Quo vadis,
Europa?

07/10/2013

In un articolo dal titolo “The Usa-European relationship, then and now” George Friedman analizza con la consueta acutezza le profonde divergenze all’interno dell’Unione Europea rivelate dalla crisi siriana. Tutti gli analisti si sono esercitati a cogliere le più sottili sfumature del comportamento di Obama e di Putin in questa occasione, nonché dell’opinione pubblica nei loro rispettivi paesi. Ma nessun analista nostrano ha speso parole sulle politiche e sui comportamenti di noi Europei in questa crisi. È come se dessimo per scontato di non aver né responsabilità, né necessità di operare scelte, e non sentissimo l’urgenza di esprimerci in questioni di politica internazionale. Come bambini che lasciano fare ai genitori, criticandoli e facendo qualche capriccio.

Ecco alcuni estratti dall’analisi di George Friedman:

La crisi siriana non è iniziata quando gli Stati Uniti hanno affermato di dover rispondere all’impiego di armi chimiche da parte di Assad, bensì con la chiamata alle armi di Regno Unito, Francia e Turchia. In realtà gli Stati Uniti erano piuttosto riluttanti, ma, alla fine, si sono uniti a questi e ad altri paesi europei. Solo in seguito le opinioni dei vari paesi d’Europa hanno iniziato a divergere. Nel Regno Unito il parlamento ha bocciato l’intervento. In Turchia il governo voleva invece un intervento più imponente di quanto auspicato dagli Stati Uniti. E in Francia − che aveva la possibilità di dare un contributo concreto − il Presidente era favorevole a un intervento, ma ha dovuto fare i conti con un parlamento sempre meno entusiasta dell’idea.

Ma ancora più importante è stata la divisione dell’Europa. Ogni paese ha elaborato la propria risposta – o non risposta – alla crisi siriana. La posizione più interessante è stata quella della Germania, che non intendeva partecipare e, per lungo tempo, non voleva neppure approvare l’intervento. Niente sorprende più del divario tra la politica estera francese e quella tedesca, non solo sulla Siria, ma anche sul Mali o sulla Libia. Una delle ragioni essenziali della creazione dell’Unione Europea (e dei suoi antesignani post bellici) fu proprio la necessità di legare tra loro le politiche di Francia e Germania, i cui contrasti avevano dato origine a guerre europee. Queste divergenze, che si volevano evitare a ogni costo, ora sono riemerse. Certo non sfociano nella violenza come prima del 1945, ma non si può dire che le politiche estere di Francia e Germania siano sincronizzate. In effetti, le tre maggiori potenze del continente europeo stanno perseguendo politiche estere differenti. Il Regno Unito se ne sta andando per la sua strada, limitando il proprio coinvolgimento nelle istituzioni europee e cercando di trovare il proprio posto tra Europa e Stati Uniti. La Francia concentra la sua attenzione a sud, nel Mediterraneo e in Africa. La Germania cerca di preservare la zona di libero scambio ma guarda a est, alla Russia.

Non è che l’Europa si sia improvvisamente frantumata; è piuttosto il concetto stesso di Europa a esser da sempre troppo vago. L’Unione Europea è una zona di libero scambio che esclude alcuni paesi europei. È un’unione monetaria che esclude alcuni membri della zona di libero scambio. Dispone di un parlamento, ma lascia che le decisioni riguardanti la difesa e la politica estera siano in mano ai singoli stati. Non ha migliorato la propria organizzazione dal 1945, anzi, per certi versi l’ha peggiorata. Dove prima esistevano divisioni solo geografiche, ora ne esistono anche di concettuali.

[…] L’Europa non può agire perché non esistono una difesa e una politica estera comuni. Ma, cosa più importante, nessun paese europeo ha le capacità necessarie a condurre autonomamente un attacco aereo in Siria. Come dimostrato dal caso libico, Francia e Italia non sono in grado di sostenere una campagna aerea prolungata senza l’aiuto degli Stati Uniti.

[…] Obama è stato criticato (dagli Europei) per la gestione del problema dell’intervento in Siria, e anche la politica estera di Putin è considerata fallimentare. Ma sono abbastanza vecchio per ricordare che gli Europei hanno sempre considerato i presidenti americani o degli ingenui – è il caso di Jimmy Carter − o dei cowboy − è il caso di Lyndon Johnson − e li hanno disprezzati in entrambi i casi. Ormai Obama è stato bollato come naïf, così come George W. Bush fu bollato come cowboy. Gli Europei sono molto più ossessionati dai presidenti americani di quanto gli Americani siano ossessionati dai leader europei. Hanno opinioni forti, per la maggior parte negative, su chiunque sia al potere.

[…] Se nel 1914 o 1939 ci fossero state le armi nucleari, pensate che le élite responsabili di due guerre tanto orribili avrebbero resistito alla tentazione di usarle? Fortunatamente per l’Europa, in quel periodo i leader europei non avevano la possibilità di farlo perché le armi erano controllate da Americani − ingenui o cowboy − e da “cospiratori” Russi. Pur tra profonde differenze e sospetti, i leader americani e quelli sovietici sono riusciti a scongiurare il peggio. Visti i precedenti, i leader europei avrebbero potuto far sprofondare il mondo in un disastro ancora peggiore.  

Gli Europei hanno un’opinione molto elevata della sofisticazione della loro diplomazia. Ma non riesco a capirne il motivo. Li abbiamo visti in Siria. Prima l’Europa ha assunto posizioni diverse. Poi la coalizione che ha fatto pressione sugli Stati Uniti in favore dell’intervento si è smembrata, lasciando gli USA praticamente soli. Quando Obama ha modificato la sua posizione, hanno decretato che era stato raggirato dai Russi. Se avesse deciso per l’attacco, sarebbe stato archiviato come l’ennesimo cowboy. Qualunque cosa avesse fatto, e qualunque ruolo avesse giocato l’Europa, sarebbe comunque stata tutta colpa degli Stati Uniti, colpevoli in ogni caso di non aver capito.

[…] La visione americana dell’Europa è un insieme di indifferenza e perplessità. Con la fine della Guerra Fredda l’America non è più così interessata all’Europa. A partire dalla prima guerra del Golfo l’interesse è rivolto al mondo musulmano. L’Europa è vista come un’area isolata e prospera, una specie di grande Scandinavia: fiorente, bella da visitare, ma non esattamente il luogo in cui si scrive la storia.

Quando gli Americani si prendono il disturbo di badare all’Europa, pensano a un continente con opinioni chiare circa ciò che gli altri dovrebbero fare, ma con scarsa propensione ad agire in proprio. Mi disse un diplomatico americano: “Vado sempre a Parigi quando voglio sentirmi dire che cosa dovrebbe fare l’America”. La percezione americana dell’Europa è che sia poco collaborativa e talvolta irritante, ma fondamentalmente debole e quindi inoffensiva. Gli Europei sono ossessionati dal presidente degli Stati Uniti perché – ingenuo o cowboy che sia – detiene comunque un potere straordinario. Gli Americani hanno un atteggiamento diverso perché, in fin dei conti, sono toccati in maniera relativamente limitata dalle scelte politiche degli Europei. Gli Americani pensano poco all’Europa e non riescono davvero a comprendere che cosa vi accada. Non sono sicuro che ci riescano neanche gli Europei…

Tuttavia, il maggior divario tra Americani ed Europei non risiede in percezioni o comportamenti. […] Il dialogo tra Europa e Stati Uniti è un dialogo tra un’entità singola e la torre di Babele. Gli Stati Uniti sono un paese unitario, con un’economia, una politica estera e una politica di difesa unitarie. L’Europa, invece, non si presenta mai come entità unica; le divisioni, che vengono mantenute con una sorta di orgoglio, sono uno dei tratti caratteristici dell’Europa.

[…] Il passato dell’Europa è glorioso e se ne trova testimonianza nelle strade di qualsiasi capitale europea. Il suo passato la perseguita e la intimorisce. Il suo futuro è indefinito, ma il suo presente è caratterizzato dalla negazione e dalla presa di distanza dal suo passato. La storia americana è molto più recente. Gli Americani costruiscono centri commerciali sui sacri campi di battaglia e demoliscono i palazzi dopo vent’anni. Gli Stati Uniti sono il paese della dimenticanza; sono ossessionati dal loro futuro, così come l’Europa è paralizzata dal suo passato.

Ogni volta che visito l’Europa sono colpito da quanto siano differenti i due luoghi. Mi stupisce che gli Stati Uniti siano visti con antipatia e siano disprezzati dagli Europei, ma allo stesso modo sono colpito dal fatto che così pochi Americani lo notino e se ne preoccupino.

[…] Gli Europei vengono negli Stati Uniti e gli Americani vanno in Europa, ma i punti di contatto sono ridotti: mentre un tempo condividevamo il fronte di battaglia, ora sembra che soltanto le vacanze ci avvicinino. Su basi tanto esigue è difficile costruire una politica per la Siria − figuriamoci una strategia Nordatlantica. 

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