da un articolo di Scott Stewart per Strategic Forecasting
Spesso i media definiscono lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS) un gruppo terroristico. Ma è molto di più: oltre a condurre operazioni terroristiche nel suo raggio d’azione, il gruppo ha mostrato di essere in grado di portare avanti un’insurrezione prolungata in un’area geografica molto estesa e si è impegnato in scontri militari convenzionali con l’esercito siriano e quello iracheno. Si è dimostrato capace di amministrare parti di territorio, organizzare servizi e riscuotere tasse. Etichettarlo semplicemente come organizzazione terroristica significherebbe sottovalutare le sue potenzialità. Andrebbe piuttosto definito come gruppo militare, per cui il terrorismo non è altro che uno dei vari strumenti militari a disposizione.
Il terrorismo è spesso impiegato da gruppi che combattono contro eserciti convenzionali nettamente più forti. Guerriglie di varia natura politica spesso impiegano atti di terrorismo nella prima fase della lotta armata. Lo ha fatto anche al Qaeda: ha usato il terrorismo per suscitare l’attenzione dell’opinione pubblica e alimentare il sostegno popolare alla propria causa, e ha messo in campo forze maggiori soltanto quando è stata pronta all’insurrezione e a combattere una guerra convenzionale per creare prima un emirato, poi un califfato mondiale. Il terrorismo può essere impiegato anche a supporto dell’insurrezione o durante una guerra convenzionale, come dimostrano i Talebani afgani o lo stesso ISIS. In questi casi, serve a distrarre il nemico e a sbilanciarne le forze con attacchi a obiettivi vulnerabili nelle retrovie.
Quando il gruppo ha acquisito maggiori capacità militari, spesso cambia strategia, passando dagli attacchi terroristici all’insurrezione. L’insurrezione, che spesso viene definita guerriglia, ha una storia vecchia di secoli che attraversa culture diverse ed è stata praticata da tanti comandanti militari: dal Profeta Maometto a Mao Zedong, da Garibaldi a Geronimo. Prevede scontri a bassa intensità seguiti dalla ritirata quando il nemico è nettamente superiore, per raccogliere forze sufficienti e attaccare quando il nemico è indebolito. Viene dunque adottata una prospettiva di lungo termine, per la quale ciò che conta è sopravvivere per poter costringere il nemico a combattere un giorno in più, impiegando uomini e risorse. In questo tipo di conflitto di natura asimmetrica il tempo sta dalla parte dei ribelli, che sperano che i nemici finiranno con l’esser indeboliti e scoraggiati dal protrarsi della guerra.
La strategia militare dell’ISIS è piuttosto chiara. Già nel 2004 − quando il gruppo si chiamava ancora al Qaeda in Iraq − ha tentato di trasformarsi da forza insurrezionale in esercito convenzionale, prendendo il controllo di alcuni territori, ma quando si è scontrato con gli Stati Uniti ha subito perdite terribili. Lo stesso è accaduto nel 2006, quando il gruppo era conosciuto con il nome di Stato Islamico dell’Iraq. Tuttavia il gruppo è sopravvissuto, ha smesso di cercare di conquistare territori ed è tornato ad azioni insurrezionali di minore intensità, con l’obiettivo principale di protrarre il conflitto. La perseveranza ha pagato. Ora conosciuto come Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ha riacquistato forza dopo il ritiro degli Stati Uniti dal paese e grazie al coinvolgimento nella guerra civile siriana. Oggi l’ISIS è il più potente gruppo militare jihadista al mondo. Il gruppo è tanto evoluto dal punto di vista militare da potersi confrontare in battaglie militari convenzionali su due fronti in contemporanea: con l’esercito siriano e con quello iracheno. Ormai è ben più di un gruppo terroristico; le sue capacità militari sono superiori a quelle di molti piccoli stati.
Tuttavia, ha anche dei limiti. Innanzitutto, la logistica. Persino i grandi eserciti nazionali hanno difficoltà a muovere uomini, equipaggiamenti, munizioni, petrolio e altri rifornimenti in aree molto vaste. In questo l’ISIS è agevolato dal fatto di poter sfruttare catene di rifornimento che attraversano liberamente il confine tra Siria e Iraq, il che permette di spostare uomini e materiali in diversi teatri di battaglia, secondo le necessità. La maggior parte di questi spostamenti avviene per mezzo di autocarri, autobus e mezzi piccoli e maneggevoli come pick-up e motociclette.
Per la maggior parte, le azioni di guerra dell’ISIS sono costituite da attacchi e incursioni rapide, compiute con l’aiuto di forze sunnite simpatizzanti, ma in alcuni luoghi − come a Mosul, Ramadi e Baiji – l’ISIS sta combattendo in modo più convenzionale su fronti di battaglia fissi. I militanti hanno ormai mostrato la capacità di combattere anche nelle aree dell’Iraq controllate da Curdi o Sciiti, dove non hanno molti aiuti locali. Era avvenuto già in passato: nel 2005 avevano organizzato attentati con bombe e razzi in Giordania, tra cui gli attacchi suicidi del 9 novembre a tre hotel di Amman.
Storicamente non è molto comune per un gruppo militare sviluppare la capacità di proiettare il proprio potere a livello transnazionale. È ancora più inusuale che ciò avvenga senza il sostegno di uno stato; gruppi transnazionali come Hezbollah, Black September e l’Organizzazione Abu Nidal hanno tutti una forte sponsorizzazione statale. È molto più comune che gruppi del genere conducano un numero relativamente ridotto di operazioni nel proprio paese di origine e nelle aree confinanti di paesi vicini. In molti casi le operazioni riguardano un’area ben precisa e relativamente ridotta, come nel caso dei movimenti che combattono per l’indipendenza o l’autonomia.
Talvolta, come nel caso della lotta marxista o jihadista, le ambizioni sono globali. Ma anche in questi casi il processo comincia con la creazione di un’entità locale che impiega le risorse militari per colpire obiettivi locali, non transnazionali. Questo è il motivo per cui l’ISIS non è ancora riuscito a condurre operazioni terroristiche transnazionali contro gli Stati Uniti e l’Occidente: al momento è più urgente colpire obiettivi locali e regionali.
Tra le caratteristiche peculiari di alQaeda c’era proprio la sua attenzione al “nemico lontano” (gli Stati Uniti) prima che a quello “vicino” (i regimi locali). Per questo alQaeda ha sviluppato la capacità di addestrare miliziani in campi specialmente attrezzati e creare reti logistiche per sostenere cellule terroristiche che operavano in territori ostili anche molto lontani. Ma in seguito agli attacchi dell’11 settembre campi e reti logistiche sono stati smantellati; ciò ha reso molto più difficile condurre attacchi transnazionali e spiega perché non si è verificata la serie di attacchi che ci si aspettava dopo l’11 settembre. AlQaeda ha dunque iniziato a incoraggiare i jihadisti che vivevano in paesi occidentali a compiere atti terroristici di facile organizzazione in loco.
Nei gruppi affiliati ad alQaeda, come alQaeda nel Maghreb Islamico e alShabaab, sono emerse tensioni tra coloro che volevano proseguire la lotta contro il nemico lontano e coloro che invece volevano concentrare gli sforzi militari sul nemico vicino. I gruppi affiliati regionali devono sempre fare i conti con la pressione esercitata dalle autorità locali e combattere per sopravvivere e protrarre la lotta. In un contesto del genere, restano poche forze a disposizione da dedicare ad attacchi transnazionali. Ma se l’ISIS acquisisse potere statale, potrebbe successivamente organizzare gruppi terroristici all’estero, come fece l’Iran in Libano, Palestina e Argentina.
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