Pochi giorni fa ci si chiedeva se l’Ucraina andasse verso la separazione delle province occidentali. Oggi è già ovvio che i movimenti separatisti sono talmente forti che non si può pensare che il paese rimanga unito. In Crimea e in altre regioni orientali la lingua d’uso corrente è il russo e la popolazione è in stragrande maggioranza filorussa; nelle regioni occidentali si parla l’ucraino e la maggioranza della popolazione ha forti sentimenti nazionalisti.
Come si vede nella mappa in testata, che mostra la situazione della regione prima del 1919, l’Ucraina odierna accorpa regioni che sono state sotto l’Impero Russo per secoli e regioni occidentali che hanno fatto parte dell’Impero Austroungarico per secoli. Le culture e le lingue e i sentimenti di appartenenza sono rimasti diversi, il paese non è culturalmente omogeneo.
La situazione è drammatica perché il paese è in bancarotta, ha urgente bisogno di aiuti dall’estero, e per rimettersi in piedi occorreranno anni di lavoro e di sacrifici, che presuppongono coesione sociale e politica. In un paese in cui il leader politico che prende il potere imprigiona il predecessore, come è successo a Giulia Tymoshenko, e la magistratura non è indipendente dal potere politico, è chiaro che gli animi sono esacerbati e la lotta politica è radicalizzata, anche senza contare la diversità etnica e linguistica fra le varie componenti regionali.
Le casse dello stato ucraino sono quasi vuote, presto mancherà il denaro per pagare stipendi e pensioni. La Russia aveva promesso un prestito di 15 miliardi di dollari al governo di Viktor Yanukovych. Ora ovviamente il prestito è sospeso. Anche la riduzione del 33% del prezzo del gas russo, negoziata lo scorso dicembre, potrebbe essere annullata. Questa settimana una delegazione del Fondo Monetario Internazionale dovrebbe incontrare il nuovo governo ad interim presieduto da Yatsenyuk.
I paesi europei non hanno gli strumenti istituzionali per dare una risposta comune alla crisi ucraina e all’intervento militare russo. La risposta potrebbe venire dalla Germania, sotto forma di trattative con i Russi e di sostegno all’economia di Kiev.
Anche i paesi del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) hanno tenuto consultazioni sulla crisi ucraina negli ultimi giorni, e hanno avuto incontri con il nuovo governo ad interim a Kiev. La Slovacchia in particolare potrebbe avere un ruolo nel far fluire verso l’Ucraina il gas che la Russia fornisce ai paesi occidentali a un prezzo inferiore a quello praticato all’Ucraina. Come si vede nella mappa a lato, la Slovacchia è un nodo di transito del gas russo che raggiunge i paesi dell’Europa Occidentale attraverso la Bielorussia e l’Ucraina. Una delle condutture potrebbe essere modificata rapidamente per far rifluire indietro una parte di questo gas. Un accordo di questo tipo era già stato discusso e preparato l’anno scorso fra i due paesi, ma non è ancora stato firmato, probabilmente per timore delle reazioni russe.
La Russia sta replicando in Ucraina il modello dell’intervento in Georgia del 2008, con un elemento istituzionale in più: l’intervento militare questa volta è autorizzato dal parlamento russo, per proteggere l’interesse della popolazione russa in Ucraina. La presenza di consistenti minoranze russe anche in Moldavia e nei paesi Baltici potrebbe permettere alla Russia di intervenire anche in questi paesi, in caso di future crisi.
È chiaro che qualche forma di accordo deve essere raggiunto fra la Russia e l’Europa per definire le relative sfere di influenza e le forme della reciproca collaborazione. Ma l’Europa non è una realtà politica organizzata con istituzioni politiche comuni e questo è un problema che sta a noi risolvere.
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