In lode del Giorno della Memoria
e della banalità del bene

31/01/2014

Quest’anno il Giorno della Memoria è stato caratterizzato dall’intensificarsi sia di becere manifestazioni di antisemitismo, sia di polemiche fra intellettuali sull’utilizzo del Giorno della Memoria, talora occasione di retorica o di presunto risarcimento morale alle vittime, anziché occasione di indagine sulla nostra storia e sulle nostre responsabilità. Ma a me pare che la qualità delle molte iniziative che associazioni, scuole, enti e comunità hanno promosso per il Giorno della Memoria non sia mai stata così alta come quest’anno. Il discorso sulla Memoria non è mai stato tanto indagatore, forse perché siamo tutti consapevoli di vivere un periodo di crisi economica, sociale e politica che ha molti aspetti in comune con quello che portò all’affermarsi dei fascismi e del nazismo 80-90 anni fa.

Il magnifico film della Von Trotta su Hannah Arendt ha riaperto la discussione su ‘la banalità del male’, il titolo del libro in cui la Arendt espose le sue riflessioni dopo aver osservato Eichmann durante il processo cui fu sottoposto nel 1961. Nelle parole, nei comportamenti e nell’apparenza di questo solerte organizzatore del genocidio non c’era nulla di gigantesco, nulla di passionale, nulla di violento. Appariva soltanto la mentalità burocratica e tecnica di una persona che non ha, secondo la Arendt, capacità di pensiero: una persona insignificante, banale. Gli spezzoni del video originale del processo Eichmann confermano l’impressione che Eichmann fosse un omiciattolo, non un demone fiammeggiante. Era un uomo banale, ma certamente non perché privo della capacità di pensare, come dice Hannah Arendt. Un testimone al processo, sopravvissuto nei campi, quando incrocia lo sguardo di Eichmann ha una crisi nervosa e cade a terra in preda alla paura e alla disperazione. Dirà poi di aver riconosciuto lo sguardo del Male: lo sguardo vuoto e freddo di chi non ha nessuna capacità di empatia, di com-passione, nel senso etimologico di ‘patire con l’altro’.

Adam Smith sostenne già nel 1759 (Teoria dei sentimenti morali) che la base naturale della moralità consiste nella capacità spontanea degli esseri umani, fin dai primi anni di vita, di sentire il dolore degli altri come se fosse il proprio. Di qui deriva l’imperativo morale di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi, di cui tutte le altre leggi non sono che corollario. L’educazione nazista – forse anche l’educazione dei Tedeschi prima del nazismo, e l’esperienza degli orrori della guerra di trincea nel 1914-1918 – riuscirono a sopprimere questa spontanea capacità di com-passione. Prima ancora di disumanizzare le vittime per poterle uccidere come insetti, i nazisti disumanizzarono se stessi. Rimase loro la capacità di pensiero razionale, la capacità di forgiare slogan efficaci, ma erano privi di umanità, di passione e di com-passione. Per questo presi singolarmente ci appaiono − in tutti i documenti storici, nelle loro stesse parole − come omuncoli banali, che non avrebbero mai attirato la nostra attenzione se li avessimo incontrati in società.

Che il Male negli uomini non sia mancanza di capacità di pensiero, ma mancanza di com-passione, si desume anche dagli studi che sono stati condotti sulle personalità dei Giusti, coloro che aiutarono i perseguitati a salvarsi, a rischio della propria sicurezza. Se i Giusti incarnano una qualche qualità del Bene, l’unica qualità che pare loro comune è la capacità di compassione: null’altro. E dal numero dei Giusti sono singolarmente assenti proprio gli intellettuali di professione: i giornalisti, gli scrittori, i filosofi, i docenti universitari. Tutte categorie con riconosciute capacità di pensiero superiori alla media, che però non pensarono di mettersi in gioco per salvare qualcuno.

Io ringrazio e ammiro le migliaia di insegnanti che nelle scuole organizzano ogni anno per il Giorno della Memoria eventi volti non soltanto a conoscere la nostra storia, ma anche a coltivare l’empatia, la compassione per le vittime. Questi eventi, che sarebbe spregevole annoverare fra i tentativi di ‘risarcimento morale’ a poco prezzo, costruiscono le nostre difese contro la ripetizione dell’orrore.

È vero, a volte nella commemorazioni per il Giorno della Memoria si sentono parole vuote, si avverte profonda ignoranza della storia, si sentono persino ripetere pregiudizi antisemiti. Ma per fortuna raramente si tratta di insegnanti; si tratta frequentemente di qualche ‘autorità’ locale, di un assessore ignorante o fazioso, di qualche giovane burocrate di partito ‘sistemato’ con un incarico di rappresentanza all’ANPI. La maggioranza degli eventi sono però istruttivi dal punto di vista storico e pongono dilemmi morali, attivando la com-passione nei presenti.

Penso ad esempio ai cittadini e agli studenti di Borgo San Dalmazzo che domenica scorsa, dopo aver discusso del libro ‘Testastorta’ di Nava Semel − una storia ambientata nel loro paese nel 1943 − hanno percorso in processione i luoghi della memoria (il campo di raccolta e la ferrovia da cui partivano verso la morte i vagoni carichi di Ebrei) leggendo a turno, uno per uno, i nomi dei deportati.

Penso agli studenti che il giorno successivo hanno seguito con evidente commozione la lettura del brano dello stesso racconto di Nava Semel in cui si narra la nascita di un bambino che, figlio dell’unione proibita di una madre ‘ariana’ e di un padre ebreo, viene partorito di nascosto e consegnato subito alla suora di un orfanotrofio, per metterlo in salvo.

Penso agli occhi attenti di tanti studenti che hanno davvero capito, ascoltandole dalla voce di chi le ha vissute, le ansie di un adolescente che, solo e senza notizie della famiglia rimasta in Italia, non può più rimanere nella Francia occupata dai nazisti, vorrebbe raggiungere la Svizzera ma non ha né denaro né documenti che gli facciano sperare di non essere arrestato e deportato.

Penso alle migliaia di scolari e di studenti che hanno fatte proprie, ascoltandole dalla voce di chi le ha vissute, la paura e la fame e il senso di abbandono della bambina di cinque anni portata con i genitori nei campi di lavoro nazisti in Ucraina, sopravvissuta nascondendosi in buche nel terreno ad ogni ispezione delle SS.

Vi paiono eventi ‘buonisti’ o banali? Se così la pensate, io invece grido ‘viva la banalità del bene!’.

Laura Camis de Fonseca







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