Il sequestro del primo ministro Zeidan il 10 ottobre 2013 da parte di un gruppo armato probabilmente agli ordini del Ministro dell’Interno, mostra fino a che punto la Libia sia frammentata. Ma non si tratta di anarchia, si tratta di guerre fra fazioni che si contendono le risorse e il potere.
La posizione di Zeidan è nettamente indebolita dopo il sequestro. Gli oppositori di Zeidan in Parlamento sono soprattutto i Fratelli Musulmani, che si sono alleati con islamisti e indipendentisti nell’est della Libia e presentano Zeidan e i suoi sostenitori come burattini dell’Occidente.
Sino ad oggi Zeidan ha mantenuto il potere esclusivo di concludere accordi petroliferi per l’esportazione. Ma se i clienti stranieri, in primo luogo l’ENI, dovessero accettare di trattare direttamente con gruppi regionali, Zeidan e il governo centrale perderebbero ogni strumento e ogni potere.
Come si è arrivati a questa situazione?
Dopo la cacciata di Gheddafi, nel 2011, il controllo che Tripoli esercitava sul resto della Libia si è fortemente indebolito. Il Consiglio Nazionale di Transizione − il governo ad interim che ha assunto il controllo del paese − deve tenere insieme uno stato fortemente disomogeneo senza gli strumenti di potere e di sicurezza di cui si serviva il regime. Ne è derivato un complicato sistema di interdipendenze tra il governo centrale, i vari centri urbani e le rispettive aree circostanti, tenute insieme dalla spartizione degli introiti provenienti dal settore petrolifero.
Il governo centrale ha continuato a stringere accordi con le società petrolifere straniere e a distribuire gli introiti tramite un sistema controllato dal Ministero del Petrolio, con sede a Tripoli. Ha continuato anche a pagare imposte sulla produzione e sul servizio alle società straniere. Ma al governo centrale è mancata l’autorità necessaria per mantenere e assicurare i livelli di produzione ed esportazione del petrolio. L’esecutivo ha continuato a distribuire gli introiti provenienti dal settore petrolifero alle amministrazioni locali, alle loro milizie e ai vari clan sparsi per la Libia, e per garantire la sicurezza degli impianti petroliferi e dei lavoratori ha dovuto pagare sempre di più. Le milizie delle autorità regionali e locali sono così ben armate e ben organizzate da eguagliare e talvolta superare il potenziale offensivo delle deboli forze di sicurezza nazionali.
Mancando di autorità e volendo evitare un conflitto armato dal quale probabilmente uscirebbe sconfitta, Tripoli è stata costretta ad adottare politiche di conciliazione. Scioperi e interruzioni forzate del funzionamento delle infrastrutture petrolifere, un tempo sporadici e ora sempre più frequenti e prolungati, sono strumenti molto potenti nelle mani dei vari clan tribali, delle autorità regionali e delle rispettive milizie, e vengono usati per strappare sempre maggiori concessioni al Congresso Generale Nazionale, il parlamento libico.
Un momento di grande tensione si è avuto tra l’aprile e il maggio scorso, quando milizie regionali hanno assediato uffici governativi. A luglio il Congresso Generale Nazionale ha annunciato di voler accelerare il processo costituente, ma da allora il panorama politico libico è praticamente immobile. Ci sono tensioni tra l’attuale primo ministro Ali Zeidan, disertore del regime ed ex avvocato per i diritti umani in Europa, e il nuovo presidente del Congresso Generale Nazionale e capo di stato Nuri Ali Busahmein, sostenuto dagli integralisti di matrice islamica. Busahmein è anche ricorso all’esercito nazionale e ai servizi di intelligence per indebolire l’autorità di Zeidan.
Ma i pericoli maggiori arrivano da fuori Tripoli. I clan tribali e le milizie locali stanno diventando sempre più indipendenti anche dalle autorità regionali. Di conseguenza Tripoli deve accontentare o intimidire un numero sempre maggiore di interlocutori, il che mette a dura prova la sua capacità di gestire il paese. Tradizionalmente i centri di potere regionali erano lo strumento tramite il quale Tripoli teneva a freno le proteste dei lavoratori del settore petrolifero e garantiva la sicurezza delle infrastrutture e delle strade, ma adesso i vari gruppi locali sono sempre più indipendenti anche dai leader regionali. Le continue interruzioni nella fornitura di acqua ed elettricità riflettono il degrado delle strutture di potere. Dall’agosto scorso la produzione di energia è dimezzata. Per compensare questi cali di produzione, il governo centrale ha speso in pochi mesi la maggior parte delle riserve e della liquidità che aveva accumulato grazie alle esportazioni. In Libia perciò si prospetta una crisi finanziaria e politica che potrebbe riportare il paese al caos della guerra civile.
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