Il rapimento di Gilad, Naftali ed Eyal, i tre adolescenti adescati il 12 giugno, non è in nessun modo una delle tante scaramucce perpetuamente in atto fra Israele, Gaza e il West Bank. Non lo è né per le emozioni suscitate dal rapimento nell’opinione pubblica israeliana e palestinese, né per i meccanismi e gli scopi all’origine del sequestro.
Mentre i Palestinesi non soltanto hanno tenuto grandi manifestazioni pubbliche di giubilo per il rapimento, ma hanno diffuso vignette che rappresentano i tre ragazzi come tre ratti appesi all’amo, rifacendosi all’iconografia nazista, gli Israeliani vivono con straordinaria partecipazione collettiva l’angoscia delle tre famiglie colpite e la ricerca dei colpevoli.
Proprio nell’identificazione e ricerca dei colpevoli si notano anomalie che fanno pensare a una operazione orchestrata con la partecipazione di intelligence straniere.
1) Il governo israeliano ha affermato di ritenere Hamas responsabile del rapimento. Hamas ha negato ufficialmente ogni responsabilità, ma subito dopo (il 23 giugno) il primo ministro Ismail Haniyeh, di Hamas, ha proclamato che questo rapimento è l’inizio della Terza Intifada contro Israele.
2) Le rivendicazioni sono state molteplici, probabilmente orchestrate ad arte per confondere le piste. La prima rivendicazione è venuta il 13 giugno, subito dopo il rapimento, dal gruppo Dawlat al-Islam con sede a Hebron, affiliato all’ISIS, il gruppo che sta conquistando Siria e Iraq. Ma subito dopo un’altra rivendicazione è giunta da parte di uno sconosciuto ‘Battaglione dei Liberatori di Hebron’, poi un’altra da parte delle ‘Brigate del Jihad globale’, che però è stata ritrattata alcune ore più tardi. I Martiri delle Brigate di Al Aqsa, braccio armato di Fatah, hanno negato tramite stampa ogni responsabilità, ma nei festeggiamenti in piazza hanno informalmente dichiarato di aver partecipato all’operazione.
Il 26 giugno un’altra rivendicazione è giunta tramite la Amad Press, con base a Gaza, da parte delle Brigate di Hezbollah, una ramificazione a Gaza degli Hezbollah libanesi.
Occorre ora indagare le origini e i legami di tutti questi gruppi, sia fra di loro, sia con Hamas, sia con l’ISIS e con l’Iran, per capire che cosa sta succedendo.
3) Israele sta richiamando parte delle riserve. In uno stato piccolo come Israele, che ha perenne scarsità di forza lavoro, il richiamo dei riservisti è un’operazione molto costosa, cui si ricorre soltanto se si pensa che ci possano essere operazioni davvero molto importanti in vista.
4) Il rapimento è avvenuto dopo che Hamas e Fatah hanno annunciato la creazione di un governo di unità nazionale sia per il West Bank, dove prevale al Fatah, sia a Gaza, dove prevale Hamas, dopo sette anni di separatezza e inimicizia reciproca. Il rapimento può essere interpretato come il tentativo di far fallire sul nascere gli accordi fra Fatah e Hamas e mantenere separato il governo di Gaza da quello della West Bank. La riunificazione è un pericolo per Israele, che preferisce aver due interlocutori ostili separati, anziché uno solo che può attaccare contemporaneamente su due fronti. Ma è un danno anche per l’Iran, che dal 2007 sostiene e arma sia Hamas sia il gruppo del Jihad Islamico Palestinese, estendendo così la sua influenza e le sue operazioni fino al Mediterraneo: in Libano tramite Hezbollah, a Gaza tramite Hamas. Il riallineamento fra Gaza e la West Bank farebbe perdere all’Iran un alleato e una base operativa importante. È importante indagare a fondo i rapporti fra i vari gruppi palestinesi e l’Iran, per capire che cosa sta avvenendo e perché.
5) Ma può essere in gioco anche un elemento russo. Nei giorni precedenti il rapimento, il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmud Abbas ha ricevuto un invito a Mosca per colloqui privati con Vladimir Putin. L’incontro è avvenuto il 26 giugno, e il comunicato stampa successivo diceva genericamente che i due presidenti avevano discusso di possibili colloqui di pace. Il 21 giugno l’esercito israeliano ha perquisito a Ramallah la sede locale della rete televisiva russa RT, che ha sede nello stesso edificio in cui opera anche la TV palestinese Palmedia. Mentre le perquisizioni nella sede di Palmedia non sono rare, è la prima volta che vengono perquisiti anche gli uffici russi. D’altra parte è la prima volta dalla caduta del Muro e dal crollo dell’Unione Sovietica che la Russia mostra tanto attivismo in Palestina e in tutto il Medio Oriente, sempre in linea con le posizioni dell’Iran.
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