La NATO, fondata nel 1949, attualmente consta di 28 membri (immagine di testata) ed è l’alleanza militare più forte del pianeta. Ma le divergenze di interessi fra i paesi membri rischiano di eroderne la capacità operativa.
Venuto meno il pericolo dell’URSS, che fungeva da collante fra i membri dell’Alleanza durante la Guerra Fredda, la NATO attraversa un periodo di declino. Nemmeno la minaccia del terrorismo islamico ha saputo ricreare lo spirito di collaborazione e di unità degli anni della Guerra Fredda.
La recente crisi ucraina ha generato però un sussulto di vita nell’alleanza, o per lo meno la consapevolezza di dover affrontare e risolvere alcuni problemi interni, in vista di future necessità, anche se ora Russia e USA non intendono soffiare sul fuoco del conflitto.
La Russia di Vladimir Putin ha saputo risorgere dal caos economico e sociale degli anni ’90, ma non è ancora un pericolo tale da spingere i paesi membri della NATO a una reazione militare in nome dell’articolo 5. Mosca d’altra parte sa che non potrebbe tener testa a un attacco della NATO, nonostante l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, “l’antagonista” della NATO, che però la Russia usa più come strumento di egemonia sui paesi membri che per reali scopi militari.
I più interessati a un ruolo attivo della NATO sono i paesi più deboli dell’Alleanza, che non possono reggere il confronto con la Russia risorgente: i Paesi Baltici e i paesi del Gruppo di Visegrad: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia. Di recente anche la Svezia ha rispolverato l’idea di entrare nell’alleanza e la Georgia, ancora memore della Guerra del 2008, ha cercato di accelerare la procedura di adesione alla NATO.
In questo periodo i paesi occidentali, inclusi gli USA, sono alle prese con la crisi economica e non hanno intenzione di sobbarcarsi costi ulteriori. L’ingresso dei paesi dell’Est Europa nella NATO ha rappresentato un costo aggiuntivo per l’Alleanza Atlantica. Ora che Washington sta tagliando le spese militari non è ipotizzabile il dispiegamento di massicce forze militari in pianta stabile nelle basi dell’Est europeo. È molto più verosimile l’impiego di piccole unità semi-permanenti che forniscano appoggio e addestramento alle forze militari regionali in caso di pericolo, come è avvenuto di recente durante la crisi ucraina.
La NATO è in una fase di stallo. Putin lo sa benissimo e farà di tutto per mettere il dito nella piaga mostrandone l’inefficienza e l’indecisione, in modo da creare divisioni in seno al blocco occidentale. Senza la presenza di un nemico comune il futuro dell’Alleanza è incerto. Occorre ripensare completamente la struttura e la strategia della NATO perché diventi un’organizzazione che risponda agli interessi e alle necessità degli stati membri su base regionale e con carattere d’urgenza, senza aspettare un consenso unanime che, data la varietà dei suoi membri, non potrebbe raggiungere. Non sarà un compito facile: il summit di settembre sarà un momento cruciale per capire quale direzione prenderà.
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