra): la superstrada Pechino-Taipei, di cui si parla da tempo e un’autostrada che dall’area metropolitana di Chengdu raggiungerebbe Xiamen, sulla costa del Fujian, quindi attraverserebbe l’arcipelago di Kinmen, amministrato da Taiwan, per raggiungere la città portuale di Kaohsiung, a sud di Taiwan.
Il Piano non specifica se verrà costruito un tunnel o un ponte attraverso i 180 chilometri dello stretto di Taiwan. Quel che è certo è che da almeno 20 anni Pechino dichiara pubblicamente di voler attuare questo collegamento. Si è spesso sostenuto che un tunnel sottomarino sarebbe preferibile al ponte perché più stabile in caso di terremoto. Oltre ai costi esorbitanti che la costruzione di un ponte o di un tunnel comporterebbe, si devono anche tenere in considerazione il rischio geologico (dovuto ai terremoti) e le difficoltà tecniche causate dall’ampiezza dello stretto: ci vorranno molti anni per attuare tali progetti.
Nel frattempo, Pechino e Taipei (capitale della Repubblica Cinese di Taiwan) hanno siglato un accordo per la costruzione di un acquedotto fra la Cina continentale e l’isola taiwanese di Kinmen, che si trova a circa 3 kilometri di distanza dalla costa del Fujian. L’acquedotto sarà la prima infrastruttura a collegare fisicamente le due coste.
Pechino spera che questi progetti, accompagnati dalla sempre maggiore integrazione economica, favoriranno il riavvicinamento tra Cina continentale e Taiwan, senza guerre e senza ribellioni.
Dal 1947 la popolazione di Taiwan, incrementata dai rifugiati fuggiti dalla Cina continentale quando i comunisti, guidati da Mao Tze Dong, presero il potere, costituisce ufficialmente il proseguimento della Cina repubblicana e democratica fondata nel 1911. Fino al 1972 Taiwan fu l’unica Cina riconosciuta dall’ONU e dai paesi occidentali.
La Cina comunista ha sempre rivendicato l’appartenenza di Taiwan al proprio territorio. Dopo decenni di minacce di guerra e di scaramucce di frontiera, dagli anni Ottanta è iniziata una sostanziale apertura reciproca. I cittadini di Taiwan viaggiano, investono, producono liberamente in Cina. Il governo cinese cerca di favorire il riavvicinamento tra i Taiwanesi e la Cina continentale usando le buone maniere e gli incentivi economici, anziché la forza.
Il ricongiungimento di Taiwan alla Cina garantirebbe a Pechino il pieno e legittimo controllo non soltanto sulle acque dello stretto, ma anche sulle acque territoriali di Taiwan, rafforzando le rivendicazioni cinesi sugli isolotti che si estendono a nord verso il Giappone, a sud verso le Filippine.
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