Le recenti vicende dell’Ucraina destano preoccupazione fra i paesi dell’Eastern Partnership, un’iniziativa lanciata nel 2008 da Polonia e Svezia per intensificare i rapporti fra la UE e alcuni paesi dell’ex URSS: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia e Moldavia (in arancione nella mappa). La scarsa assertività non solo dell’UE, ma anche della NATO davanti agli avvenimenti in Ucraina pongono seri dubbi sulle reali capacità dell’Occidente di intervenire nelle situazioni di crisi. L’annessione della Crimea alla Russia e lo schieramento delle truppe sul confine orientale dell’Ucraina fa temere un’escalation militare che desta preoccupazioni a Kiev e fra i paesi dell’UE. Alcuni paesi della Eastern Partnership sono piuttosto vulnerabili alle mire russe e hanno buoni motivi per essere preoccupati.
La reazione russa di fronte agli eventi ucraini
È probabile che la Russia sia stata colta di sorpresa dagli eventi di piazza Maidan. Le “rivoluzioni colorate”, che avevano portato al potere regimi apertamente filoccidentali in alcuni paesi alla sua periferia, a cominciare dalla Georgia nel 2003, sembravano ormai un lontano ricordo agli occhi di Mosca. Negli ultimi anni la Russia ha usato tutti i suoi migliori argomenti, dagli sconti sul prezzo del gas all’aiuto finanziario diretto e alla creazione dell’Unione Doganale, per evitare il ripetersi di eventi simili nei paesi alla sua periferia.
Gli eventi ucraini sono stati una doccia fredda per Putin, che ha reagito in maniera decisa per mandare un chiaro messaggio agli altri paesi nella periferia russa. Si tratta di una versione moderna della dottrina della sovranità limitata di Breznev, in base a cui la Russia ha il diritto di intervenire nei paesi che considera strategicamente importanti per la propria sicurezza.
Nei prossimi mesi Putin insisterà per far passare la linea federalista in Ucraina, con la scusa di volerne preservare l’integrità territoriale. Il leader russo ha però in mente una concezione feudale del federalismo, in cui la Russia può influenzare la nomina dei governatori delle regioni orientali e porre il veto su qualsiasi tentativo di avvicinamento all’UE.
Il Caucaso meridionale
I paesi del Caucaso meridionale sono stretti in una morsa. La Russia infatti ha basi militari in Ossezia del Sud, in Abcasia e a Gyumri, in Armenia.
In Georgia è ancora vivo il ricordo della guerra del 2008, quando la Russia intervenne occupando militarmente l’Ossezia e proclamandone l’indipendenza. La regione è ancora circondata da filo spinato e torrette di guardia, e qualunque tentativo di fuga viene severamente punito con lunghe pene detentive.
C’è poi la questione dell’ energia. Ad esempio la diga Inguri, che produce il 47% circa dell’energia consumata in Georgia, è controllata per metà dall’Abcasia, perciò indirettamente dalla Russia. In caso di escalation la Russia potrebbe tagliare l’energia alla Georgia generando il caos nel paese. La Russia può colpire i paesi vicini anche chiudendo i propri mercati alle importazioni dei loro prodotti – come testimonia il divieto di importare vini georgiani e moldavi fra il 2006 e il 2013.
Con l’Armenia la Russia intrattiene buoni rapporti. Erevan ha acconsentito a entrare nell’unione doganale insieme a Russia, Bielorussia e Kazakistan. Questo pone ulteriore pressione sulla Georgia, perché Mosca considera necessario avere a disposizione un corridoio per poter rendere operativo l’accordo con l’Armenia, e il corridoio passerebbe attraverso la Georgia.
L’Azerbaigian è il paese più indipendente del Caucaso, e il Cremlino ha mal digerito gli accordi che il governo azero ha stretto con i paesi occidentali per vendere il proprio gas senza passare attraverso la Russia. Mosca però potrebbe decidere di riaccendere il conflitto con il Nagorno-Karabakh, repubblica autoproclamatosi indipendente nel 1992 e tuttora rivendicata da Baku, se volesse creare pressioni sull’Azerbaigian.
La Moldavia e la Transnistria
La Moldavia intrattiene buoni rapporti con Bruxelles, tant’è che sono in corso trattative per adottare un regime di liberalizzazione dei visti che permetterebbe ai cittadini moldavi di entrare nei paesi dell’area Schengen più facilmente.
Dopo l’annessione della Crimea la Transnistria, repubblica indipendente fra la Moldavia e l’Ucraina, ha chiesto l’annessione alla Russia. Moldavia e Ucraina, che considerano la Transnistria una regione sotto occupazione russa al pari di Abcasia e Ossezia del Sud, hanno incrementato le misure lungo il confine per evitare infiltrazioni da parte di agenti russi presenti in Transnistria.
Putin non ha lasciato passare la cosa sotto silenzio e ha accusato i due paesi di voler porre un embargo alla Transinstria.
La strategia russa e l’uso del soft-power
La Russia fa anche ampio uso di soft power, servendosi dei mezzi di comunicazione. La televisione russa manipola ad arte le notizie mandate in onda in patria e sui canali delle ex repubbliche sovietiche, tanto da aver spinto alcune organizzazioni armene (come l’Armenian National Platform of the Eastern Partnership Civil Society Forum) a chiedere la chiusura dei canali in lingua russa in patria.
Eclatante è il caso del massacro di Kesab, cittadina armena in Siria. La TV di stato russa ha ripreso un servizio della TV siriana che mostrava scene del presunto massacro degli abitanti armeni di Kesab per mano dei ribelli, nel marzo 2014. Un falso: Kesab era stata abbandonata mesi prima, le esecuzioni erano di soldati di Assad e le immagini risalivano a dicembre 2013.
Il servizio ha comunque causato un’ondata di indignazione in Armenia, nel Nagorno-Karabakh e fra le comunità armene di tutto il mondo. Mosca ha colto l’occasione per dichiarare che gli USA e l’UE, alleati dei Turchi, non hanno alcun interesse a proteggere i Cristiani in Medio Oriente, dichiarandosi unica vera protettrice del cristianesimo nel mondo.
Conclusione
I paesi dell’Eastern Parntership sono comprensibilmente preoccupati.
La Russia non perde occasione per mostrare al mondo intero, e soprattutto ai paesi dell’Europa centro-orientale, la lentezza e debolezza dell’UE e della NATO nella gestione della crisi ucraina. Il fatto è che senza una politica energetica comune l’Europa, fortemente dipendente dal gas russo, ha le armi spuntate. È attualmente al vaglio della Commissione Europea un terzo pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma di ben dubbia efficacia.
Ora l’attenzione è rivolta al summit NATO del prossimo settembre: se i paesi occidentali non troveranno una soluzione condivisa e risoluta alla crisi ucraina, i paesi dell’Eastern Partnership capiranno di non aver aiuto contro la “dottrina Putin”.
A cura di Davide Meinero
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