Nel saggio che vi proponiamo Luciano Pellicani mostra come, specie nei momenti di crisi, il millenarismo sappia presentarsi come unica possibilità di sperare in un futuro migliore: “ è al tempo stesso un grido di dolore e un grido di speranza”.
Dall’Apocalisse alla Rivoluzione
Luciano Pellicani
Il desiderio rivoluzionario di edificare il Regno di Dio è l’inizio dell’età moderna.
Friedrich Schlegel
Il mondo va purificato, ricreato.
Anatolij Luna?arskij
Ubi Lenin, ibi Israel.
Ernst Bloch
1. La visione millenaristica della storia
Uno dei risultati più incisivi e duraturi della vittoria spirituale del cristianesimo sulla cultura greco-romana è stato la penetrazione nel cuore della civiltà occidentale del millenarismo, vale a dire di quella visione della storia – elaborata dai profeti di Israele a partire dall’ VIII secolo a.C.1 – centrata sull’attesa di un evento catastrofico-palingenetico a seguito del quale sorgerà, sulle macerie del vecchio mondo, un mondo nuovo, rigenerato e purificato: il Millennio, per l’appunto . Il Millennio è il Regno di Dio in terra: un regno di pace e di giustizia, nel quale non ci sarà traccia alcuna di tutte le negatività che caratterizzano la condizione umana : la violenza, l’oppressione, lo sfruttamento, la brama di ricchezze, ecc.
Una siffatta visione della storia rappresenta una novità assoluta. All’idea della storia come un processo anaciclotico 2, tipica della cultura greco-romana, subentra l’idea che l’umanità è una gigantesca carovana che avanza, fra crisi e lacerazioni traumatiche, verso una meta prefissata. Conseguentemente, la storia è concepita in termini teleologici e teologici: esiste un telos oggettivo e il raggiungimento di questo telos è provvidenzialmente garantito dal disegno divino. Detto con le parole di Friedrich Gogarten , “nella storia medievale, Dio interviene nella storia e guida i cuori umani alla realizzazione del fine suo. Il concetto di razionalità del mondo è sostituito da quello del realizzarvisi di un piano divino di cui la razionalità è solo mezzo, strumento. L’evoluzione storica ha una meta certa, indiscussa. E così l’idea stessa del fine-telos acquista un senso nuovo. Lo schema di questa storia del mondo si trova nella volontà e nel progetto di Dio come sono stati annunciati nella Rivelazione biblica” 3.
Da ciò deriva un nuovo modo di disporsi di fronte al futuro. Mentre per la coscienza greco-romana la storia era esclusivamente il passato, per la coscienza biblica la storia è soprattutto il futuro. Giustamente, perciò, Karl Loewith ha scritto che il profetismo ha prodotto il concetto della storia in quanto “essere del futuro”4 e, conseguentemente, ha introdotto un problema del tutto estraneo alla cultura antica: la “sconfinata questione del senso della storia” 5. Inoltre, esso ha iniettato nella civiltà occidentale la speranza escatologica , strettamente legata all’attesa del Regno di Dio.
Si capisce agevolmente, allora, perché il paradigma profetico, di cui il millenarismo è stato la versione radicale, ha giocato un ruolo particolarmente significativo nell’esistenza storica della civiltà occidentale: esso, in effetti, ha offerto agli sfruttati e agli oppressi la visione di un mondo radicalmente altro, nonché l’aspettazione della sua materializzazione più o meno imminente. La straordinaria capacità del millenarismo di riemergere nei momenti di crisi a prospettiva catastrofica si spiega con il fatto che esso è risultato essere, per i gruppi-paria, l’unica possibilità di sperare in un futuro migliore, nonché un poderoso agente di mobilitazione. E, in effetti, la corsa lungo la storia mostra chiaramente che le aree in cui si sono verificate esplosioni di chiliasmo sono state, di regola, gravemente sovrappopolate e coinvolte in processi di rapidi e incontrollati mutamenti economico-sociali, a seguito dei quali si erano formate “masse di persone che vivevano ai margini della società, in uno stato di cronica insicurezza”6.
La categoria storico-sociologica della “catastrofe culturale”, elaborata da Karl Polanyi 7, permette di capire perché il mito dell’imminenza del Millennio si diffonde come un contagio spirituale fra le masse condannate all’anomia e all’alienazione. Tale mito opera come un trasformatore magico, capace di convertire il sovraccarico depressivo di coloro che vivono una crisi abbandonica in eccitazione spasmodica e attivismo frenetico 8. È appena il caso di sottolineare che gli argomenti razionali, volti a raffreddare l’entusiasmo degli adepti di un movimento millenaristico, risultano del tutto inefficaci. Ciò accade perché la prospettiva che la predicazione chiliastica dischiude – il passaggio dall’eone della corruzione all’eone della giustizia – oltre ad essere esaltante, è l’unica possibilità che hanno le vittime della catastrofe culturale di intravedere una via di salvezza. Breve: il millenarismo è al tempo stesso un grido di dolore e un grido di speranza.
Secondo la nota tesi di Karl Mannheim, il millenarismo sarebbe una forma particolarmente estrema della mentalità utopistica 9. In realtà, allo sguardo del millenarista, la Città ideale della letteratura utopistica, quale che sia la sua forma specifica, non può non apparire come un modesto surrogato della meta – la “Terra senza Male” 10 – che egli considera imminente o, quanto meno, assolutamente certa 11 . Il Millennio, infatti, è qualcosa di profondamente diverso dalla società armoniosa disegnata dal pianificatore utopistico : è un mondo trasfigurato, nel quale non ci sarà traccia alcuna del dominio, della penuria, dell’impotenza, della guerra e persino della morte. In maniera tipica, il millenarismo annuncia una mutazione metastatica che, essendo al tempo stesso sacra e profana, è strettamente connessa al tema escatologico della “fine del mondo”12. Di qui il fatto che, laddove l’utopista si impegna a fornire una descrizione particolareggiata della struttura della Città ideale, il chiliasta si limita ad affermare che il Regno finale scaturirà dal rovesciamento pantoclastico dell’esistente. Conseguentemente, egli non si attarda a tracciare il quadro della società futura. Né, del resto, potrebbe farlo, ché della società trasfigurata non è dato parlare con il linguaggio a disposizione degli uomini che vivono nell’eone della corruzione. La distanza ontologica che separa il Millennio dalla realtà esistente è tale che di esso si può dire solo che, quando l’atteso evento catastrofico-palingenetico farà tabula rasa del vecchio mondo, l’umanità futura – più precisamente, il “lotto dei giusti”13 – sarà completamente e definitivamente al riparo di tutte quelle esperienze negative che quotidianamente avviliscono l’umanità presente. La meta del millenarismo è il “Totalmente Altro”, che si materializzerà attraverso un processo dialettico di negazione, inversione e distruzione dell’esistente. Alla fine del processo palingenetico , tutto sarà “diverso” e gli uomini vivranno in un mondo che sarà perfettamente aderente ai loro più profondi desideri. Il millenarismo crede con la massima intensità all’infinita potenza, al tempo stesso distruttiva e creativa, della negazione. È per questo che esso si raffigura la fine del vecchio mondo e la nascita del Mondo Nuovo come un unico processo. Donde lo schema caratteristico di ogni visione millenaristica della storia, che Max Weber ha efficacemente sintetizzato con la formula “ Sventura, poi salvezza” 14. La catastrofe viene addirittura invocata in quanto essa è percepita come il vestibolo della liberazione totale dal male fisico, metafisico e morale. Il mondo dominato dai “figli della tenebra” deve perire affinché il Mondo Nuovo possa venire alla luce. L’avvento della Civitas Dei esige l’annientamento della civitas diaboli. Tutto, della vecchia società – vero e proprio regnum perditionis – deve essere spazzato via: questa è la precondizione della Magna Commutatio.
Da queste premesse, discende, con logica consequenzialità, il fatto che l’avvento del Regno finale sia percepito come una cesura così radicale e profonda che l’intera storia passata dell’umanità risulta essere completamente svalutata e delegittimata in quanto eone della corruzione e dell’errore; tutt’al più, essa può essere giustificata come un momento preparatorio dell’Evento che, estirpando le radici del Male, produrrà la Renovatio Mundi, ardentemente desiderata e spasmodicamente attesa 15 .
Strettamente legata alla visione millenaristica della storia e al tema escatologico della “fine dei tempi” è la credenza messianica. Questa non si limita a profetare l’avvento di una nuova era; essa indica anche l’”unto del Signore” – il Messia, per l’appunto – inviato ad annunciare e a realizzare la liberazione di coloro che soffrono sotto il giogo dei malvagi. Nella figura del messia si trovano concentrati, e con la massima purezza, i tratti tipici del portatore di carisma, così come sono stati magistralmente descritti da Max Weber 16. Straordinarie sono la sua personalità e la sua autorità morale poiché straordinaria è la sua missione. Egli sente di essere chiamato a rovesciare il “mondo rovesciato” affinché la promessa di salvezza si materializzi e la realtà si conformi alla volontà divina. Il suo ruolo escatologico, pertanto, non è solo religioso, ma anche politico-sociale. Egli è l’impersonale strumento di cui Dio si serve per porre fine allo stato di cose esistente, nel quale i giusti vivono con la dolorosa coscienza – e con il risentimento che tale coscienza genera spontaneamente – di essere vittime di intollerabili soprusi. La redenzione che egli promette, sulla base di una precisa diagnosi-terapia dei mali che infestano il mondo, è una liberazione terrena oltre che una rigenerazione spirituale. Ed è anche una liberazione collettiva. Il messianesimo non crede nella redenzione dei singoli in quanto tali. È vero che uno degli aspetti più caratteristici della predicazione messianica è l’appello rivolto agli uomini affinché essi si impegnino, sino all’autosacrificio, nella lotta finale – l’Armagheddon – contro le perverse potenze del Male. Ma il destinatario del messaggio profetico è sempre una collettività che vive come assediata, in una dolorosa condizione di esclusione e di emarginazione. Anche quando il Messia parla a nome dell’umanità, di fatto egli si rivolge a un uditorio negativamente privilegiato e ad esso si presenta come un dispensatore di giustizia e di speranza. Pertanto, la struttura tipica di ogni movimento messianico comprende tre elementi essenziali: a) una collettività oppressa destinata ad assumere il ruolo di "lotto dei giusti", b) la presenza di un messaggero divino (o comunque di un capo carismatico percepito come il redentore) e c) la credenza che la “fine dei tempi” è prossima e che, a partire da essa, l’angoscia e il dolore cesseranno di tormentare gli eletti.
2. Metamorfosi del millenarismo
Se questi sono i tratti diacritici del millenarismo, allora non si può non giungere alla conclusione che essi si trovano nel rivoluzionarismo, sia pure in forma mascherata, ché la demitizzazione della tradizione religiosa operata dall’Illuminismo ha costretto l’attesa della Apocalisse a presentarsi sotto le vesti della razionalità e della scientificità. È accaduto che la “morte di Dio”, indicata da Hegel come il “sentimento su cui riposava la religione dei tempi moderni”17, ha spianato la strada alla immanentizzazione dell’ Eschaton giudaico-cristiano – il Regno di Dio18 – e alla metamorfosi dello spirito chiliastico, il quale ha assunto le sembianze del rivoluzionarismo 19. Nel rivoluzionarismo, esattamente come nel millenarismo, la storia dell’umanità è concepita come una dolorosa odissea, destinata, tuttavia, a concludersi con un esaltante happy end: la “società dei liberi e degli eguali”. Ma con una differenza di fondamentale importanza: che, essendo evaporata la fede nella Provvidenza divina, la liberazione dell’umanità dal Male non può che essere opera dell’umanità stessa . Per questo, l’epoca della secolarizzazione è stata caratterizzata dal “risveglio della Gnosi” 20 ; più precisamente, dalla riapparizione sulla scena del mito gnostico del Salvatore-Salvato 21. Le due grandi tradizioni apocalittiche – quella millenaristica e quella gnostico-manichea, che, simili a fiumi carsici, hanno attraversato il sottosuolo della civiltà occidentale 22 – sono riemerse e, nel bel mezzo della catastrofe culturale generata dalla rivoluzione industriale, si sono ricongiunte formando quella formidabile potenza spirituale che, per ben due secoli, ha dominato la storia mondiale all’insegna dell’idea di rivoluzione, concepita come rovesciamento del “mondo rovesciato” 23. In modo tipico , tale potenza spirituale è stata animata dalla “fede particolarmente intensa nella possibilità di una liberazione totale dell’uomo, liberazione che si pone in radicale contrapposizione rispetto al suo attuale stato di schiavitù, così che non può esserci fra i due né continuità né mediazione; ancor più: la liberazione totale sarebbe l’unico vero scopo dell’umanità, quello al quale devono essere subordinati, in quanto semplici mezzi, tutti gli altri valori. Si dà dunque un solo scopo e un solo valore, ed è il rifiuto totale del mondo esistente” 24.
Il rivoluzionarismo – ultimo avatara della visione catastrofico-palingenetica della storia – percepisce il presente come il tempo della corruzione generale – nel quale dominano, incontrastate, le perverse potenze che cospirano contro la felicità degli uomini – e, del tutto logicamente, giunge alla conclusione che esiste un solo rimedio: la politica della tabula rasa. Tutto del vecchio mondo, corrotto e corruttore, deve essere spazzato via, affinché si compia la purificazione e la rigenerazione dell’umanità. Non c’è possibilità alcuna di arrivare a un compromesso con le potenze del Male: esse devono essere annientate in un colossale bagno di sangue. E ciò avverrà quando esploderà lo scontro finale, il duello cosmico-storico fra i “proletari” e i “borghesi”, che si concluderà con lo sterminio di questi ultimi . Allora – e solo allora – si compirà il disegno della Storia e l’umanità, compiuta fino in fondo l’opera di distruzione di tutto ciò che è legato al passato, accederà al Regno millenario della libertà.
Già nella Rivoluzione puritana – che, secondo un’interpretazione fantasiosa, avrebbe avuto un carattere borghese e un’ispirazione liberale – troviamo alcuni dei tratti tipici della visione millenaristica della storia 25. L’obbiettivo dei “santi armati” – come ha documentato Michael Walzer in una monografia tanto importante quanto ignorata – non fu quello di abbattere gli ostacoli che impedivano all’individualismo possessivo di espandersi liberamente, bensì quello di creare una “Sparta cristiana” 26 radicalmente ostile allo spirito acquisitivo. Essi intendevano costruire un mondo nuovo, che si raffiguravano come la “Chiesa primitiva dei Padri, prima che essa fosse distorta e corrotta da aggiunte successive e peccaminose”27.
Ma è soprattutto con la Rivoluzione giacobina che il millenarismo riappare sulla scena europea con i suoi tipici tratti. Prima di tutto, l’idea – ricavata direttamente dalla Gnosi di Rousseau – di un originario stato di innocenza, nonché l’idea – anch’essa rousseauiana – della corruzione dell’umanità causata dalla proprietà privata. Poi, l’idea che il Male viene “dai borghesi” 28 e che, conseguentemente, l’obbiettivo della rivoluzione doveva essere quello di “rovesciare l’impero della ricchezza”29. Poi ancora, l’idea della rivoluzione come purificazione della società da attuarsi attraverso l’istituzionalizzazione del Terrore, concepito come una “emanazione della Virtù”30. “Noi faremo un cimitero della Francia, piuttosto che non rigenerarla a modo nostro”31 – dichiarò Carrier, mentre la Rivoluzione, come Saturno, divorava i suoi figli 32. Meno truculento , ma identico nella sostanza, l’invito rivolto da Saint-Just ai “veri rivoluzionari “: “Epurate la patria dai suoi nemici”: “Non si può sperare prosperità finché l’ultimo nemico della libertà respirerà. Voi dovete punire non soltanto i traditori, ma anche gli indifferenti; dovete punire chiunque è passivo nella Repubblica, e non fa nulla per essa; perché, dopo che il popolo francese ha manifestato la sua volontà, tutto ciò che le si oppone è fuori del corpo sovrano, e tutto ciò che è fuori del corpo sovrano è nemico”33. “Tutto ciò che esiste attorno (ai rivoluzionari) deve cambiare e finire, perché tutto ciò che esiste attorno (ai rivoluzionari) è ingiusto; la vittoria e la libertà ricopriranno il mondo” 34. Come dire: la Rivoluzione è una guerra di annientamento a carattere cosmico-storico che terminerà solo quando l’umanità intera sarà stata purificata. Donde lo slogan, schiettamente millenaristico, coniato da Saint-Just: “Prima grandi catastrofi, poi la felicità universale”35. Aveva, quindi, perfettamente ragione Jacob Talmon nel sostenere che, lungi dall’essere un blocco compatto , la Rivoluzione francese fu un fenomeno bifronte, poiché l’originaria ispirazione liberale fu violentemente contrastata da una concezione della democrazia – la democrazia totalitaria – descritta dallo stesso Talmon come un “messianesimo politico in quanto postulava un insieme di cose preordinato, armonioso e perfetto, verso il quale gli uomini erano irresistibilmente spinti e al quale dovevano necessariamente giungere”36. In effetti, nella Rivoluzione francese erano presenti due concezioni della politica affatto incompatibili : la politica (liberale) come regolamentazione dei conflitti e la politica ( escatologica) come redenzione dai conflitti grazie all’annientamento degli agenti responsabili della corruzione del corpo sociale e la creazione di una società armoniosa 37 .
Stando così le cose, è evidente che è gravemente erroneo vedere – come hanno fatto gli storici marxisti – nel Terrore lo strumento di cui si è servita la borghesia per annientare l’aristocrazia e instaurare un regime politico funzionale all’ulteriore sviluppo del capitalismo 38. Al contrario, l’ispirazione profonda del Terrore fu anti-borghese e anti-capitalistica 39. Ciò risulta con la massima chiarezza dall’analisi del significato storico della dittatura giacobina compiuta da Marx ed Engels nella Sacra famiglia, dove si legge: “Robespierre, Saint-Just ed il loro partito sono caduti perché hanno scambiato la comunità antica, realisticamente democratica, che poggiava sul fondamento della schiavitù reale, con lo Stato moderno rappresentativo, spiritualmente democratico, che poggia sulla schiavitù emancipata, sulla società civile. Che colossale illusione essere costretti a riconoscere e sanzionare nei diritti dell’uomo la società civile moderna, la società dell’industria, della concorrenza generale, degli interessi privati perseguenti liberamente i loro fini, dell'anarchia, dell'individualità naturale e spirituale alienata a se stessa, e volere poi nello stesso tempo annullare nei singoli individui le manifestazioni vitali di questa società, e volere modellare la testa politica di questa società nel modo antico”40. Di qui l’ispirazione anti-moderna della dittatura giacobina sottolineata da Marx ed Engels con queste parole: : mentre la Rivoluzione dell’89 “aveva liberato la società civile dai legami feudali e l’aveva riconosciuta ufficialmente”, il Terrore voleva “sacrificarla a una vita antica”41.
3. Dal giacobinismo al comunismo
Come si vede, nella Rivoluzione francese, Marx ed Engels distinguono due fasi: quella liberale, il cui obbiettivo era dare alla Francia la veste istituzionale più funzionale all’espansione dell’individualismo possessivo, e quella giacobina, anti- capitalistica e anti-borghese, la quale intendeva costringere la società civile ad entrare entro lo stampo della “vita antica”. Il che, poi, significa che Marx ed Engels – non diversamente dal liberale Constant – interpretarono il giacobinismo come una violenta reazione contro la “libertà dei moderni”. Sennonché, qualche anno più tardi quello che nella Sacra famiglia era stata stigmatizzato come un assurdo tentativo di imporre alla società civile la “democrazia della illibertà” diventa un fenomeno funzionale al trionfo della borghesia 42. Non solo: diventa il paradigma della rivoluzione futura, il modello cui la classe operaia deve ispirarsi. “Nella storia – così suona l’incipit del discorso tenuto da Marx a Bruxelles il 22 febbraio 1848 – ci sono analogie sorprendenti. Il giacobino del 1793 è diventato il comunista dei giorni nostri”43. Ma con un radicalismo superiore. Infatti, i giacobini non avevano capito che la Rivoluzione, per realizzare i suoi fini, doveva estirpare la maligna istituzione – la proprietà privata – che aveva inaugurato il “tempo della corruzione generale”44. Dal momento che la società borghese è un “deserto popolato di bestie feroci”45, ogni compromesso nei suoi confronti non può non essere percepito – e stigmatizzato – come un cedimento all’Anticristo, una vergognosa accettazione del Male. L’universo marx-engelsiano è polemico e manicheo ad un tempo. Contempla un solo tipo di relazione fra i “proletari” e i “borghesi”: la “lotta di annientamento e terrorismo senza riguardi”46; e attribuisce a tale lotta un significato escatologico: essa, infatti, viene esplicitamente definita come “l’ultima guerra santa alla quale seguirà il Regno millenario della libertà ”47. Due partiti in stato di guerra permanente occupano l’arena mondiale: il “partito conservatore” – che incarna il principio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo – e il “partito distruttore”48 – che incarna il principio della liberazione degli oppressi. Essi sono inconciliabili e mortalmente nemici l’uno dell’altro, talché la parola d’ordine della Rivoluzione non può non essere: “O Noi o Voi ”49. Lo stato (innaturale) di scissione in cui si trova l’umanità alienata cederà finalmente il passo alla “società armoniosa” 50 solo quando l’intero edificio della “scellerata civiltà fondata sull’asservimento del lavoro”51 sarà raso al suolo. Conseguentemente, nessun valore, nessuna istituzione, nessun tratto culturale del passato dovrà essere risparmiato. Quando finalmente la rivoluzione comunista esploderà, sarà fatta “piazza pulita del vecchio mondo spettrale”52 e “un incendio generale brucerà le vecchie istituzioni europee illuminando le nazioni vittoriose verso un futuro libero, felice e glorioso”53.
Ci troviamo di fronte a un programma pantoclastico non dissimile da quello concepito da Babeuf 54, centrato sull’idea, tipica delle religioni apocalittiche, che occorre fare tabula rasa dell’esistente, poiché solo dall’annientamento totale del vecchio mondo potrà scaturire il Mondo Nuovo. È vero che Marx ed Engels non si stancarono mai di sottolineare la funzione progressiva del capitalismo industriale, il quale, sviluppando le forze produttive, stava creando le precondizioni materiali del salto dialettico dal regno della necessità al Regno della libertà 55 ; ma è altresì vero che la loro teoria della rivoluzione permanente è tutta dominata dalla fede mistica nella potenza creatrice e purificatrice della negazione e della violenza. Non a caso , nei loro scritti ben poco ci viene detto intorno all’assetto istituzionale della società di transizione 56. Quanto alla struttura che assumerà la società comunista, essa si basa sull’idea che la soppressione della proprietà privata e della concorrenza farà magicamente sparire il lavoro e la divisione del lavoro 57.
Tutto ciò fa del marxismo una teoria critica del capitalismo e del suo inevitabile collasso catastrofico , non già una teoria positiva del comunismo. Di quest’ultimo, infatti, sappiamo solo che, compiuto “l’abbattimento violento di ogni ordinamento esistente”58, sarà “la negazione della negazione”59 (una formula mistica presa di peso dalla teodicea hegeliana).
Il fatto è che, con il linguaggio del mondo dell’alienazione, irrimediabilmente corrotto dalla ”infezione borghese”60, non è possibile descrivere il Mondo Nuovo. Tutt’al più si possono indicare i mali che nella “società senza classi e senza Stato” verranno espunti: lo sfruttamento, l’oppressione, la violenza, ecc.61 Si capisce, allora, perché Marx abbia riversato il suo sarcasmo su coloro che pretendevano prescrivere “ricette per l’osteria dell’avvenire”62 e perché non abbia perso occasione per sottolineare la vanità degli sforzi dei socialisti utopisti di descrivere la struttura della Città futura. Egli non poteva non considerare i modelli di organizzazione sociale di Owen o di Fourier ben miseri ideali a petto della meta della rivoluzione proletaria mondiale: la “traduzione in esistenza della base reale che rende impossibile tutto ciò che esiste indipendentemente dagli individui”63, dunque la soppressione del principio di realtà e la materializzazione del “Totalmente Altro”. E, pienamente consapevole che, a motivo della loro “infinita immensità”64, gli scopi della rivoluzione proletaria mondiale non potevano essere definiti, Marx sentenziò che colui che “stendeva un programma per il futuro, era un reazionario”65 : un’astuta mossa immunizzante, grazie alla quale egli sottrasse al “tribunale della ragione” l’idea comunista e mascherò da scienza ciò che, in realtà, era “sogno dell’incondizionato”66. Il risultato inevitabile fu che il marxismo non fu mai in grado di andare al di là della critica demonizzante del capitalismo – descritto come un “Moloch che pretende il mondo intero come vittima a lui spettante”67 – e della nichilistica affermazione che “tutto ciò che esiste è degno di perire”68. Donde la natura affatto apofatica del “socialismo scientifico” così sottolineata da Karl Korsch : “Risulterà assai arduo alla generazione futura capire con quale semplice formula il socialismo dei nostri giorni potesse accontentarsi e quante diverse e in parte opposte aspirazioni si trovassero sotto questa formula. Socializzazione dei mezzi di produzione è la semplice formula con cui il socialismo ha lavorato finora e con cui in Germania andrà avanti presumibilmente ancora per lungo tempo. È una formula comune che va bene per socialisti di Stato, sindacalisti, cooperativisti e altre svariate tendenze. Se si domanda a un socialista che cosa intende per socialismo si riceve come risposta, nel caso migliore, una descrizione del capitalismo e l’osservazione che il socialismo eliminerà questo capitalismo con la socializzazione dei mezzi di produzione. Tutto l’accento è posto sull’aspetto negativo, cioè che il capitalismo deve essere eliminato; anche l’espressione socializzazione dei mezzi di produzione significa anzitutto nient’altro che la negazione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Socialismo significa anticapitalismo. Il concetto socializzazione dei mezzi di produzione ha un chiaro significato negativo: nel suo aspetto positivo è vuoto e non dice nulla”69.
4 . Il nichilismo rivoluzionario
Le parole di Korsch aiutano a capire perché Lenin, dopo essersi impossessato del potere con il fortunato golpe passato alla storia come la Rivoluzione d’Ottobre, non esitò a identificare il processo creativo della rivoluzione con la distruzione totale della vecchia società. “La mano di ferro (del Partito) – egli dichiarò il 27 novembre del 1917 – mentre distrugge, anche crea”70. E sei mesi più tardi – dopo aver constatato che nelle opere di Marx ed Engels non c’era una sola indicazione positiva circa la costruzione dell’edificio della Città futura 71 – ribadì la sua concezione apofatica della rivoluzione con queste parole : “Noi, su un cammino ripulito di ogni storico ciarpame, costruiremo il possente e luminoso edificio della società socialista. Si crea un nuovo tipo di potere statale, mai visto finora nella storia, chiamato dalla volontà della rivoluzione a ripulire la terra da ogni sfruttamento, violenza e schiavitù”72.
Una tale ciclopica impresa, per essere portata a termine, esigeva “la distruzione di tutto ciò che era vecchio, l’annientamento implacabile di tutte le forme di capitalismo”73 ; ed esigeva altresì una guerra di sterminio per “ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo, delle pulci: i furfanti; delle cimici: i ricchi, ecc.”74. Coerentemente alla visione pantoclastica della rivoluzione quale rovesciamento dialettico del “mondo rovesciato” propria di Marx ed Engels, edificare la società comunista, per il carismatico leader del bolscevismo, significava “purificare la Russia sul campo”75, istituzionalizzando il terrorismo di Stato contro tutti coloro che, per un motivo o un altro, erano “oggettivamente” incompatibili con l’Ordine Nuovo.
Ebbene: un siffatto programma – tutto centrato sulla pazzesca idea che distruggere equivaleva a creare e che, per realizzare la “resurrezione dell’umanità” 76, era imperativo istituzionalizzare il terrorismo di massa per “sterminare implacabilmente i nemici della libertà”77 – non poteva non produrre quello che ha prodotto: una smisurata scia di cadaveri e un gigantesco cumulo di rovine materiali e morali. La sua meta finale – la società senza classi e senza Stato – era senz’altro esaltante – il che spiega gli straordinari entusiasmi suscitati dalla Rivoluzione bolscevica e da tutte quelle che ad essa si sono ispirate –, ma la metodica adottata – la politica della tabula rasa e del terrore in permanenza – si basava sulla mistica assunzione, ricavata direttamente dalla Gnosi di Hegel , che la “negazione era il principio creativo e la forza motrice della storia” 78 ; sicché “demolire la realtà data” 79 equivaleva , eo ipso, a imboccare la via che avrebbe necessariamente portato al Regno millenario della libertà. Lo garantiva l’”astuzia della Storia ”, la quale aveva decretato, per bocca di coloro che si erano proclamati Paracleti degli oppressi 80, essere il comunismo il “risolto enigma della storia” 81 e che la società pianificata costituiva l’”ultima forma di organizzazione dell’umana famiglia” 82 . Detto in altro modo: l’umanità tutta quanta marciava verso la sua destinazione finale e i comunisti erano gli esecutori di un piano iscritto nella logica dialettica del divenire del mondo. Sicché quando essi utilizzavano il terrore per costringere la società ad entrare nello stampo del collettivismo, non facevano che obbedire all’impersonale decreto della Storia. La loro, pertanto, era l’ultima violenza : la violenza che – estirpando la proprietà privata che aveva corrotto la natura umana – avrebbe posto fine al regno dell’homo homini lupus.
Alla luce di tutto ciò, non può sorprendere che l’obbiettivo dichiarato della Rivoluzione maoista sia stato quello di creare – attraverso l’annientamento implacabile del passato, corrotto e corruttore – la “pagina bianca” sulla quale disegnare l’Uomo Nuovo 83; né può essere considerata una perversione dell’idea originaria la colossale carneficina con la quale i Khmer Rossi hanno cercato di purificare la società cambogiana 84 . In effetti, tutto indica che il comunismo altro non è stato che lo sviluppo rigorosamente consequenziale del programma pantoclastico del millenarismo giacobino, descritto da Thomas Carlyle come “la fiera e disperata lotta dell’Uomo contro la sua Condizione e il suo Ambiente”, animata dal satanico desiderio di distruggere “tutto ciò che era distruttibile” per annientare la “Bugiarda Esistenza divenuta insopportabile”85. Il che, poi, significa che Dostoevskij aveva colto nel segno quando così si esprimeva: il socialismo rivoluzionario “investe non soltanto la questione operaia o del cosiddetto quarto stato, ma soprattutto quella dell’ateismo, cioè il problema della realizzazione dell’ateismo contemporaneo, il problema della torre di Babele che si costruisce appunto senza Dio, non per raggiungere dalla terra il cielo, ma per abbassare il cielo fino alla terra” 86.
1 È il secolo di Amos e Osea, nei quali si riscontrano alcuni dei tratti tipici della visione millenaristica della storia: l’indignazione nei confronti delle ingiustizie, la vigorosa contestazione dei ricchi e dei potenti, il giorno della collera del Signore, il trionfo della giustizia. A partire dal II secolo a. C., con la letteratura apocalittica, il profetismo assume caratteri marcatamente escatologici : il giudizio finale di Dio conclude la storia e ne svela il senso profondo ( Cfr. A. Neher, L’essence du prophétisme, Calmann-Lévy, Parigi 1972).
2 Come è noto, a Polibio si deve la versione “classica” della teoria dell’ anakiklosis , così formulata: “In verità in ogni corpo, in ogni Stato e in ogni nazione vi è un periodo di naturale sviluppo, poi uno di fioritura e infine uno di decadenza” ( Storie , Mondadori, Milano 1970, vol. II, p. 130).
3 F . Gogarten , Demitizzazione e chiesa , Queriniana , Brescia 1981 , p. 33.
4 K. Loewith, Significato e fine della storia, Comunità, Milano 1965, p. 38.
5 K. Loewith, Storia e fede, Laterza, Bari 2000, p. 123.
6 N. Cohn, I fanatici dell’Apocalisse, Comunità, Milano 1976, p. 51.
7 K. Polanyi, La Grande Trasformazione, Einaudi, Torino 1974, pp. 201 e ss.
8 Cfr. F . Alberoni , Genesi , Il Mulino, Bologna 1990.
9 K. Mannheim, Ideologia e utopia, Il Mulino, Bologna 1965, pp. 207 e ss. La stessa cosa accade nelle opere di Ernst Bloch. Questi, quando, in Geist der Utopie, scrive che la “ funzione cosmica” dell’utopia è quella di lottare “contro la miseria, la morte e il mondo superficiale della natura fisica”, in realtà sta parlando del Millennio. E, infatti, un “ Regno di Dio senza Dio” è la definizione che Bloch ha dato della meta finale della rivoluzione comunista, precisando che essa sarebbe stata “una rinascita di una Chiesa senza polis , tutta penetrata dal Paracleto” ( L’esprit de l’utopie , Gallimard , Parigi 1977 , p. 322 ).
10 M. I. Pereira de Queiroz, Riforma e rivoluzione nelle società tradizionali, Jaca Book, Milano 1968, p. 269.
11 Cfr. C . Dumitrescu , La Cité totale , Seuil, Parigi 1980 ; L . Fenizi , Icaro è caduto , Bardi , Roma 2003.
12 Cfr . E. De Martino, La fine del mondo, Einaudi, Torino 1977.
13 È importante qui ricordare che un tratto tipico della visione millenaristica della salvezza è che il “lotto dei dannati” sarà sterminato. Un esempio per tutti: nell’Apocalisse di Giovanni di Patmos è prevista l‘estinzione di “un terzo dell’umanità” ( 9, 18).
14 M. Weber, Sociologia della religione, Comunità, Milano 1982, vol. II, p. 655 . Non meno efficace la descrizione della mentalità chiliastica che si trova nel saggio Se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio, scritto da Kant nel 1798: “Ricadere nel peggio non può essere uno stato costantemente durevole nella specie umana, poiché a un certo grado di regresso essa distruggerebbe se stessa. Perciò, col crescere dei grandi misfatti ammassatisi come montagne e dei mali corrispondenti, si dice: – Non si può andare più in basso, l’ultimo giorno è alle porte – e il pio visionario sogna già il rinnovamento di tutte le cose e il sorgere di un mondo nuovo, dopo che questo sarà distrutto dal fuoco” ( Scritti politici, Utet, Torino 1956, p. 215).
15 Cfr. P . Arciprete , Apocalittica, terrorismo e rivoluzione , Città Nuova , Roma 2009.
16 M. Weber, Economia e società, Comunità, Milano 1968, vol. I, pp. 238 e ss.
17 G. W. F. Hegel, Fede e sapere, in Primi scritti critici, Mursia, Milano 1990, p. 252.
18 Cfr. B. T. Viviano, Le Royaume de Dieu dans l’histoire, Editions du Cerf, Parigi 1992; C. Nardi (a cura di), Il millenarismo, Nardini, Fiesole 1995.
19 Cfr. E . Voegelin , Il mito del Mondo Nuovo , Rusconi, Milano ; A . Del Noce , Il suicidio della rivoluzione,; V . Mathieu , La speranza nella rivoluzione , Armando , Roma ; E . Topitsch , Per la critica del marxismo, Bulzoni, Roma 1978 .
20 G. Filoramo, Il risveglio della Gnosi, Laterza, Bari 1990; I. P. Couliano, I miti dualistici occidentali, Jaca Book, Milano 1989.
21 Si tenga presente che, nella nota del 1963 a Geist der Utopie , Ernst Bloch definì il marxismo “una Gnosi rivoluzionaria”.
22 Cfr. W. Mühlmann, Messianismes révolutionnaires du Tiers Monde, Gallimard, Parigi 1968.
23 Cfr. L . Pellicani, La società dei giusti. Parabola storica dello gnosticismo rivoluzionario, Etas, Milano 1995.
24 L . Kolakowski, Lo spirito rivoluzionario, SugarCo, Milano 1982, p. 8.
25 Cfr. E. Voegelin, La nuova scienza politica, Borla, Torino 1968.
26 M . Walzer, The Revolution of the Saints, Atheneum, New York 1969, p. 305.
27 L . Stone, Le cause della Rivoluzione inglese, Einaudi, Torino 1982, p. 61.
28 Così sentenziò, nei suoi Carnets , Robespierre (Cit. da F. Furet e D. Richet, La Révolution française, Hachette, Parigi 1973, p. 222).
29 Saint-Just, Oevres choisies , Gallimard, Parigi 1968, p. 200.
30 M. Robespierre, Discours, Union Générale d’ Editions, Parigi 1965, p. 222.
31 Cit. da H. Taine, Le origini della Francia contemporanea, Treves, Milano 1930, vol. IV, p. 73. L’esplicita teorizzazione del terrore di massa quale mezzo indispensabile per arrivare al Regno della virtù non ha impedito a Michel Vovelle di scrivere con la massima serenità che, “quand’anche non restasse altro di quest’eredità che la memoria di una volontà collettiva di cambiare il mondo e di unire a questo scopo le volontà individuali in un gigantesco sforzo di generosità, di proselitismo e di azione concertata, il giacobinismo, anche spogliato di tutte le attese che non poteva soddisfare, lascia ancora un ricordo di un’esperienza esaltante” ( I giacobini e il giacobinismo, Laterza, Bari 1998, pp. 140-141).
32 Con questa immagine, Vergniaud denunciò l’impazzimento della Rivoluzione, la quale, dopo aver ghigliottinato gli aristocratici e i moderati, aveva rivolto il terrore contro gli stessi rivoluzionari (Danton, Desmoulins, Hebert, Babeuf, ecc. ).
33 Saint-Just, Terrore e libertà, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 198 pp.117-118.
34 Ibidem, p. 206.
35 Cit. da M. Duverger, Les orangers du lac Balaton, Seuil, Parigi 1980, p. 255.
36 J. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, Il Mulino, Bologna 1967, p. 8. La tesi di Talmon era già stata formulata nel 1930 da Crane Brinton ( The Jacobins, Russell and Russell, New York 1961).
37 Sul concetto di “politica escatologica” è fondamentale il libro di D . Sternberger , Le tre radici della politica , Il Mulino , Bologna 2001.
38 E non solo i marxisti. Per esempio, Barrington Moore ha molto insistito sul Terrore come momento essenziale della conquista del potere da parte della borghesia ( Le origini sociali della dittatura e della democrazia, Einaudi, Torino 1969, pp. 113 e ss.), ignorando, evidentemente, che Albert Mathiez aveva documentato che, “contro la classe borghese che aveva voluto volgere la rivoluzione a proprio vantaggio con la Costituzione censitaria del 1791 Robespierre si era levato ingaggiando una lotta senza quartiere” ( Robespierre, Newton Compton, Roma 1976, p. 217).
39 Sul punto, è fondamentale la monografia di F. Fehér, Il giacobinismo, SugarCo, Milano 1989.
40 K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia, in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1970 e ss., vol. IV, p. 136.
41 Ibidem, p. 137.
42 Cfr. F. Furet, Marx et la Révolution française, Flammarion, Parigi 1986. 43 K. Marx, Discorso sulla Polonia, in Opere complete, cit., vol. VI, p. 557. 44 K. Marx, Miseria della filosofia, in Opere complete, cit., vol. VI, p. 110.
45 K. Marx, Peuchet: del suicidio, in Opere complete, cit., vol. IV, p. 549.
46 F. Engels, Il panslavismo democratico, in Opere complete, cit., vol. VIII, p. 381.
47 F. Engels, Schelling e la Rivelazione, in Opere complete, cit., vol. II, p. 238.
48 K. Marx e F. Engels, La sacra famiglia, cit., p. 37.
49 F. Engels, La questione delle dieci ore, in Opere complete, cit., vol. X, p. 271.
50 K. Marx e F. Engels , Introduzione a “Kommunistische Zeitschrift” , in Moralismo e politica rivoluzionaria , Newton Compton, Roma 1972 , p. 161.
51 K. Marx, La guerra civile in Francia , in K. Marx e F. Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 927.
52 K. Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, in Opere complete, cit., vol. XI, p. 115.
53 F. Engels, Lettera dalla Germania, in Opere complete, cit., vol. X, p. 16.
54 “ Tutti i mali sono al culmine; non possono ulteriormente aggravarsi; ad essi non si può porre rimedio che con un sovvertimento totale ! Tutto si confonda dunque ! Tutti gli elementi si imbroglino, si mescolino e si scontrino ! Tutto rientri nel caos e dal caos esca un mondo nuovo e rigenerato !” (Babeuf, Il tribuno del popolo, Editori Riuniti, Roma 1969, p. 244).
55 In Marx esistono due teorie della rivoluzione ed esse sono affatto incompatibili: la rivoluzione come sviluppo delle forze produttive regolato dal principio di continuità e la rivoluzione come abbattimento violento delle istituzioni esistenti ( Cfr. D . Settembrini , Due ipotesi per il socialismo in Marx ed Engels , Laterza, Bari 1974).
56 L’unico scritto nel quale Marx ha cercato di delineare il profilo della società di transizione è la Critica del Programma di Gotha, in cui, peraltro, invano si cercherà una teoria dell’economia pianificata, né, tanto meno, un’ idea dello Stato che dovrà sostituire lo Stato liberale. L’unica cosa che risulta chiara è che la società di transizione si baserà sul rovesciamento dei principi della società borghese.
57 “ Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi i qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico” ( K . Marx e F . Engels , L’ideologia tedesca, in Opere complete, cit., vol. V, p. 33).
58 K. Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, in Opere complete, cit., vol. VI, p. 518.
59 K. Marx, Il Capitale, Rinascita, Roma 1957, vol. I, 3, p. 223.
60 L’espressione, altamente rivelatrice, si trova nella lettera inviata da Marx ad Engels il 9 aprile 1863.
61 In un corso di marxismo popolare redatto da J. Baby, R. Maublanc, G. Politzer e H. Wallon si legge questa istruttiva descrizione della società comunista : “Non ci sarà polizia. Non ci saranno prigioni. Naturalmente non ci saranno chiese. Non ci sarà esercito. Non ci saranno né prostituzione né crimini. Ci potranno essere dei malati, ma verranno curati. Ogni idea di costrizione sparirà. Gli uomini avranno la sensazione di essersi sbarazzati, liberati di tutto ciò che un tempo costituiva la loro schiavitù. Saranno uomini assolutamente nuovi…Quando si sa che si è su questa via e che questa via è quella della evoluzione umana che condurrà alla fine di tutte le miserie, che questa via è la via scientifica, la via certa, si ha la coscienza che si combatte per la più grande delle cause” (Cit. da J. Servier, Histoire de l’utopie, Gallimard, Parigi 1967, p. 300).
62 K. Marx, Il Capitale, cit., vol. I, 1, p. 25.
63 K. Marx e F. Engels, L’ideologia tedesca, in Opere complete, cit., vol. V, p. 67.
64 K. Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte, cit., p. 111.
65 Cit. da G. Sorel, Riflessioni sulla violenza, in Scritti politici, Utet, Torino 1963, p. 224.
66 E. Bloch, Ateismo nel cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971, p. 232.
67 K. Marx, Teorie del plusvalore, in Opere complete, cit., vol. XXXVI, p. 491.
68 F. Engels, Ludovico Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca, in K. Marx e F. Engels, Opere scelte, cit., p. 1106. È particolarmente significativo che Engels riprende, facendole proprie, le parole che Goethe mette in bocca a Lucifero. Tali parole, prese alla lettera, costituiscono una giustificazione di ciò che Hans Jonas ha chiamato il “ lato perverso della Gnosi” : il “nichilismo cosmico” ( The Gnostic Religion, Beacon Press, Boston 1972, p. 325).
69 K. Korsch, La formula socialista per l’organizzazione dell’economia, in Scritti politici, Laterza, Bari, 1975, vol. I, p. 7.
70 Lenin, Discorso sulla nazionalizzazione delle banche , in Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1955 e ss., vol. XXVI, p. 369.
71 Lenin, Al Primo Congresso dei Consigli dell’economia, in Opere complete, cit., vol. XXVII, pp. 377- 379.
72 Lenin, Discorso di chiusura del congresso, in Opere complete, cit., vol. XXVI, p. 457.
73 Lenin, III Congresso dei soviet, in Opere complete, cit., vol. XXVI, p. 451.
74 Lenin, Come organizzare l’emulazione , in Opere complete, cit., vol. XXVI, p. 394.
75 Così si espresse Lenin in una lettera inviata a Stalin nel 1922 (Cit. da D. Volkogonov, Le vrai Lénine, Laffont, Parigi 1995, p. 213). Pertanto, coloro che – come Eric Hobsbawm – continuano a presentare lo stalinismo come una degenerazione del leninismo falsificano senza ritegno la storia.
76 N. Bucharin e E . Preobra?enskij, Abc del comunismo, Newton Compton, Roma 1975, p. 7.
77 Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia, in Opere complete, vol. IX, p. 51.
78 H. Marcuse, Ragione e rivoluzione, Il Mulino, Bologna 1968, p. XVIII.
79 Ibidem, p. 361.
80 Assai istruttivo è il contenuto della lettera che Ernst Bloch inviò nel 1911 a Gyorgy Lukács. In essa, l’autore dello Spirito dell’Utopia, dopo essersi definito un “paracleto” che intercede dinanzi al trono di Dio per il mondo peccatore, dichiara che “gli uomini, ai quali io sono stato inviato, comprenderanno e sentiranno in loro un Dio che sta ritornando” (Cit. da J. Fest, Il sogno distrutto, Garzanti, Milano 1992, p. 54).
81 K. Marx, Manoscritti economico-filosofici, in Opere complete, cit., vol. III, p. 324.
82 K. Marx e F. Engels, Associazione mondiale dei comunisti rivoluzionari, in Opere complete, cit., vol. X, p. 617.
83 Così, nella famosa Circolare del Pcc del 16 maggio 1966, fu formulato il programma della Rivoluzione Culturale: "Il Presidente Mao ha spesso detto che non c’è costruzione senza distruzione. La distruzione è la critica e il rifiuto; ciò significa la rivoluzione…La distruzione viene prima di tutto e porta con sé la costruzione. È nella lotta per distruggere il sistema ideologico borghese che si è affermato e sviluppato costantemente il marxismo-leninismo, il pensiero di Mao Tse-tung” (Cit. da J. Robinson, La Rivoluzione culturale in Cina, Laterza, Bari 1969, p. 86).
84 Cfr. Pin Yathay , L’utopie meurtrière , Editions Complexe , Bruxelles 1989.
85 T. Carlyle, La Rivoluzione francese , Bietti, Milano 1933, vol. III, p. 240.
86 F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Garzanti, Milano 1966, p. 64.
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