L’Estremo Oriente è oggi la parte più importante del mondo. Rappresenta il fulcro geografico dell’economia globale ed è costituito da molte nazioni forti e importanti. Ma gli intellettuali occidentali si interessano meno all’Estremo Oriente che ad altre regioni del mondo. Faticano ad abbandonare la visione eurocentrica del mondo e faticano a capire l’attitudine mentale delle popolazioni dell’Estremo Oriente, pragmatica e non ideologica, che attribuisce molta più importanza al controllo del territorio e delle risorse, piuttosto che alla condivisione di principi e intenti universali.
L’Estremo Oriente è una regione prospera, dotata di infrastrutture e tecnologie all’avanguardia, ma a livello politico è animata più da antichi nazionalismi etnici che da ideali universalistici. Cina, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Filippine sono paesi che coltivano una forte identità etnica e avanzano rivendicazioni territoriali contrastanti su alcune aree della regione, soprattutto nel Mar Cinese Meridionale e Orientale.
I paesi della regione si sono dati una grande istituzione multilaterale, l’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN), che però non ha né il prestigio né l’influenza di organizzazioni multilaterali come la NATO o l’Unione Europea. Il vero motore del dinamismo politico della regione non sono la globalizzazione o le istituzioni multilaterali, ma piuttosto l’imponente crescita e ammodernamento delle forze armate. L’Estremo Oriente dimostra che prosperità e tecnologie all’avanguardia non sono in contraddizione con la forza deterministica della geografia, ma rendono la geografia ancora più importante. Infatti in questa parte del mondo la politica non riguarda la democrazia, i diritti umani o l’economia, bensì il territorio: conta quale etnia controlla una determinata parte del Mare Cinese, i cui fondali potrebbero essere ricchi di petrolio o gas naturale, anche se non sono altro che rocce spoglie, molte delle quali sono totalmente sommerse durante alte maree. Ma il furore delle rivendicazioni dimostra che queste rocce sono diventate simboli del carattere nazionale e che in questa parte del mondo è ancora di vitale importanza il territorio e il gruppo che lo controlla.
L’Estremo Oriente è un complesso di catene logistiche di rifornimento, trasporti marittimi mercantili, autobotti, megalopoli abitate dalle classi medie, progetti di canali e ponti continentali e così via. Tutti fenomeni interessanti, ma non per gli intellettuali occidentali. L’Estremo Oriente è anche ricco di antiche civiltà stupende e fastose, ma questi sono temi artistici e storici che, al momento, non inducono a dibattiti sui valori, come accade in altre parti del mondo. L’Estremo Oriente ha conosciuto un importante dibattito sui valori politici, da cui non è uscito vincitore il liberalismo, ma il pragmatismo. Il modello politico cui tutti si ispirano è quello di Lee Kuan Yew, fondatore della moderna Singapore. Negli ultimi decenni del XX secolo Lee ha trasformato Singapore da luogo infernale, afflitto dalla povertà e dalla malaria, in uno dei piccoli stati più prosperi, efficienti e dinamici del mondo. Il suo successo non si è basato sul liberalismo o sulla democrazia, ma su un autoritarismo illuminato, arricchito dai valori del confucianesimo. Nel modello di Lee la democrazia non è negata, ma non ha un ruolo centrale perché si regge sull’idea di stato corporativo e meritocratico. Singapore ha sostituito la bellezza delle idee con l’efficacia, così come fece la Cina postmaoista, governata in base al precetto di Deng Xiaoping del “cercare la verità nei fatti”, ovvero operare scelte politiche in base alle condizioni reali, non alle teorie.
Certo, non ci si può scordare che dell’Estremo Oriente fa parte anche la Corea del Nord, luogo di una delle più gravi e prolungate tragedie umanitarie, il risultato di un regime che è al tempo stesso comunista e nazionalfascista. Ma la Corea del Nord rappresenta un’eccezione rispetto all’Asia in generale, area in cui le tensioni militari sono legate al successo economico. In Cina il successo economico potrebbe non durare e provocare sovvertimenti sociali e politici che cambierebbero profondamente l’intero continente, rimettendone in discussione i valori.
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